Gaza battuta dal Venezuela nella partita del premio Nobel della pace

         Nonostante le immagini di quei duecentomila palestinesi in marcia invertita, non per fuggire ma per tornare alle loro case, o a ciò che n’è rimasto, grazie al processo di pace che fatto cessare i bombardamenti, immagini arrivate a Oslo fuori tempo massimo, Gaza è stata battuta dal Venezuela, martoriata dalla dittatura,  nella partita del premio Nobel della pace. Gaza, ripeto, più ancora del presidente americano Trump che, pur complimentandosi con l’oppositrice venezuelana Maria Corina Machado premiata per questa edizione 2025, ha protestato contro la natura “politica” del premio intestato all’inventore della dinamite. Che volle con ciò redimersi dal contributo dato alle guerre con il suo ingegno.

         Sarà, spero, per la prossima volta, fra un anno, se Trump riuscirà a far cessare anche la guerra in Ucraina. E il gioco che si sta prendendo di lui a Mosca lo zar di turno Putin, che continua imperterrito a rovesciare sugli ucraini da più tre anni fuoco e morte.

Quando può toccare alla destra fare la sinistra in Italia e altrove

ll paradosso segnalato da Davide Varì di una pace “non a caso” costruita a Gaza più che dalle piazze di sinistra e dintorni, e governi di quel colore, da “Trump, l’amico americano di Meloni”, entrambi di destra, chiude il cerchio di una realtà avvertita già nel secolo scorso da Gianni Agnelli sul piano economico. Tocca alla destra, disse, fare una politica di sinistra.

         Era il tempo in cui, per esempio, la difesa del valore reale dei salari, falcidiati da un’inflazione a due cifre, fu assunta dal primo governo di Bettino Craxi tagliando o rallentando la scala mobile fra le proteste della sinistra. Che fu spinta dal segretario del Pci Enrico Berlinguer nei suoi ultimi giorni di vita verso un referendum abrogativo intestatosi dalla Cgil e clamorosamente perduto l’anno dopo, nel 1985. Clamorosamente per la sinistra come 11 anni prima per la Dc col referendum contro il divorzio.

         Ricordo che il presidente socialista del Consiglio, il primo nella storia d’Italia, a capo di una coalizione pentapartitica, estesa dal Pli al Psi attraverso la Dc, non gradì di essere sbattuto a destra da Gianni Agnelli. Ma prima ancora che dal capo della Fiat egli era stato sbattuto a destra dal Pci, con le sue reazioni parlamentari e di piazza, e dagli umori più generali di un’area che si sentiva di sinistra o progressista, si direbbe adesso alla maniera di Giuseppe Conte. Il povero Bettino era già finito nelle vignette del buon Giorgio Forattini su Repubblica appeso ad una forca con la testa in giù, e con tanto di stivali inconfondibilmente mussoliniani. Questo era il clima di quei tempi.

         Allo stesso modo nella Democrazia Cristiana un uomo dichiaratamente, orgogliosamente di sinistra come Carlo Donat-Cattin, il capo della corrente Forze Nuove proveniente dal mondo sindacale, fu sbattuto a destra, anche nel suo partito dalla sinistra concorrente di Ciriaco De Mita, per il suo anticomunismo. Per quel “mai” pronunciato parlando del compromesso storico proposto allo scudo crociato dal Pci berlingueriano. Poi Aldo Moro lo convinse pazientemente ad accettare, o subire, una versione ridotta della proposta comunista all’insegna dell’emergenza e della “solidarietà nazionale”. Realizzata con due governi monocolori democristiani, sostenti dal Pci esternamente e presieduti da un uomo come Giulio Andreotti.  Che di certo non si poteva considerare di sinistra, convinto com’era che i voti perduti ogni tanto dalla Dc a destra, a vantaggio del Movimento Sociale di Giorgio Almirante, fossero solo “in libera uscita”, destinati a tornare allo scudo crociato, come in effetti avveniva.

         I limiti tuttora della sinistra sono diventati macroscopici oltre che sul terreno internazionale avvertito dal direttore del Dubbio, con la pace a Gaza costruita più a destra che a sinistra, e si spera in tempi ragionevoli anche in Ucraina, dove si muore di guerra da ancora più tempo; i limiti, dicevo, della sinistra sono evidenti anche sul terreno  della sicurezza interna, derivata o no  dal fenomeno della immigrazione clandestina. Ne scrive spesso, inascoltato al Nazareno e dintorni il primo ed ex -appunto- segretario del Pd Walter Veltroni sul Corriere della Sera.

Pubblicato sul Dubbio

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