La democrazia onuana, persino sfacciata nel suo fallimento

         Si definisce di solito “onuano” ciò che accade o si riferisce all’Onu, acronimo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con tutte le maiuscole al loro posto, per carità. Unite nominalmente, in realtà attualmente divise come mai lo sono state in passato.  

         La democrazia -ripeto- onuana è quella vista in diretta o in differita dai telespettatori di tutto il mondo con lo svuotamento dell’aula del Palazzo di Vetro, a New York, mentre saliva al podio, negli orari e nei modi assegnatigli, il premier israeliano Netanyahu. Al quale numerose delegazioni hanno girato le spalle uscendo, in una fila impressionante quantitativamente e qualitativamente.

         Se la guerra che Israele sta conducendo a Gaza contro i terroristi palestinesi dopo il pogrom del 7 ottobre 2023 è “sproporzionata”, anche secondo il governo italiano, che tuttavia non si è unito agli alleati che hanno adottato come reazione il riconoscimento del fantomatico Stato della Palestina, altrettanto sproporzionata credo si possa definire la protesta all’Onu. Rifiutando l’ascolto, che è la prima regola, il presupposto -direi- di una democrazia. O, più semplicemente, di una convivenza civile.

         Con quella forma di protesta, intrinsecamente violenta come le piazze devastate lunedì scorso in Italia dai dimostranti filopalestinesi, l’assemblea dell’Onu ha confermato il suo fallimento. Semplicemente e drammaticamente.  

Il solito, continuo processo politico e mediatico a Giorgia Meloni

         Poco importa con quanta consapevolezza Walter Veltroni nella sua veste di editorialista del Corriere della Sera, ma pur sempre rappresentando anche la parte politica vissuta come uomo di partito e di governo, ha esorcizzato la deriva politica, appunto, dell’Italia lamentando solo quella americana con Trump alla Casa Bianca. Che ha portato gli Stati Uniti ad un “bivio”, probabilmente già superato in senso e modo naturalmente negativo, torcendo la democrazia con l’odio. Che Trump ha rivendicato il merito di sentire e praticare nei riguardi degli avversari anche nella celebrazione dell’attivista Charlie Kirk.

         L’unico riferimento di Veltroni alle cose, diciamo così, di casa nostra è alla mancata celebrazione in Parlamento, diversamente da quanto è accaduto con Kirk, dell’assassinio in America -a suo tempo-  della deputata Melissa Hortman e di altre violenze subite da esponenti della parte democratica, intesa come omonimo partito. Mancata celebrazione -mi permetto di rilevare- per un difetto d’iniziativa del Pd, assunta invece nel Parlamento italiano dal partito di maggioranza relativa, che è quello meloniano dei “fratelli d’Italia”.

         Piuttosto che ricordare Melissa Hortman o solidarizzare con Nency Pelosi quando fu aggredito il marito in casa, le opposizioni in Italia, a cominciare da quella di sinistra, preferiscono esibirsi anche muscolarmente da qualche anno contro il governo di centrodestra e la sua leader, contestando loro di tutto. Anche di avere vinto le elezioni nel 2022 sulla carta, rappresentando in realtà un terzo dell’elettorato, al netto degli elettori rimasti a casa.

         Ora poi, anche dopo che immagini e simili della Meloni vengono bruciate nelle piazze o rappresentate con la testa in giù, appesa ad una forca metaforica, si contesta alla premier il diritto, l’opportunità e quant’altro di lamentarsene. Le sue proteste sarebbero solo occasioni di alimentare durezza, a dir poco, in quello che la buonanima di Aldo Moro chiamava “confronto”, intestandogli anche una sua agenzia di stampa e una corrente nella Democrazia Cristiana.

         La Meloni, contestata fra  tutti i salotti televisivi in modo particolarmente  assiduo e scientifico, direi, in quello della Lilli Gruber su La 7, dovrebbe per stile e senso di responsabilità come presidente del Consiglio porgere l’altra guancia allo schiaffo di turno. E magari scusarsi per essere salita politicamente così in alto. E pure per alzare troppo la voce nei discorsi parlamentari e nei comizi, scadendo in quell’accento borgataro romano che non più tardi di ieri sera ho sentito contestarle, proprio nello studio televisivo della Gruber, dal novantenne Corrado Augias, compiaciuto del “saggio”, elegante”, “colto” che si procura. Ieri sera, ripeto, in qualche modo anche da Italo Bocchino, chiamato o ammesso dalla Gruber a prendere le difese della premier assente.

Blog su WordPress.com.

Su ↑