Considerate una per una, le quattro grazie appena concesse dal presidente della Repubblica hanno risolto altrettanti casi personali di condannati in condizioni particolarmente difficili e penose. Condanne anche controverse emesse tra polemiche durissime in sede politica e mediatica, in un disagio avvertito anche dai magistrati che le avevano promosse ed emesse.
Particolarmente clamorosa fu la condanna di Gabriele Filotello, oggi trentenne, che nel 2021 uccise il padre per difendere la madre delle sue violenze. O della guardia giurata Massino Zen, di 54 anni, che uccise dieci anni fa un ladro in fuga procurandosi la solidarietà pubblica di politici anche di primo piano. O di Patia Altanà, di 53 anni, autrice di furti ed estorsioni fra il 2012 e il 2016 e ridotta in precarie condizioni di salute. O di Acuta Strimbu, di 39 anni, autrice anch’essa di estorsioni, e in più di violazione delle norme di disciplina degli stupefacenti.
Qui finisce il racconto sommario dei singoli casi, ripeto, risolti dall’intervento del Capo dello Stato nell’esercizio insindacabile delle sue funzioni, comunque sempre al riparo dei pareri favorevoli dei magistrati di sorveglianza e delle parti lese. E comincia una riflessione che mi sembra quanto meno opportuna, se non doverosa, sulle circostanze e modalità delle decisioni di Sergio Mattarella, prese simultaneamente controcorrente rispetto al clima politico e sociale in cui viviamo. Un clima di intolleranza e violenza che attraversa le piazze e persino le aule parlamentari, non so se le une più condizionate dalle altre, o viceversa. Un clima nel quale il problema dell’affollamento delle carceri viene risolto praticamente ignorandolo. E opponendo la cosiddetta certezza della pena alla impossibilità frequente di garantirne una decente applicazione.
Non parliamo poi delle guerre, quelle vere in mezzo alle quali viviamo ormai da troppo tempo -nonostante la convinzione del presidente americano Donald Trump di averne risolte almeno sette da quando è tornato alla Casa Bianca- nel rischio di abituarvici. O di opporvi solo manifestazioni unilaterali di protesta o solidarietà che per ciò stesso, cioè per la loro parzialità, ne aumentano i danni e compromettono la fine. Guerre come quella, certo, a Gaza e dintorni ma anche in Ucraina.
A proposito di quest’ultima, le cui responsabilità risalgono incontrovertibilmente alla Russia di Putin, che la cominciò chiamandola “operazione speciale” di “denazificazione” del paese limitrofo, Mattarella non può parlare, come fa invece dal primo momento, senza finire in Italia e nella stessa Russia nell’elenco dei guerrafondai. Degli emuli di Hitler.
In questo clima allucinante, a dir poco, adottare grazie al Quirinale e parlarne fuori può apparire un felice ossimoro. Anzi, felicissimo.
Pubblicato sul Dubbio