Trump dietro un vetro di protezione nel Pantheon allestito per Kirk

         Il Pantheon elettronico di Phoenix, dove il presidente americano Donald Trump ha voluto celebrare il “martirio” del pur “immortale” Charlie Kirk, è stato imponente a vederlo in televisione. Figuriamoci a viverlo per i duecentomila e più accorsi al richiamo del presidente. Che, visti i tempi che corrono, ha prudentemente parlato dietro un enorme vetro a prova di proiettile, di cui invece è morto il povero Kirk pur “sorridendo”, come ha rivelato la vedova. Che probabilmente finirà per prendere il posto -e se lo meriterebbe- conteso da una ventina di candidati alla successione politica al marito di cui abbiamo letto sui giornali. Uno premurandosi anche di potenziare la scorta personale, e privata, di cui già disponeva.

         Ecco, questa storia del vetro di protezione di Trump mi ha colpito più del suo discorso, e di tutta la manifestazione allo stadio di Phoenix. Di fronte alla protezione giustamente alle stelle, non solo quelle della bandiera americana, assicurata a Trump, e probabilmente da lui stesso pretesa, mi sembra ancora più inquietante di quanto non abbia già scritto la protezione alle stalle fornita al più famoso e impegnato attivista del presidente degli Stati Uniti. E il fatto che Trump abbia continuato a non parlarne, e a reclamarne le ragioni più ancora della pena di morte per l’assassino riuscito così facilmente nel suo attentato, mi sembra anch’esso sconcertante. Misteri d’America.

La Lega del mondo al contrario, dove il generale dipende dal capitano

         Tra discorsi, musica, canti, bandiere e striscioni e una presenza assidua, assicurata anche con infusioni mediche per metterlo al riparo da coliche, con i calcoli trasferitisi dal cervello, producendo furbizie, ai reni producendo dolori paragonabili a quelli di un parto per la donna, tra ospiti vicini e lontani vecchi e nuovi, Matteo Salvini ha sicuramente posseduto la Lega a Pontida. E’ stata ed è sua, altro che di Roberto Vannacci, il generale indigesto a tanta parte della nomenclatura, direi, del Carroccio. Insensibili al mezzo milione di voti di preferenza, reali, con tanto di nome e cognome scritti sulle schede, raccolti dall’ex comandante della Folgore nelle elezioni europee dell’anno scorso.  Quel “vice segretario” conferitogli da Salvini, una volta iscrittosi al partito e pagata -presumo- la quota dovuta, il generale può pure farselo stampare sui biglietti da visita e sui manifesti, ma non gli conferisce nessun titolo di comando politico.

         A supporto della leadership indiscussa e assoluta di Salvini è intervenuto a Pontida anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Che, forte pure di quel + guadagnatosi internazionalmente nella valutazione dei conti nazionali ai quali sovrintende, ha reclamato nel partito ordine e obbedienza, rispetto dei gradi. Ma al contrario, come il mondo avvertito letterariamente da Vannacci, in cui il generale è sottoposto al capitano. Al quale ribellandosi si finisce “scomparsi nel nulla”, ha avvertito Giorgetti.

         Uno di questi scomparsi nel nulla, insieme col “Partito popolare del Nord” fondato nel benevolo silenzio di Umberto Bossi, è il quasi ottantenne Roberto Castelli. Cui la buonanima di Francesco Saverio Borrelli,, salito al vertice della magistratura milanese dopo le cariche delle “Mani pulite”, non rimproverava di essersi guadagnato da Silvio Berlusconi  la nomina a ministro della Giustizia pur essendo solo un ingegnere, per giunta specializzato in acustica.

         “E’ una Pontida snaturata”, ha detto Castelli a Repubblica parlando di quest’ultima edizione del raduno leghista e proponendo per le prossime “Grottaferrata o un’altra località del centro Italia, almeno del centro Italia, se non del sud”. I cui problemi erano stati affidati dalla Lega originaria di Bossi alle cure più dell’Etna, e di un Vesuvio riacceso, che a quelle di un governo a partecipazione leghista.

         La Pontida di questo 2025 per Castelli è stata “un inganno nei confronti dei leghisti ancora in buona fede, un simulacro”. Come il progetto del ponte sullo stretto di Messina rispetto al fiume Adda, a “pochi metri” proprio da Pontida, che “fra poco” perderà due ponti insieme perché  entrambi “saranno chiusi”  col permesso, quanto meno, se non su ordine di Salvini, ministro delle Infrastrutture, oltre che vice presidente del Consiglio e capo supremo della Lega.  

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