I brividi politici a Roma per l’esposizione italiana sul fronte baltico della Nato

         I riflettori accesisi mediaticamente nel mondo sui due aerei italiani assegnati alle postazioni baltiche della Nato che hanno intercettato due caccia russi in Estonia costringendoli alla fuga hanno spiazzato probabilmente più Roma che Mosca. Più Roma perché già il ruolo avuto nella intercettazione dei droni russi in Polonia da un aereo italiano aveva avuto il curioso effetto non di inorgoglire ma di imbarazzare il governo, credo più delle strutture militari. Che si sono rese immediatamente disponibili ad aumentare la partecipazione alla difesa aerea e ricognitiva del confine orientale della Nato, di cui peraltro l’Italia ha il comando ereditato dai tedeschi, ma hanno avuto difficoltà di carattere e provenienza politica nella esecuzione delle decisioni.

         La stessa visita del ministro della Difesa Guido Crosetto già programmata per i prossimi giorni nelle postazioni Nato del Baltico ha finito per assumere, dopo l’accidente in Estonia, un rilievo forse scomodo per l’interessato. Che al pari del suo collega degli Esteri, Antonio Tajani, usa difendersi dagli attacchi politici delle opposizioni al governo sulla questione ucraina dicendo che l’Italia non è in guerra con la Russia, per quanto sostenitrice del paese aggredito. E neppure in guerriglia, avendo avuto l’accortezza di non mettere sul campo un solo stivale, se non quelli dei pochi volontari che vi sono accorsi spesso morendovi nell’imbarazzo della Farnesina di registrarne o diffonderne i nomi.

         La cronaca, e non solo la storia nei tempi più lunghi che le appartengono e spettano, si prende qualche volta la rivincita sulle mistificazioni da prudenza, diplomazia e altro. O, se preferite, i fatti sono più stringenti delle parole.

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La profezia di Andreotti a Craxi sugli effetti italiani della caduta del muro a Berlino

Si sapeva della diffidenza prima e della contrarietà poi di Giulio Andreotti alla riunificazione tedesca dopo il crollo del muro di Berlino, e del comunismo. Quando diceva, parlandone anche in pubblico, di amare tanto la Germania da preferire che ne rimanessero due. 

         Non si sapeva ancora che all’ormai amico Bettino Craxi, dopo tante polemiche avute in passato, già superate dai quattro anni di esperienza di suo ministro degli Esteri, fra il 1983 e il 1987, egli lo avesse scoraggiato dal sostegno alla riunificazione tedesca dicendogli che ne sarebbero “morti”. Travolti, come in effetti poi avvenne, dai cambiamenti che sarebbero derivati anche nella politica interna, una volta caduto col muro di Berlino non solo il comunismo ma anche l’anticomunismo. Che è sopravvissuto solo come espediente tattico, non come programma politico.

         Ciò che non si sapeva di Andreotti lo ha rivelato, alla fine di una intervista autobriografica al Corriere della Sera, Umberto Cicconi: il fotografo arruolato da Bettino Craxi dopo averne apprezzato alcune immagini di Pietro Nenni, poi diventatogli amico e infine parente in quanto cognato del figlio Bobo.  Che è il marito di Scintilla Cicconi, Scilla per gli amici, anche per me che non la vedo e non la sento più da tanto tempo.

         Cicconi ha parlato genericamente di “sollecitazioni” politiche per la creazione del clima necessario alla caduta del muro di Berlino giunte a Craxi, e da lui raccolte nonostante la profezia dell’allora presidente del Consiglio, succedutogli a Palazzo Chigi dopo una rapida passerella di Amintore Fanfani, Giovanni Goria e Ciriaco De Mita.  

         Lì per lì si potrebbe pensare che le sollecitazioni raccolte da Craxi, o nelle quali egli “inciampò”, secondo l’intervista di Cicconi, fossero state quelle dei socialisti tedeschi, che lui chiamava cugini. E coi quali si era raccordato già una volta per il riarmo missilistico della Nato voluto dal presidente americano Ronald Reagan sia per proteggere l’Europa dallo svantaggio accumulato rispetto ai missili dei paesi del Patto di Varsavia, sia per spingere l’Unione Sovietica in una rincorsa fatale alla sua economia. Che schiantò in effetti precedendo e contribuendo a determinare la caduta del muro di Berlino, senza che si sparasse, per il suo abbattimento, un solo colpo di pistola. Solo colpi di piccone.

         Ma oltre, e forse ancor più che ai “cugini” tedeschi, Craxi rispose con la sua posizione politica prevalsa sulle resistenze di Andreotti, di cui d’altronde era ministro degli Esteri il socialista Gianni De Michelis, alle sollecitazioni dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Che dalla sua postazione al Quirinale, dai contatti personali che aveva a livello internazionale, dall’esperienza fattasi prima come ministro dell’Interno e poi come presidente del Consiglio, aveva maturato la convinzione che la caduta del comunismo, e del relativo o conseguente anticomunismo, potesse produrre nuove energie  ed evoluzioni politiche. Avrebbe potuto per esempio- come mi disse incontrandoci a Milano nel 1992-  chiudere la fase della sinistra italiana “egemonizzata”, come si diceva allora, dai comunisti ed aprire quella di una sinistra unificata e ristrutturata a guida di Craxi. Con il quale l’allora Capo dello Stato aveva un rapporto particolare di stima e amicizia. Un rapporto resistito a tutte le difficoltà drammatiche dell’ormai caduto leader socialista.

Di Craxi fu proprio Cossiga l’ultimo ospite politico ricevuto nella villa tunisina di Hammamet. Dove Bettino lo richiamò, ad incontro terminato,  mentre Cossiga camminava verso l’uscita dalla stanza, per chiedergli di scambiarsi l’ultimo abbraccio. Mi vengono francamente i brividi solo a ricordarlo.

Pubblicato sul Dubbio

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