In memoria di Emilio Fede, andatosene a 94 anni compiuti

         A 94 anni, quanti Emilio Fede ne aveva compiuti il 24 giugno scorso, si muore inevitabilmente stanco. E temo, per il mio ex amico, oltre che collega, anche o soprattutto deluso per le amarezze, le disavventure e quant’altro seguite a tante soddisfazioni meritate per quel “mesteriaccio”, come lo chiamava, che sentiva di avere “in corpo”.

         Smettemmo purtroppo, o almeno smisi io di essergli amico, nel clima velenoso di Tangentopoli. Quando, succedutomi peraltro alla direzione di Videonews, dell’allora Fininvest berlusconiana, venni a sapere, e trovai conferme, che nelle concitate giornate e nottate di “mani pulite” -quando si inseguivano notizie e ancor più voci, minacce e insinuazioni di arresti, che peraltro i suoi cronisti raccoglievano e rilanciavano davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, con i tram che sferragliavano alle loro spalle- lui aveva messo nel conto, diciamo così, che io, allora direttore del Giorno, potessi rischiare accertamenti, quanto meno. E ciò per il sospetto che il nostro comune amico Bettino Craxi avesse potuto chiedermi e, ancor più, ottenere di farmi intestare un conto per farvi transitare finanziamenti illegali al suo partito.

         Erano anni, giorni, ore terribili. Gli staccai la spina, diciamo così, anche delle telefonate notturne nelle quali mi anticipava ogni tanto, con parole disperate, l’imminente arresto del nostro comune amico Bobo, il figlio di Bettino.  Erano -ripeto- anni, giorni, ore terribili. Non fu l’unica amicizia che persi. E che dopo, molto dopo, sono stato tentato di ripristinare, specie dopo la scomparsa della moglie che avevo ben conosciuto, per consolarlo dell’eccessivo contrappasso che gli era capitato. Tentato, ma sempre trattenuto all’ultimo momento dall’orgoglio. O dal malanimo, forse. Di cui un po’ adesso mi pento, riandando con la memoria ai momenti felici dei nostri ormai lontani rapporti personali e professionali. Ciao, Emilio.

Il vento del novo ordine mondiale che soffia da Shanghai

         Meglio tardi che mai, di certo. E neppure uniti, perché dei cosiddetti “giornaloni”, sempre supponenti nelle loro analisi, nelle loro cronache, nei loro retroscena, solo Repubblica e Sole 24 Ore di Confindustria hanno avvertito nei loro titoli il vento venuto da Shanghai e Tianjn. Dove Putin, forte anche della legittimazione ottenuta a Ferragosto in Alaska da Trump, ha partecipato coi colleghi e omologhi cinese, indiano eccetera eccetera, compreso il turco ancora componente -se non ricordo male- della Nato, quanto meno alla gestazione, se non alla vera e propria nascita annunciata da Repubblica dell’”alleanza contro l’Occidente”.

E’ un’alleanza che da sola -ha calcolato Mattia Feltri sulla Stampa- detiene “un quarto del pil mondiale”. Salvo aggiornamenti da parte del Sole 24 Ore, che per ora ha solo messo nel conto “un nuovo ordine globale alternativo agli Usa”. Il cui presidente non sfugge all’attenzione di Massimo Gramellini, rientrato dalle ferie al Corriere della Sera, per quel suo girovagare con un Suv, che cerca di fare uscire fuori strada l’utilitaria, o quasi, dell’Europa. Senza accorgersi che un altro Suv ancora potrebbe fargli fare la stessa fine.  

In questo circuito infernale continuano a combattersi guerre ed essere auspicate paci improbabili.    Non parliamo poi delle miserabili cronache della politica interna italiana.

Quel filotto del centrodestra al biliardo del Vaticano che ha spiazzato la Schlein

Diavolessa di una segretaria del Pd, Elly Schlein chiude l’estate con un po’ di anticipo lasciando il partito in braghe di tela -temo- su un versante assai delicato com’è quello religioso. Delicato sia per la parte proveniente da un partito che si chiamava ed era addirittura Democrazia Cristiana, sia per la parte che, pur chiamandosi Partito Comunista”, era attentissimo ai rapporti con la Chiesa. La buonanima di Palmiro Togliatti fece andare di traverso a Pietro Nenni il voto per la costituzionalizzazione dei patti lateranensi di eredità mussolinana. E il Pci si schierò poi a favore del divorzio, in Parlamento e nello scontro referendario che ne seguì, con una certa fatica su cui scherzava con feroce ironia quell’altro diavolo di Marco Pannella.

         La Schlein, dicevo, ha la possibilità non comune -se la sogna anche il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani con il suo radicamento ciociaro-di scegliere ogni giorno, ogni ora, ogni minuto quale passaporto esibire fra i tre che possiede: americano, italiano e svizzero in ordine quanto meno alfabetico. Può indossare le sue camicettecon la consulenza di una specialista d’armocromiadi cui le cronache politiche avevano ignorato l’esistenza prima di lei, arrivata al Nazareno vantandosi di avere sorpreso tutti, forse anche se stessa.  Ha distribuito, sempre la Schlein, incarichi di ogni tipo, di direzione, di segreteria e chissà cos’altro, per avere rapporti con tutti e con tutto, ma si è dimenticata di istituirne o darne uno per i rapporti in senso lato con la Chiesa. Cui invece i grandi e anche piccoli partiti della lontana prima Repubblica provvedevano con cura.

         Questa incresciosa circostanza è stata rimproverata alla Schlein non da un’avversaria ma da un’amica e collega di partito: una cattolica orgogliosamente “adulta” come l’ex presidente del Pd, ex ministra della Sanità di Romano Prodi ed ex vice presidente della Camera Rosy Bindi. Che, per quanto orgogliosa pure di non essere fra i politici preferiti dagli eterni ragazzi e giovani di Comunione e Liberazione, non è riuscita a ingoiare silenziosamente le cronache e le immagini della premier Giorgia Meloni accolta coma una regina al loro raduno annuale a Rimini. Uno spettacolo preceduto da un’udienza dal Papa in Vaticano e seguito, come un filotto al biliardo, da un’udienza pontifica al vice presidente forzista del Consiglio, il già citato Tajani, e da una all’altro vice presidente del Consiglio, leghista, Matteo Salvini. Una specie di centrodestra di casa oltre le Mura, dove invece brilla di assenza, di imbarazzo e di quant’altro la sinistra candidatasi all’alternativa.

         Già scomode di loro le polemiche e le distinzioni al Nazareno e dintorni fra i vari gradi o le varie tendenze del cosiddetto riformismo, che nel Pci era addirittura una parolaccia, quelle sui rapporti con la Chiesa, e sulle tonalità o gradualità cattoliche della militanza e dirigenza nel Pd sono scomodissime. Se è insorta, a suo modo, fra un’intervista alla Stampa e una lettera ad Avvenire la cattolica “adulta”- ripeto- Rosy Bindi, ancora di più si è fatto sentire, parlandone al Corriere della Sera, un cattolico più tradizionale, diciamo così, come l‘ex ministro ed ex capogruppo Graziano Delrio. 

Pubblicato sul Dubbio

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