Le mine in Ucraina possono pur attendere, anzi aumentare

         Anche a costo, o forse proprio per ostacolare all’amico Donald Trump, nonostante tutta quella cordialità ostentata in Alaska da entrambi, la corsa al premio Nobel della pace proposto per lui, peraltro, da uno specialista di guerre com’è costretto dalle circostanze ad essere il premier israeliano Nethanyau, lo zar Putin di tutta la Russia, che però non gli basta, sta esercitando come più. e peggio, non poteva il suo “diritto all’offesa”. Come gli attribuito Stefano Rolli con sagacia nella vignetta di oggi sulla Stampa.

         Non passa giorno, forse neppure ora, senza che piovano bombe, a grappoli e non,  missili, droni e altro ancora sulla “martoriata” Ucraina, come diceva il compianto Papa Francesco, pur rimproverandole troppo interesse per la Nato,  e ripete Papa Leone XIX dal giorno della sua elezione.

         Gli obbiettivi, tutti definiti “militari”, anche ospedali e scuole, senza sotterranei trasformati in basi d’artiglieria come a Gaza, sono selezionati sempre con maggiore perfidia, come ieri a Kiev colpendo la sede di rappresentanza dell’Unione Europea, così impegnata a sostenere la resistenza di Zelensky all’invasione russa. Come per diffidarla a proseguire negli sforzi e a indurre Trump alla “tentazione” non dico di tornare al predecessore e odiato Biden, ma di riavvicinarsi davvero a Zelensky, non più limitandosi a riceverlo alla Casa Bianca, o altrove, senza insultarlo come a febbraio scorso, se non ricordo male.

         In questo quadro o scenario di esercizio del diritto all’offesa -ripeto- si allontana naturalmente anche la prospettiva di un contributo italiano, a conflitto terminato o quanto meno sospeso, a sminare l’immenso territorio ucraino disseminato di simili ordigni della stessa Ucraina e della Russia.

Perché non ci fossero dubbi si è esposta in senso negativo la stessa premier Meloni, anche a costo di smarcare questa volta non l’abituale presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini ma quello forzista, e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Che, dal canto, si è subito adeguato osservando o scoprendo che c’è tempo per decidere. Sempre più tempo.

Rosy Bindi giocherella a fare Sgarbi…con ritardo a Giorgia Meloni

         Il tempo passa ormai così rapidamente che sembra archeologia parlare di 16 anni fa.  Quando Vittorio Sgarbi diede a Rosy Bindi, ancora sotto i 60, della “più bella che intelligente”. Che significava dubitare impietosamente sia dell’una che dell’altra.

         Rosy Bindi, allora presidente del Pd ma già ministra della Sanità del primo governo di Romano Prodi, proveniente naturalmente dalla sinistra democristiana, finse di stare allo scherzo. Ma quando la battuta fu ripetuta in televisione da Silvio Berlusconi  il bersaglio perse le staffe e si prese tanto sul serio anche sul piano fisico da definirsi “indisponibile”. Come se l’allora presidente del Consiglio l’avesse voluta corteggiare e arruolare fra le disponibilissime olgettine nelle allegre serate di Arcore e dintorni.

         Oggi Rosy Bindi ha 74 anni, peraltro ben portati, e ancora voglia di partecipare al cosiddetto dibattito politico fra interviste e passaggi per qualche salotto televisivo, fiera delle sue idee, sempre le stesse, e anche delle esclusioni, come dai raduni riminesi dei ciellini. Che evidentemente la considerano una cattolica troppo “adulta”- come disse di lei e di se stesso Prodi- per starle dietro. Ma, per quanto fiera di questa esclusione, sembra averle dato troppo fastidio l’accoglienza appena ricevuta a Rimini alla premier Giorgia Meloni, come se fosse “una figlia della balena” bianca, cioè della Dc, come si è divertito a scriverne sul Foglio il direttore Claudio Cerasa, e non una sorella dei più noti  fratelli d’Italia.

         Brava, tempestiva e quant’altro nel farsi piacere dal pubblico ciellino, la Bindi parlandone alla Stampa le ha dato della “più bella che bugiarda”. Una battuta, in verità, più che da Sgarbi, da Gigi Marzullo. Che in televisione si diverte a porre agli amici, spesso spiazzandoli, domande di una certa stravaganza e insieme complessità.

         La “bugiarda” praticamente data dalla Bindi alla Meloni sarebbe meritata perché la premier, a Rimini ha rispettato l’abitudine di “lisciare il pelo al pubblico a cui sta parlando”. E alla intervistatrice che le faceva notare che “questo lo fanno un po’ tutti i politici” ha risposto piccata: “No. Un bravo politico, una donna di governo, dice le stesse cose a tutti, trovando una sintesi in cui possa riconoscersi l’intero Paese”. O solo l’intero partito, se è un uomo o una donna non di governo ma solo di partito, appunto. Come la segretaria del Pd Elly Schlein.

A proposito di quest’ultima, la Bindi le ha ricordato abbastanza criticamente, fra l’altro, “che un partito che si candida a governare il Paese dovrebbe tenere i rapporti col mondo cattolico italiano, con la Cei e con il Vaticano. Nei grandi partiti del passato c’era un dirigente incaricato di quelle relazioni”. Che la Meloni ha forse l’inconveniente, agli occhi della Bindi, di tenere direttamente col Papa: prima l’argentino Francesco e ora l’americano Leone XIV.

Quella sintonia con Draghi che Meloni ha voluto preservare

Fra i “nuovi mattoni” con i quali continuare a costruire “la casa europea cominciate da altri” -ha detto la premier Giorgia Meloni nel suo applauditissimo discorso al raduno annuale dei ciellini- ci sono evidentemente anche quelli di Mario Draghi, suo predecessore a Palazzo Chigi. Dal quale raccolse quasi tre anni fa le consegne in modo oltremodo cordiale, direi compiaciuto da parte di entrambi. Un Draghi di cui la Meloni a Rimini ha condiviso anche l’analisi spietata di un’Europa “evaporata” nella presunzione di una forza derivante da un mercato di quasi cinquecento milioni di consumatori. Evaporata nel confronto col presidente americano Donald Trump e con le guerre che egli non riesce a spegnere né in Ucraina né in Medio Oriente, pur essendosi vantato di averne risolte altre. Difficilmente sufficienti -temo per lui- a garantirgli quel premio Nobel della pace cui aspira tanto, con la designazione da parte del governo israeliano, da essersi esposto in qualche intervento personale rimproveratogli dalla stampa internazionale.

         Eppure l’analisi spietata di Draghi davanti alla stessa platea della Meloni, ma qualche giorno prima, era sembrata poco affine alla linea tradizionale della premier italiana, non più “sovranista” come un tempo ma ancora abbastanza per preservare buona parte delle sue relazioni internazionali e l’alleanza di governo, in Italia, con quel sempre più ingombrante e insofferente Matteo Salvini.

Il fatto che la premier abbia tenuto pubblicamente a condividere il quasi funerale dell’Unione europea celebrato da Draghi è forse il più sorprendente, significativo, paradossale e quant’altro di questa stagione politica, in uscita da un’estate di fuoco e verso un altro autunno forse caldo, come altri della vecchia prima Repubblica e un po’ anche della seconda in corso.

L’unione, per quanto acrobatica, fra la delusione di Draghi e la speranza europeistica della Meloni si trova un po’ nella lettura che di Draghi ha appena dato, in una lunga intervista al Corriere della Sera, l’ex premier, pure lui, Mario Monti. “L’Europa ha detto il senatore a vita, già commissario italiano a Bruxelles su destinazione bipartisan, prima da destra e poi da sinistra- è già caduta nella irrilevanza ma non è condannata a restarci”.

Ecco il punto, il terreno, il sentiero, per quanto stretto, su cui la Meloni si ritrova con Draghi, e con lo stesso Monti. Un sentiero che potrebbe procurare ad un europeista dichiarato come Antonio Polito, del Corriere della Sera, gli stessi “brividi”, o qualcosa di simile, avvertiti e confessati scrivendo dell’accoglienza riservata dai ciellini alla Meloni dopo quelli a Draghi. Brividi non so se più di paura o di speranza. Un po’ come quelli che a distanza ha avvertito e sta avvertendo probabilmente un altro europeista come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appena rientrato pure lui dal suo ritiro dolomitico di estate.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it

Blog su WordPress.com.

Su ↑