Giorgia Meloni ormai di casa…alla Casa Bianca di Trump

         Pur rimpicciolita dalle dimensioni dell’auto da cui era scesa e della guardia presidenziale che le aveva sorretto la portiera sulla soglia della Casa Bianca, la premier Giorgia Meloni ha fatto la sua figura nel vertice euro-americano svoltosi con la partecipazione del presidente ucraino Zelensky, precedentemente incontratosi sia con i rappresentanti europei sia col presidente degli Stati Uniti.

         Il rapporto amichevole e dichiaratamente “speciale” con Trump, tradotto in Italia dalle opposizioni rosiconi in una subordinazione umiliante, e persino pericolosa per l’Unione europea, non ha impedito alla Meloni di partecipare agli stimoli pro-Ucraina avvertite ed espressi, rispettivamente, dopo l’incontro del presidente americano in Alaska con Putin. E il massimo di voti datosi dall’uno e dall’altro pur in mancanza di un accordo. O di un accordo esplicito, a meno di accordi segreti e per ciò stesso sospetti o persino inquietanti perché inevitabilmente sopra la testa sia dell’Ucraina sia degli europei che la sostengono più degli americani, o del loro presidente. Che pure- -va detto- non ha potuto o voluto sottrarsi al gesto significativo di consegnare in Alaska una lettera di sua moglie Melania a Putin su un aspetto fra i più disumani della guerra, o “operazione speciale”, della Russia contro l’Ucraina sequestrando e deportando bambini. Sino a incorrere in una precisa accusa e sanzione pur declamatoria della Corte Penale Internazionale dell’Aja, come è accaduto al premier israeliano per la guerra a Gaza pur provocata dai terroristi palestinesi col pogrom del 7 ottobre di due anni fa.

         Alla Casa Bianca Trump ha riservato non certamente a caso il primo posto alla sua sinistra, nel vertice, proprio alla Meloni, e alla sua destra al presidente francese Emmanuel Macron. E della Meloni, presentata come “grande leader e fonte di ispirazione”, ha condiviso con cenni del capo la riproposizione di una garanzia di sicurezza all’Ucraina attraverso il ricorso e l’applicazione del famoso articolo 5 del trattato della Nato notoriamente ostica a Putin. Può diventare realistico proprio attraverso questo che non può essere considerato un espediente, per le forze politiche e militari che ne sono coinvolte, a cominciare dagli Stati Uniti, il superamento definitivo delle resistenze di Zelensky ad una trattativa trilaterale per la pace pur in assenza di una tregua rifiutata da Putin. E riproposta con forza da Macron alla Casa Bianca.

         Negare alla Meloni, come già avverto nell’aria mediatica e politica, l’importanza del ruolo svolto in una Casa Bianca che le è ormai….di casa, non è solo una pratica di opposizione preconcetta. E’ semplicemente, più gravemente, una notizia falsa.

Quella nostalgia democristiana di Pippo Baudo

Gli indizi, chiamiamoli così, erano già tanti, ma il senatore quasi a vita Pier Ferdinando Casini, il più democristiano di certo fra gli ospiti nelle liste elettorali del Pd, ha voluto testimoniarlo. Pippo Baudo, l’appena scomparso “Re della Tv” per riconoscimento generale, anche nella formula sarcastica di “Sua Puppità” affibbiatagli da Marco Travaglio sul Fatto quotidiano”, è rimasto democristiano sino alla fine.

         “Due anni fa -ha raccontato Casini ai giornali dell’amico Andrea Riffeser Monti- mi telefonò per dirmi: bisogna rifare la Democrazia Cristiana. Timidamente argomentai che mi sembrava impossibile, che i tempi erano passati. Per vigliaccheria alla fine gli dissi. Vediamoci e parliamone. Volevo buttare la palla avanti. Ma mi colpì la sua determinazione”. Vigliaccheria, l’ha chiamata Casini. Ma fu più generosità, per ridurre il peso dei rimpianti, delle delusioni, e non solo dei successi fra i quali Baudo ha trascorso i suoi ultimi anni. E dei quali la Rai ha ritenuto forse di scusarsi a morte avvenuta, celebrandolo su tutte le sue reti come a nessun altro, credo, sia mai accaduto. O accadrà di nuovo.

         Richiesto praticamente delle ragioni per le quali, viste la stima, l’amicizia e le affinità politiche appena vantate, non avesse mai offerto una candidatura parlamentare a Pippo Baudo quando poteva farlo disponendo di partiti e di liste, prima di accasarsi in qualche modo nel Pd, Casini ha risposto che in effetti “mai” gli aveva offerto ospitalità politica. “Né mai lo avrei fatto- ha aggiunto- perché lo avrei ritenuto inappropriato. I monumenti vanno rispettati”.

         Anche Fabio Fazio, sul versante televisivo e artistico, ha monumentalizzato  Pippo Baudo, sino ad avvertirne la mancanza adesso come se gli fosse crollato davanti “il Colosseo”. Non so se facendo più torto all’uno o all’altro. Il troppo, si sa, stroppia.

         Il ricordo della democristianità di Pippo Baudo è stato condiviso e al tempo stesso rilanciato sulla Stampa da Marco Follini evocando l’infelice esperienza vissuta da consigliere di amministrazione della Rai, per conto della Dc, quando un duro attacco rivolto all’artista e conduttore dal presidente socialista dell’azienda, Enrico Manca, creò le condizioni dell’”allontanamento” di Pippo Baudo. Che fu catturato da Silvio Berlusconi per la sua televisione commerciale come direttore artistico. Un ruolo però che Baudo non riuscì a svolgere per le resistenze dei cosiddetti colleghi del Biscione. Vi rinuncio abbastanza rapidamente,  e costosamente, non volendo aspettare i tempi di ambientamento e di convincimento invocati dall’editore. Un democristiano insomma, Pippo Baudo, di una risolutezza sottovalutata da un Berlusconi – “Sua emittenza”, come era chiamato indistintamente da avversari e amici- che riteneva di essere ineguagliabile nel giudizio sugli altri, e nella scoperta dei talenti.  Adesso avranno cose da dirsi quei due nel più misterioso degli spazi.

Pubblicato sul Dubbio

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