I palinsesti televisivi della Rai…sequestrati da Pippo Baudo

         I palinsesti della Rai sono stati inconsapevolmente sequestrati da Pippo Baudo, celebrato in morte su tutte le reti pubbliche con un sottinteso di pentimento, credo, per la solitudine alla quale era stato abbandonato in vita, prima ancora che le condizioni di salute lo avessero imprigionato.

Uno come Pippo Baudo, che Emilio Giannelli nella bellissima vignetta di prima pagina del Corriere della Sera ha messo oggi in groppa al cavallo della Rai per il suo ultimo viaggio, non lo si lascia invecchiare senza un ruolo, fosse anche simbolico, in un’azienda che aveva ricevuto da lui più di quanto non gli avesse dato.

         Marco Follini, militante, dirigente e infine storico della Democrazia Cristiana, ha voluto ricordare sulla Stampa l’esperienza amara, credo, vissuta da consigliere d’amministrazione della Rai quando Baudo di fatto “ne venne allontanato” perché “si era scontrato col presidente Manca”. Enrico Manca, socialista, ma non proprio di tendenza craxiana, avendo partecipato con Francesco De Martino, il predecessore di Bettino Craxi come segretario del Psi  alla riduzione del partito a forza subalterna al Pci, annunciando per esempio, sino a provocare le elezioni anticipate del 1976, che mai più i socialisti avrebbero partecipato a governi con la Dc senza l’appoggio dei comunisti. Eppure la Dc era ancora quella di Aldo Moro, presidente del Consiglio in quei tempi.

         Il povero Baudo, liquidato da Manca come “nazionalpopolare”, pur dopo un simile “allontanamento” -ripeto l’espressione di Follini- dalla Rai non trovò nelle televisioni di Silvio Berlusconi le condizioni per svolgere le funzioni di direttore artistico conferitegli dall’editore. E preferì allontanarsene subito e spontaneamente, piuttosto che farsi logorare dalle resistenze e dalle invidie dei colleghi cosiddetti artisti. E lo fece senza intentare cause che avrebbe probabilmente vinto, rimettendoci una ventina di milioni di euro, quanto lui stesso valutò il danno parlandone con distacco nel 2005.

         “Sua Pippità”, come oggi lo lascia sfottere Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, lasciò di stucco con quel gesto di dignitosa insofferenza e protesta “Sua Emittenza” Silvio Berlusconi, come il Cavaliere di Arcore veniva chiamato da avversari, critici ed anche qualche amico spiritoso. Chissà se Pippo Baudo avrà modo di incontrarlo nell’aldilà, e di riceverne le scuse, prima ancora del benvenuto.

Ripreso da http://www.startmag.it il 23 agosto 

Il balenotto Pippo Baudo, di tendenza e amicizia andreottiana

Al pur bravissimo, inesauribile, poliedrico Pippo Baudo, “una persona gentile -ha scritto di lui Walter Veltroni, che di tv capisce forse ben più di politica che pure gli ha dato molto, ma non tutto quello che meritava, francamente- che entrava nelle case senza far rumore, che sapeva fare televisione e spettacolo senza gridare”, non è riuscito ciò che fu possibile invece nel cinema a Greta Garbo e lo è tuttora, per la televisione e la canzone, a Mina. Che a 85 anni di età, quattro in meno di quanti ne avesse compiuti il mio amico Pippo il 7 giugno scorso, riesce a incuriosire e piacere al pubblico per la bravura con la quale gestisce il suo ritiro, non solo la sua vecchiaia. 

         Il ritiro dalla scena è stato vissuto da Pippo con sofferenza, anche fisica. Walter Veltroni, sempre lui, ha raccontato sul Corriere della Sera di aver sentito dire qualche anno fa a Pippo, da lui richiesto come vedesse il futuro: “Domanda difficilissima che, fortunatamente, non mi pongo perché, guardando l’età, guardando il calendario e i giorni che passano, dico: che succede? Quando arriva?”. E Walter ha concluso con una sofferenza partecipe e liberatoria insieme, con sapienza di scrittore e di giornalista restituitoci dal Pd: E’ arrivata, purtroppo”.

         A proposito della politica, Baudo non è stato certo un agnostico: uno tutto spettacolo, studio televisivo, teatro, musica, scherzo, divertimento. E’ stato un figlio, diciamo così, della balena bianca, cioè della Democrazia Cristiana, con le sue correnti più o meno stabili. Alle quali capitava che anche uomini dello spettacolo, e non solo giornalisti, venissero iscritti d’ufficio da esperti veri o presunti di quel partito. Per qualche tempo Pippo si trovò attribuito alla corrente di Ciriaco De Mita, che ad un certo punto consigliò all’amico e potente Biagio Agnes, sopra al cavallo di viale Mazzini, di farla finita con un certo ostracismo al ritorno di Baudo, che aveva abbandonato la Rai per lasciarsi assumere come direttore artistico da Silvio Berlusconi. Il quale però non riuscì a imporlo, o a farlo ingoiare nel Biscione, da cui Pippo uscì anche a costo di rimetterci, per penali e simili, un palazzo che possedeva a Roma, in viale Aventino, a due passi dal centro di produzione Fininvest del Palatino.  Un danno poi calcolato da Baudo attorno ad una ventina di milioni di euro.

         Classificato in senso spregiativo come “nazional-popolare” dal presidente socialista della Rai Enrico Manca, che non gli perdonava di aver lasciato attaccare in una sua trasmissione i socialisti da Beppe Grillo come ladri,  a cominciare da Bettino Craxi, il povero Baudo -che, vi assicuro, personalmente apprezzava il leader del Psi- si fece un po’ tentare dalla politica solo una volta, corteggiato dagli amici di Giulio Andreotti che, a Dc bella che sciolta e sepolta, volevano allestire per un turno elettorale non ricordo più di quale livello, regionale o nazionale, una lista  di sapore terzopolista nella seconda Repubblica bipolare. Lo stesso Baudo mi confidò che, accertatosi personalmente di una certa freddezza di Andreotti per quella iniziativa, che pure gli veniva intestata da cronisti e retroscenisti di prima, seconda e terza fila, si risparmiò. E così rimase andreottiano davvero, come io penso che sia sempre stato fra i balenotti. Siciliano di nascita e andreottiano di spirito, direi. Dell’Andreotti noto per la sua convinzione che a pensare male si faccia peccato ma s’indovini con una certa frequenza. O che il potere logori chi non ce l’ha. O, quasi di conseguenza, che sia meglio tirare a campare che tirare le cuoia.

         La sicilianità o insulirità, diciamo così, irriducibile di Pippo deve avere contribuito a farlo apprezzare in modo particolare dal presidente, sicilianissimo, della Repubblica Sergio Mattarella, che si è detto addolorato della morte di “un protagonista e innovatore della televisione”, capace per professionalità, cultura e garbo di “interpretare i gusti e le aspettative dei telespettatori italiani”. E’ vero.

Pubblicato su Libero

Ripreso da http://www.startmag.it il 30 agosto

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