La popolarità della causa ucraina in Italia, per quanto sommersa nelle piazze dalla impopolarità di quanto sta accadendo a Gaza, nasce da una certa affinità fra il carattere risorgimentale della lotta di Zelensky e il Risorgimento italiano di due secoli fa.
L’Italia della “espressione geografica” alla quale era stata confinata dal ministro degli Esteri d’Austria alla Conferenza di Vienna, seguita alle guerre di Napoleone, aspirava alla sua unità tra le catene, gli intrighi e quant’altro delle potenze europee come l’Ucraina oggi, fatte naturalmente tutte le differenze dovute, difende il suo diritto all’esistenza. Un po’ come anche Israele in quella polveriera che è il Medio Oriente.
L’Ucraina dispone oggi dell’ormai ex attore comico Volodymir Zelensky, non di Camillo Benso di Cavour dell’Italia risorgimentale. E neppure di un Giuseppe Conte in salsa ucraina, promosso in Italia dal generoso e immaginifico Marco Travaglio all’ex presidente del Consiglio secondo solo alla buonanima di Cavour, appunto. Ma l’ostinazione, le difficoltà, le trappole fra le quali si muove Zelensky, specie in questo Ferragosto d’Alaska, dove Donald Trump e Vladymir Vladimirovic Putin si sono dati appuntamento per cercare di spartirsi mezzo mondo, come fecero russi, americani e inglesi in Crimea ottant’anni fa, alla fine della seconda guerra quasi planetaria; l’ostinazione, dicevo, e tutto il resto di Zelensky sono pari a quelle pur meno cruente di Cavour. Che neppure poteva immaginare la bomba atomica, o soltanto i missili.
Anche a costo di sconfinare nella ingenuità, non penso che le grandi potenze di oggi possano schiacciare il risorgimento ucraino, come quelle di due secoli fa non riuscirono a schiacciare quello italiano, finendo anzi per dividersi. Con la Francia, e sotto sotto anche la Gran Bretagna, che finirono per dare una mano agli taliani piuttosto che agli austriaci.
Sono fiducioso nel risorgimento ucraino così come in quello europeo, visto che pure l’Unione si trova a dovere uscire da quella espressione, anch’essa geografica, o geografica ed economica, cui la confinano i pessimisti nello stesso vecchio continente. E vorrebbero confinarla, in fondo, anche Trump e Putin in un disegno imperialistico che non mi fa paura, lo confesso. Mi fa semplicemente ridere, pur con tutti i rischi nucleari, per la troppa considerazione che hanno di sé i presidenti americano e russo. Di sè e dei loro paesi in un mondo dove entrambi non possono cancellare dalle carte geografiche né la Cina né l’India e annessi o connessi. Ma che si sono messi davvero in testa, se ne hanno ancora una, quei due, pur con tutti gli arsenali atomici di cui dispongono, e dai quali sarebbero i primi ad essere distrutti se si lasciassero prendere dalla tentazione di usarli? Domanda, naturalmente, retorica.
Pubblicato sul Dubbio