Un riguardo del Corriere della Sera a Cairo l’assist di Galli della Loggia alla Meloni…

         Non dico la simpatia, perché mi avventurerei troppo nel personale, ma la stima di Urbano Cairo, l’editore del Corriere della Sera e de la 7, per Giorgia Meloni è nota nell’ambiente giornalistico e politico. E mi pare anche la sua pazienza, vista la stoica sopportazione per l’antimelonismo praticato da tante firme e tanti volti, specie questi ultimi, che paga.

         Ora si sta godendo le ferie, ma non si preoccupino gli affezionati a Lilli Gruber. Tornerà puntuale alle otto e mezza di sera col e nel suo salotto televisivo, dove la specialità è quella appunto dell’antimelonismo, praticato di solito da tre su quattro o quattro su cinque degli ospiti, compresa la conduttrice che non si lascia mai prendere la tentazione, che pure sarebbe d’ufficio, della neutralità.

         In questo contesto editoriale, anche se dalla televisione sto passando alla carta ancora stampata, penso che sia stato di conforto, sollievo e quant’altro per Cairo l’editoriale di ieri del Corriere della Sera scritto da Ernesto Galli della Loggia. Che già in una visione ottimistica della situazione anticipata con correttezza redazionale, forse anche direttoriale, dal titolo di prima pagina, in cui si parla della “crisi” ma anche dei “rimedi”, e del “declino” ma anche della “scossa possibile”, la firma fra le più autorevoli del giornale più diffuso d’Italia si aspetta che proprio la Meloni voglia e possa intestarsi rimedi, ripeto, e scossa. Una Meloni alla quale i magistrati che la fanno arrabbiare -ha ricordato l’editorialista- procurano “centomila voti” ogni volta che le danno occasione di lamentarsi degli sconfinamenti, a dir poco, del potere giudiziario. O solo ordine giudiziario, come a suo tempo il presidente della Repubblica Francesco Cossiga chiedeva di ripetere con la Costituzione.

         “Mi domando -ha scritto Ernesto Galli della Loggia con una punta retorica – se la presidente del Consiglio riesce a immaginare il consenso, la popolarità immensa che otterrebbe se intervenisse in modo efficace  e rapido, cioè non nominando una commissione, per almeno abbreviare il percorso” di uscita da “una mostruosa piovra giuridico-amministrativa”, i cui tentacoli  paralizzano l’azione di qualsiasi governo. Alla malora le “migliaia di disposizioni precedenti, procedure labirintiche, valanghe di pareri obbligatori preliminari, continua possibilità di ricorsi, minutissimi regolamenti attuativi necessari per ogni cosa”.

         “Se lei decidesse -ha insistito e concluso l’editorialista del Corriere scrivendo della Meloni e assolvendola dalla colpa forse di non averlo ancora fatto- di mettersi davvero su una strada diversa” da quella del declino, “se lei volesse e fosse capace di trovare le parole per dirlo ma non solo a quelli della sua parte, e sapesse chiamare a raccolta tutte le energie intorno a un grande progetto per la rinascita del Paese, difficilmente -sono sicuro- le sue parole resterebbero senza eco. Lei per prima forse sarebbe stupita della risposta ad esse”. Concordo.

Dal vecchio e il mare al vecchio al volante…..

Dopo averlo doverosamente fatto  col direttore proponendoglielo, mi scuso anche con i lettori per questo articolo che scrivo in pieno, sfacciato, sfacciatissimo conflitto d’interessi, diciamo così per non allontanarmi troppo dall’argomento usuale della politica.

Sono tanto anagraficamente quanto involontariamente partecipe di quei trafficanti di strada con ottant’anni e più sulle spalle che dalle cronache recenti si sono messi infelicemente in concorrenza, pur astemi in genere, con giovani e adulti che, abusando spesso di alcol e telefonino, provocano incidenti, naturalmente anche mortali. Addirittura da stragi, in alcune occasioni.

         I vecchi sono abitualmente più sobri e meno connessi dei giovani e degli adulti, ma più esposti alla sfortuna per i riflessi organicamente più lenti, anche di fronte a certa cartellonistica maltenuta che li fanno arrivare in autostrada, o superstrada, o altro ancora, nella direzione e nel senso sbagliati.

         Ho letto che il vice presidente del Consiglio e ministro dei Trasporti in persona Matteo Salvini ha deciso di occuparsene personalmente, con la tempestività che lo distingue, pur alle prese in questi giorni con la campagna odiosamente, cavernicolamente ostile alla realizzazione del progetto del ponte sullo stretto di Messina, voluto -ha appena ricordato l’entusiasta architetto Massimiliano Fuksas- da Giuseppe Garibaldi attraversandolo a suo tempo in barca. Prima quindi del Duce intravisto in qualche racconto e dei malcapitati, nelle cronache politiche, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi.

Ebbene, mi permetto di segnalare a Salvini e dintorni alcuni aspetti della vita difficile di noi vecchi sulle strade italiane. Non siamo allo storico “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway del 1952, ma al vecchio e il volante della nostra Italia burocratizzata e un po’, come vedremo, anche vagamente iettatoria.

         Il vecchio che dalle nostre parti scampa alla morte dopo gli 80 anni e si ostina a ritenersi ancora in grado di guidare e praticare in autonomia il suo diritto alla vita deve rinnovare la patente di guida ogni due anni, anzichè i cinque precedenti e i dieci ancora più indietro. Il costo del rinnovo è di circa 100 euro, tra certificato del suo medico di base (a pagamento)., tassa e accessori, ma il documento vale, ripeto, solo due anni. Per cui  esso costa cinque volte di più. Mi sembra una sovrattassa sulla vecchiaia.

         Sempre da vecchio, ma al compimento dei “soli” 65 anni, scoprii nella Roma “ladrona” dove Umberto Bossi stentava ad ambientarsi da parlamentare, alla fine riuscendovi bene o male pure lui, di non potere rinnovare il mio abbonamento tramviario nelle solite due rate semestrali. Oltre i 65 anni bisognava rinnovarlo in una unica rata anticipata. Ero a uno sportello dell’Atac in una stazione della metropolitana di viale, addirittura, Giulio Cesare.   Mi accorsi quindi che l’azienda capitolina e il Comune scommettevano sulla morte dell’abbonato. Ne rimasi interdetto. E ancora di più al sorriso, anzi alla risata dell’addetto al servizio opposta alla mia protesta, che non era stata per niente ironica. Non arrivai a li mortacci tua solo per non sapere parlare bene il romanaccio. Come Craxi a Verona non si era unito ai fischi contro Berlinguer perché non sapeva fischiare.

         Non credo che le cose da allora siano migliorate agli sportelli dell’Atac, che smisi naturalmente di frequentare per scaramanzia, preferendo al cattivo gusto dell’amministrazione capitolina la scomodità del biglietto di volta in volta, via via rivelatosi peraltro più vantaggioso dell’abbonamento.

         Buon proseguimento del viaggio a tutti, e in tutti i sensi, vietati e non.

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