Prima Stefania Craxi dall’interno della maggioranza, poi il fratello Bobo dal campo non so quanto largo delle opposizioni aspiranti all’alternativa hanno tenuto a ricordare agli immemori che il ponte sullo stretto di Messina –“la grande opera della discordia”, come l’ha definita oggi La Stampa dalla lontana Torino- piaceva al padre Bettino. Che lo aveva inserito da presidente del Consiglio nel 1986 fra le necessità e opportunità del Paese, tornando a sostenerlo nel 1998 ad Hammamet, con le acque della Tunisia alle spalle. E’ stato Bobo, in particolare, a recuperare il video e a riproporlo su Facebook.
Temo, per il ponte, per quanti l’hanno progettato, lo hanno sostenuto esostengono, ne hanno approvato il progetto stando al governo e sono decisi a goderne la realizzazione entro i sette o otto anni promessi dalla premier Giorgia Meloni e dal vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini; temo, dicevo, che la rivendicazione della paternità anche di Craxi, oltre a quella successiva di Silvio Berlusconi, evocato pure lui in questi giorni, costituirà una circostanza aggravante nei processi politici e mediatici contro il collegamento strutturale e avveniristico fra il continente e la Sicilia. Sappiano come vanno in Italia certe cose e certi processi, limitati finora -ripeto- al piano mediatico e politico ma con buone probabilità di avere appendici giudiziarie. Persino l’onnipotente prefetto Gianni De Gennaro è finito di recente in alcune intercettazioni e indagini per avere parlato appunto del ponte, alla cui realizzazione è interessato, con un alto magistrato che se ne occupava per prevenire infiltrazioni mafiose nell’affare.
Chissà quanti finiranno, spero solo metaforicamente, sotto il ponte progettato per essere il vanto d’Italia, come la cupola del Brunelleschi a Firenze e quella di Michelangelo a Rona. E descritto dal menagramo collettivo di sinistra come una disgrazia costosissima. Al pari di ciò che, sempre a sinistra, comprensiva di Ugo la Malfa e amici, si diceva a suo tempo della televisione a colori in un’Italia ancora confinata nella tv in bianco e nero. Oggi gli stessi uomini, fra i pochi sopravvissuti anagraficamente, e i loro figli e nipoti si vantano di essere “progressisti”, sempre opponendosi al nuovo.