Mario Monti, il senatore a vita e conte europeo degli ossimori

         Ok, abbiamo capito leggendone il lungo editoriale di oggi sul Corriere dellaSera, pur dichiaratamente “telegrafico”. Il senatore a vita Mario Monti, ex presidente del Consiglio, ex commissario europeo designato in Italia sia dalla destra sia dalla sinistra, ha una bella cultura e memoria storica.

  Il professore -è stato anche questo- è tornato indietro addirittura di 500 anni per rovesciare addosso alla presidente della Commissione di Bruxelles, Ursula von der Leyen, e complici di ogni colore o paese, alla rovescia il “tutto è perduto fuorchè l’onore” di Francesco primo di Francia dopo la battaglia di Pavia. Un onore che l’Europa rappresentata da Ursula -chiamiamola pure col solo nome- avrebbe perduto già scegliendo, o lasciando scegliere dal presidente americano Donald Trump la sede per l’accordo sui dazi: una sua proprietà in terra scozzese.

Poi Monti, dismettendo i panni del disfattista e cercando di mettersi in testa ai patrioti d’Europa, non certo intesi per quelli di destra che si chiamano così a Strasburgo, è risalito al presidente americano Delano Roosevelt e allo statista francese Jean Monnet per raccomandare di osare nella riscossa. Cioè di non avere paura, proprio quella che lui ha contribuito e contribuisce a seminare dando dell’accordo di Scozia la rappresentazione peggiore.

Più che l’onore del “riscatto” da lui auspicaro e messo dagli amici del Corriere della Sera anche nel titolo del suo editoriale in prima pagina, Mario Monti mi sembra il conte degli ossimori: un conte con la minuscola anche per non confonderlo col Giuseppe Conte,  anche lui catastrofista, già presidente del Consiglio pure lui, presidente di ciò che resta del Movimento 5 Stelle e smanioso di tornare a Palazzo Chigi scavalcando nella corsa la segretaria del Pd Elly Schlein. E dando per scontata quella che non è l’alternativa al centrodestra della Meloni.

Paura e gelosia a sinistra per la fiducia del cardinale Ruini alla Meloni

Pazienza per l’amicizia con il compianto Silvio Berlusconi ricordata dal cardinale Camillo Ruini nella lunga intervista-confessione alla Stampa. Un’amicizia d’altronde nota e fotografata, diciamo così, più volte col cardinale che scambiava con l’allora presidente del Consiglio sguardi compiaciuti ben oltre i convenevoli di un incontro fra il capo dei vescovi italiani e il capo del governo. Ma quella “esplicita simpatia” espressa da Ruini per Giorgia Meloni e quel contributo, quanto meno, alla stabilità del quadro politico riconosciuto al suo partito sono andati davvero di traverso a Pier Luigi Castagnetti. Che l’intervistatore, sempre della Stampa, Fabio Martini ha presentato ai lettori  come “l’ultimo decano, assieme a Sergio Mattarella e Romano Prodi, di una cultura politica, quella cattolico-democratica, influentissima nella storia della Repubblica”.

La presentazione è così proseguita: “Classe 1945, emiliano di Reggio, già collaboratore di Giuseppe Dossetti, Benigno Zaccagnini e Mino Martinazzoli, amico di lunga data del presidente Mattarella, Pierluigi Castagnetti è stato l’ultimo segretario del Ppi”, inteso come Partito popolare italiano succeduto brevemente alla disciolta Democrazia Cristiana, “e da anni punto di riferimento per il mondo politico e culturale ex dc che ha scelto il centro-sinistra”. Ancora col trattino delle prime edizioni dell’alleanza fra democristiani e socialisti guidate a Palazzo Chigi da Aldo Moro, prima che il trattino fosse tolto per le edizioni “più incisive e coraggiose” promosse e attuate da Mariano Rumor e da Emilio Colombo sino a sfasciare la formula.

Dopo un intermezzo centrista e un altro di cosiddetta “solidarietà nazionale” condizionata dall’appoggio esterno dei comunisti a due governi monocolori di Giulio Andreotti, il centrosinistra senza più trattino fu prudentemente allargato ai liberali con la formula del “pentapartito”: l’ultima della cosiddetta prima Repubblica.  Una storia che ho ricordato per spiegarvi l’orticaria che mi procura il “centrosinistra” raccontato oggi come attualità dal mio pur amico Fabio Martini.

Castagnetti, per tornare a lui, pur avendo “personalmente avuto la possibilità -ha detto- di collaborare con Meloni quando eravamo vicepresidenti della Camera e, in effetti è molto cresciuta  politicamente”, visto che è arrivata alla Presidenza del Consiglio spintavi dagli elettori, non si sente per nulla tranquillo per una premier ora “troppo generosamente” promossa dal cardinale Ruini. E ciò per quanto egli stesso riconosca che “oggi in Italia esistono vincoli interni ed esterni in virtù dei quali è difficile per una qualsiasi presidente del Consiglio commettere clamorosi errori”.

Tra i vincoli interni dai quali si sente protetto e persino garantito Castagnetti ha messo, riferendosi all’amico di una vita Sergio Mattarella, ”un Capo dello Stato che ti legittima presso tutte le Cancellerie sul piano della tenuta democratica del Paese”. Figuriamoci che cosa prova il mio amico Castagnetti- pure lui come l’intervistatore della Stampa– leggendo da qualche tempo cronache, retroscena e simili sulla possibilità che a Mattarella al Quirinale succeda alla scadenza del suo secondo mandato, nel 2029, proprio la Meloni ormai in età -almeno 50 anni- costituzionalmente richiesta per il vertice dello Stato.

Ma oltre all’età occorre alla Meloni la sua tenuta politica ed elettorale. Alla quale Castagnetti non si rende conto di contribuire, con tutti i suoi amici d’area nel Pd, più ancora di quanto abbia potuto con la sua “troppa generosità”, ripeto, il cardinale Ruini. Vi contribuisce accettando l’emarginazione praticata dalla segretaria Schlein inseguendo i famosi, prioritari diritti civili. E subordinandosi per il resto a Giuseppe Conte. Nelle acque culturali ed elettorali che furono della Dc pesca da tempo la destra della Meloni, per quanto orbace le attribuiscano gli avversari .

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