Il ragionamento del… cappio della coppia Conte-Travaglio sul Pd della Schlein

         Lui, Giuseppe Conte, esordì da presidente del Consiglio nel 2018 mettendo la sua esperienza di avvocato al servizio del popolo. E ancora di più pensa di farlo adesso che è all’opposizione. L’altro è Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, che gli fa a tempo pieno l’avvocato. Pieno e si vedrà anche se perso alle prossime elezioni politiche, quando tutto lascia oggi pensare che l’alternativa al governo di centrodestra, per quanto larga sino a comprendere Matteo Renzi e lo stesso Conte, non riuscirà a vincere sulla Meloni, che a metà legislatura sta tenendo e anche migliorando la sua posizione elettorale.

         Nel campo largo, diciamo pure larghissimo, del presunto centrosinistra c’è posto sia per una maggioranza, rappresentata all’incirca sul piano virtuale dal Pd della Schlein e dai moderati, riformisti e quant’altri sistemati da Goffredo Bettini sotto una tenda, sia per un’opposizione esercitata dal Conte delle 5 Stelle con l’assistenza della sinistra cosiddetta radicale di Bonelli e Fratoianni, in ordine alfabetico.

         Succede, a dire il vero, anche nel campo largo del centrodestra che vi sia una maggioranza costituita dai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e dai forzisti di Antonio Tajani, assistiti e finanziati dai figli e dal fratello di Silvio Berlusconi, e una specie di opposizione, quanto meno, rappresentata dai legisti di Matteo Salvini, e ora persino del generale Roberto Vannacci vicegretario ad personam. Ma essendo al governo il centrodestra riesce a sopravvivere sia perché, come diceva la buonanima di Giulio Andreotti, il governo logora chi non ce l’ha, sia perché al momento giusto o necessario la premier Meloni riesce a mettere in riga almeno Salvini, se non anche Vannacci.

         Dall’altra parte, che chiamiamo troppo generosamente centrosinistra non assomigliando minimamente alla formula realizzata nella cosiddetta prima Repubblica dai democristiani e socialisti, sembra improbabile francamente che una Schlein a Palazzo Chigi potrà mettere in riga Conte. E’ più probabile il contrario. Ne sono convinti, mi pare, anche nel Pd, dove crescono malumori e preoccupazioni, per quanti sforzi faccia Goffredo Bettini di sedarli.

         La forza di Conte nel campo largo di Bettini sta in questo ragionamento fatto oggi sul Fatto Quotidiano da Marco Travaglio concludendo una rassegna sarcastica di tutte le voci mediatiche e politiche critiche verso il Conte collegato alla magistratura, come una volta il Pci, nel giudicare gli indagati piddini di turno “Se non vogliono che il leader dei 5Stelle dia giudizi su Ricci&Giani non gli chiedano di appoggiarli. Anzi, meglio, facciano come Erico Letta: non gli chiedano proprio di allearsi. Sennò, con un alleato che vuole voti anziché perderli, rischiano persino di vincere”. E’ il ragionamento del…cappio.

Ripreso da http://www.startmag.it

Quel cardinale di Santa Romana Chiesa che veste di rosso ma preferisce l’azzurro

Di rosso il cardinale Ruini – Camillo come il prete emiliano, e perciò conterraneo, passato dalla fantasia di Giovannino Guareschi allo storico film del 1955 recitato da Fernandel, contrapposto al comunista sindaco Peppone- ha soltanto, diciamo così, il sangue che gli scorre nelle vene da 94 anni e mezzo e i paramenti sacri e abiti d’ordinanza. Ma i suoi colori politicamente preferiti sono stati e sono altri.

Prima è stato il bianco del giglio metaforicamente applicato da Amintore Fanfani alla giacca della Democrazia Cristiana, il cui scioglimento da parte dell’ultimo segretario Mino Martinazzoli il cardinale Ruini sconsigliò inutilmente, parlandone con tutti quelli che bussarono alla sua porta in quei giorni non per confessarsi, o non solo, ma proprio per sondarne umori e raccoglierne pareri.

Poi il colore politicamente preferito da Ruini è stato ed è rimasto l’azzurro. L’azzurro prima del suo amico e devoto Silvio Berlusconi, che preferiva proprio l’azzurro al forzista che i giornalisti gli applicavano dal nome del partito che egli aveva fondato scendendo in politica per candidarsi direttamente alla guida del governo. E vincendo clamorosamente sulla “gioiosa machina da guerra” allestita con spavalderia goliardica dall’ultimo segretario del Pd e primo del Pds Achille Occhetto. Dopo, consumatasi la guida berlusconiana del centrodestra col criterio del peso elettorale di ciascuno dei partiti della coalizione, è subentrato l’azzurro della destra di Giorgia Meloni. Ai cui “fratelli d’Italia” Ruini ha appena riconosciuto il merito, in una lunga “confessione” con la Stampa, di avere stabilizzato una politica dagli equilibri incerti o confusi.

Nella cosiddetta prima Repubblica -ha ricordato Ruini- “per 40 anni il voto era consolidato” fra “il grosso che votava Dc o Pci” e “il resto Psi e partici laici”. “Poi -ha detto ancora il cardinale -“c’è stata una fase in cui i voti hanno cominciato a spostarsi rapidamente con leadership che passavano in poco tempo dal 3 al 30 per cento”, come nel caso delle 5 Stelle di Beppe Grillo. “O viceversa”, ha aggiunto Ruini. Ma “adesso siamo entrati in un’epoca differente e, più o meno, c’è una certa stabilità con un partito come Fratelli d’Italia che può contare all’incirca sul volume di consensi che aveva Forza Italia nel periodo più favorevole”. E iniziale, che sorprese e spaventò a tal punto, fra l’estate e l’autunno del 1994, l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro da chiamare al Quirinale anche il cardinale Ruini per chiedergli aiuto nel piano di crisi del primo governo di Berlusconi. E vederselo rifiutare con grande sorpresa, oltre che rammarico, non essendo evidentemente informato, pur con tutti gli apparati comunicativi di cui disponeva al Quirinale, della simpatia, se non ancora dell’”amicizia” fra il Cavaliere di Arcore e il presidente della Conferenza episcopale italiana. Amicizia ora dichiarata da Ruini senza infingimenti.

Al riconoscimento del ruolo “stabilizzatore” del partito della premier il cardinale ha voluto aggiungerne uno personale per lei. “Giorgia Meloni è davvero brava e ha saputo circondarsi di collaboratori di riconosciuto valore”, ha detto il cardinale soffermandosi sul “sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, giurista cattolico di indubbio spessore che ha dimostrato capacità e senso di responsabilità anche alla guida della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre”. “Figura di garanzia”, ha aggiunto il cardinale.

Di riflesso, come a Forza Italia capitò nella congiuntura eccezionale e sotto ceti aspetti drammatica del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica di ereditare spazi elettorali e ruoli che erano stati della Dc e dei suoi alleati socialisti e laici, adesso -sembra di capire dal ragionamento e dalla ricostruzione storica di Ruini- quegli spazi e ruoli sono condivi dalla destra meloniana. A dirlo, soffermandosi in particolare sulla Dc, non è solo ricorrentemente l’ex ministro Gianfranco Rotondi.

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