La benedizione, e anche di più, di Ruini alla premier Meloni

E’ tornato con i suoi ricordi e giudizi il cardinale Camillo Ruini, 94 anni e mezzo. Sempre netto nelle posizioni, tanto da essersi procurato non poche critiche a sinistra e nella stessa Chiesa quando da presidente dei vescovi italiani si schierò con Silvio Berlusconi appena arrivato a Palazzo Chigi. E rifiuto l’invito dell’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, fra l’estate e l’autunno del 1994, a concorrere alla sua prima caduta. Un invito ricordato dallo stesso Ruini l’anno scorso confessandosi, diciamo così, col Corriere della Sera.

         Questa volta il cardinale si è confessato con La Stampa. E parlando della politica italiana, oltre che del nuovo Papa e delle guerre, non solo ha confermato un’”amicizia” dichiarata col compianto Berlusconi e un certo scetticismo sulla prospettiva dei figli, anch’essi tentati dalla cosiddetta discesa in campo, ma ha fornito un deciso sostegno a Giorgia Meloni. Quasi un’adesione onoraria non dico direttamente ai fratelli d’Italia della premier in carica, ma almeno ai cugini.

         Proprio per spiegare, mi pare, il suo scetticismo su una replica dell’amico Berlusconi attraverso i figli il cardinale Ruini ha detto, testualmente: “E poi in Italia noi abbiamo Giorgia Meloni, che è davvero molto brava e che ha saputo circondarsi di collaboratori di riconosciuto valore come il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, giurista cattolico di indubbio spessore che ha dimostrato capacità e senso di responsabilità anche alla guida della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa chesoffre. Figura di garanzia”.

         Scettico, se non contrario anche a un nuovo partito cattolico come fu la Dc nella cosiddetta prima Repubblica, il cardinale ha apprezzato “una certa stabilità” assicurata da “un partito come fratelli d’Italia che può contare all’incirca sul volume di consensi che aveva Forza Italia nel periodo più favorevole”. E ancora: “Gli schieramenti destra-sinistra rimarranno questi sulla traccia di quanto avviene in Europa. Il fatto che la premier Meloni richiami nella sua azione di governo le radici cristiane costituisce un fattore estremamente positivo per l’Italia e per il cattolicesimo politico”.

         “Finite la Dc e l’unità politica dei cattolici- ha detto e incoraggiato Ruini- si può impegnarsi in qualunque partito e testimoniare la propria identità cristiana. L’albero si riconosce dai frutti e adesso lo si vedrà sulla difesa dei valori”. A cominciare da quello della vita, sulla cui fine sarebbe meglio non legiferare, secondo Ruini, che legiferare male, visto “il quadro non rassicurante” in cui, secondo il cardinale, si starebbe svolgendo “la discussione”. Non rassicurante per chi ritiene, come Ruini appunto, che “sopprimere un’esistenza non sarà mai eticamente accettabile”.

Ripreso da http://www.startmag.it

Tutte le scommesse di Goffredo Bettini su Giuseppe Conte

         Dichiaratamente “fiero” di essere amico di Matteo Ricci, che conosce “fin da ragazzo”, cresciuto fra il ricordo “nel cuore del nonno minatore”, “sobrio e totalmente dedito al lavoro”, ”un compagno che sa stare tra i compagni e un sindaco che sa stare tra cittadini”, anche se adesso è solo, o ancora più, un europarlamentare aspirante alla presidenza delle Marche, il sempre presente e vigile Goffredo Bettini si è quasi commosso a vederlo risparmiato, graziato e quant’altro da Giuseppe Conte. Che gli ha confermato, pur dopo qualche esitazione e resistenza interna fra gli ormai ex o post grillini, l’appoggio nella corsa al vertice della regione.

         Nella conferma di questo appoggio a Ricci, pur indagato nella vicenda giudiziaria pesarese chiamata “Affidopoli”, per la quale è stato interrogato per circa cinque ore dall’inquirente, Bettini ha avvertito, felice come una Pasqua, la conferma di un Conte completamente evoluto nel garantismo dopo la fase iniziale e goiustizialista del Movimento 5 Stelle. Un movimento del quale il Pd potrebbe fidarsi anche nelle altre regioni dove si voterà in autunno, a cominciare dalla Campania ambita dal pentastellato ex presidente della Camera Roberto Fico. E forse persino in Toscana, dove lo stesso Conte ha confessato “sofferenza” all’idea di accettare la conferma di un presidente come Eugenio Giani, che i pentastellati hanno osteggiato dicendone e pensandone di tutti i colori. “Stimo Giani. Spero personalmente -ha detto Bettini- che alla fine si potrà arrivare a lui”. Magari. Si spenderà anche per Giani, come ha fatto per Ricci, in telefonate, consigli, informazioni.

         Bene, anzi benissimo per il sogno bettiniano del cosiddetto campo largo a diffusione crescente, dalla periferia a livello nazionale, con la partita finale fra la segretaria del Pd Elly Schlein e lo stesso Conte su chi dovrò guidarlo fra due anni, quando si voterà per il rinnovo delle Camere e l’eventuale, molto eventuale successione a Gorgia Meloni, visto il consenso del quale la premier ancora gode. Bene, benissimo, ripeto. Ma dopo avere letto l’intervista di Bettini al Foglio mi è capitato ieri di leggere il mattinale-editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano

         Informato, a dir poco, degli umori e delle posizioni dei pentastellati, che a volte amticipa o addirittura produce, Travaglio ha scritto che “Conte sostiene Ricci come la corda sostiene l’impiccato: appoggio condizionato e a tempo”. E ha spiegato che “la partita si riaprirà con la richiesta di rinvio a giudizio, quando non sarà più nulla da fare: se sarà prima delle elezioni i 5Stelle inviteranno a non votare Ricci. Se sarà dopo usciranno dalla giunta (come in Puglia da quella di Emiliano neppure indagato). Oppure il Pd si ricorderà di avere un codice etico che impone le dimissioni ai rinviati a giudizio”.

         In questo scenario l’ottimismo e le scommesse di Bettini appaiono a dir poco eccessive, se non avventate. E non solo per la partita di Ricci. Dal Pd Lorenzo Guerini ha appena avvertito, o ribadito, che Conte cerca solo “vantaggi dalle inchieste”.

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