I guai dell’anima che il Pd avrebbe ritrovato con la Schlein

         Ho la sensazione che si mettano davvero male le cose per la segretaria del Pd Elly Schlein dopo la sconfitta nei referendum abrogativi da lei sostenuti, anzi promossi. E naufragati nella indifferenza, se non nella protesta del più del 70 per cento degli elettori che hanno disertato le urne vanificandone i risultati.  

         A mettere nei guai la segretaria del Nazareno, oltre e forse ancora più della sconfitta referendaria da lei scambiata per il decollo del suo testardo progetto “unitario” dell’alternativa al governo di centrodestra, è la medaglia sul petto che le ha applicato il sempre incontenibile Goffredo Bettini, scrivendone sull’Unità di Piero Sansonetti, per avere “ridato l’anima al Pd”. Che evidentemente l’aveva perduta nel 2014 con Matteo Renzi contemporaneamente segretario del partito e presidente del Consiglio, grazie al quale il Pd era arrivato al 40 per cento dei voti. Ora è a poco più della metà.

         Adesso la Schlein dovrebbe “allargare”, ha aggiunto, consigliato, intimato e quant’altro Bettini contraddicendosi clamorosamente perché anche lui riconosce così che il Pd avrà pure ritrovato un’anima, come dice lui pensando a sinistra, ma insufficiente alla vittoria del progetto di alternativa. L’allargamento tuttavia, essendosi lo schieramento referendario spinto a sinistra comprendendola tutta, dovrebbe avvenire al centro e a destra. Cioè spostandosi verso quel Renzi, fra gli altri, che aveva fatto perdere “l’anima” al Pd.

         E’ evidente la contorsione, la contraddittorietà, la velleità di questo ragionamento. Proposto peraltro mentre cronache e retroscena si dividono fra  “l’avviso di sfratto” che l’ala riformista, cioè moderata, del Pd vorrebbe dare alla Schlein e il proposito  attribuito alla segretaria di prendere di contropiede i critici, persino sfidandoli a quel congresso anticipato o straordinario che vaga come un fantasma al Nazareno da mesi, pur su temi estranei a quelli dei referendum perduti su lavoro e cittadinanza. Sono i problemi  della politica estera in mezzo a guerre che non sono cessate neppure su ordine di Trump dalla Casa Bianca.

         Grande, come si vede, è la confusione nella terra del Pd. E Bettini non ì certamente il Mao di turno nel Cielo.  

Ripreso da http://www.startmag.it 

Le piazze piene e le urne vuote dei referendum abrogativi

Pur in assenza nominale dei comunisti e socialisti, il fronte popolare realizzato dal terzetto Conte-Landini-Schlein, in ordine rigorosamente alfabetico, attorno ai cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza, appena annegati nelle acque di un astensionismo per niente casuale, è tornata alle origini. Cioè al 1948, quando Pietro Nenni commentò i risultati delle elezioni politiche contrapponendo le “urne vuote” di voti per la sinistra  alle “piazze piene” che gli avevano un po’ fatto perdere la testa. Sino a fargli chiedere a Sandro Pertini, peraltro contrario ai modi e ai tempi con i quali era stata concordata l’alleanza col Pci di Palmiro Togliatti: “Avremo uomini abbastanza per coprire tutti i posti che ci spetteranno al governo?”. Uomini e anche donne, naturalmente.

         Accasciato su una sedia sudato, stanco e deluso, Nenni dovette subire nel suo ufficio di segretario socialista il sarcasmo di Pertini, che lo consolò dicendogli che non avrebbe dovuto più preoccuparsi di dovere trovare così tanti compagni per occupare così tanti posti. Fra l’altro, anche i compagni socialisti erano stati politicamente falcidiati con l’uso delle preferenze da parte dei comunisti, risultati fra gli eletti alla Camera più numerosi e rimastivi sino alla fine dei due partiti. Nonostante i tentativi di Bettino Craxi negli anni Ottanta, da presidente del Consiglio, di riequilibrare i rapporti di forza.

         Le urne questa volta, con i referendum ancora scambiati senza ironia dalla segretaria del Pd Elly Schlein per un promettente decollo del progetto di alternativa al centrodestra di Giorgia Meloni, sono state avare più ancora di schede che di voti. Di tante schede da invalidare i referendum per disposizione costituzionale. E da trasformare i risultati dei conteggi i coriandoli in un Carnevale preso però tanto sul serio dalla Schlein e amici o compagni da contrapporre -udite, udite- i 14 milioni di votanti di domenica e lunedì scorsi ai 12 milioni di voti ottenuti dalla Meloni e dagli alleati nelle elezioni politiche di tre anni fa. E poiché 14 sono più di 12, la Meloni sarebbe adesso la sconfitta e la Schlein la vincitrice. Parola anche di Goffredo Bettini, spintosi su facebook a contestare persino “l’intelligenza” dei suoi contestatori. Qui evidentemente siamo ai piani non alti, ma sotterranei dell’intelligenza artificiale.

         L’ironia mancata alla Schlein, consiglieri, estimatori eccetera eccetera l’ho invece trovata nel racconto della sua domenica elettorale fatto alla Stampa da Luciana Castellina, 96 anni da compiere in agosto, icona di una sinistra passionaria e indisciplinata, sino a rimediare nel 1970 la radiazione dal Pci di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer con i compagni del manifesto.

         “Ho trovato la fila al seggio”, si è consolata Luciana Castellina. Che ha però onestamente aggiunto e precisato di “abitare in una zona della sinistra Ztl”, il centro città a traffico limitato, in ogni senso lontano dalle periferie che erano una volta le praterie della sinistra orgogliosa di rappresentare e difendere i più deboli, i più bisognosi, i meno fortunati.

         Pure la Castellina, tuttavia, si è lasciata prendere un po’ dalla nostalgia e dall’illusione, accomunando la fila trovata nel suo seggio elettorale alla piazza del giorno prima a Roma per Gaza e dintorni. E al titolo “c’era una volta” assegnatole dal suo manifesto. “E’ importante ovunque che ci siano dei segnali che indicano un ritorno a una forma di democrazia diretta, in cui non si delega a qualcuno la decisione ma si interviene in prima persona”, ha detto la Castellina. Democrazia “diretta”, ma a bassa intensità. Amplificata solo dai sogni, dalla propaganda, dai social. Piazze piene e urne vote, per tornare al 1948, a Nenni e a tutto il resto della sinistra. Punto e daccapo.

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