La piazza esonerata dal silenzio elettorale e dall’antisemitismo…..

         Pur in un percorso accorciato per rischiare di meno inconvenienti, incidenti e quant’altro temuti dalla stessa sinistra promotrice, il corteo che si è data oggi la destinazione di Piazza San Giovanni, a Rona, è inzuppato come un biscotto in una mistura di sì espliciti e impliciti.

Espliciti come i sì a Gaza, alla Palestina dal fiume al mare, a una certa  comprensione del pogrom del 7 ottobre 2023, da cui pure è nata la guerra in corso in Medio Oriente che Israele non è intenzionato a perdere, per quanto una vasta letteratura mediatica e politica, diciamo così, ne abbia già annunciata e certificata la sconfitta. Impliciti come i sì che non possono essere pronunciati nel silenzio imposto dalla vigilia elettorale per i cinque referendum su lavoro e cittadinanza di domani e lunedì. Sono, in particolare, i sì all’abrogazione delle norme praticamente contestate al governo in carica, anche se approvate a suo tempo, per esempio il cosiddetto jobs act, dal governo di Matteo Renzi, presidente del Consiglio e contemporaneamente segretario del Pd. E soprattutto i sì alla partecipazione, dipendendo la validità dei referendum dall’affluenza alle urne della maggioranza degli elettori aventi diritto al voto e decisi ad esercitarlo sino in fondo. Cioè a votare davvero. Non come ha annunciato di voler fare con “furbizia, spregiudicatezza, vergogna” ed altri anatemi delle opposizioni la premier Giorgia Meloni.  Pizzicata da un avvocato, Luigi Li Gotti, pronto a denunciarla per il rifiuto delle schede al seggio con un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, come già fece nei mesi scorsi per il rimpatrio in Libia del generale Almasri.

La miscela di sì espliciti e impliciti produce una piazza politicamente tossica. E un “sabato nero”, come ha titolato impietosamente Il Riformista di Claudio Velardi e, a suo tempo, di Emanuele Macaluso. Un sabato in cui “Pd, M5S e Avis sfilano tra ambiguità su Hamas e pro-Pal violenti”, che “ripeteranno gli stessi slogan che hanno scatenato il 7 ottobre” 2023 una mattanza di ebrei competitiva con la Shoah.  

Doppio batticuore referendario per Meloni, ora a rischio anche di esposto

Fresco di compiacimento per la libertà restituita a Giovanni Brusca legittimamente, per carità, dopo venticinque anni soltanto di pena detentiva, di cuiquattro in libertà vigilata, per avere azionato, fra l’altro, l’esplosione nella strage di Capaci del 1992, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e tre dei quattro uomini della scorta, l’avvocato Luigi Li Gotti si è proposto un’altra delle sue iniziative clamorose. Ha segnalato il rischio che la premier Giorgia Meloni ha deciso di correre, con aria da sfida, annunciando il rifiuto astensionistico delle schede dei cinque referendum di domani e lunedì su lavoro e diritto cittadinanza. Un rifiuto che, per la visibilità dell’interessata e per i tempi del silenzio elettorale ancora in corso, potrebbe tradursi in un reato di propaganda.

         Tallonato dal conduttore della trasmissione televisiva con la quale era collegato, la Piazza pulita di Corrado Formigli, su La 7, l’avvocato Ligotti ha sorriso della possibilità di ripetere contro la Meloni l’esperienza dell’esposto alla Procura della Repubblica di Roma, qualche mese fa, per il caso del rimpatrio in Libia del generale Almasri, brevemente trattenuto in Italia per un arresto chiesto per crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja.

         Derivò da quell’esposto di Li Gotti, girato dal capo della Procura di Roma in persona Francesco Lo Voi al tribunale dei ministri, un procedimento ancora in corso. Che potrebbe pertanto ripetersi questa volta, a meno che la premier non rinunci al suo percorso referendario, come Formigli le ha praticamente suggerito interloquendo con Li Gotti. 

         E’ facile slittare nelle polemiche su questo tipo di eventi, reali o presunti. E’ facile perdere il controllo della frizione e finire intrappolato in una vertenza giudiziaria. Cerco pertanto di tenermene alla larga per prudenza, anche a rischio di farla scambiare per vigliaccheria. Ma, considerando che quella dell’esposto alla Procura della Repubblica di turno è anche una pratica di politici ancora in attività, e non ex come il sottosegretario alla Giustizia del secondo governo di Romano Prodi, fra il 2006 e il 2008, non mi sembra improprio, esagerato e quant’altro, persino penalmente rilevabile, parlare di una certa tendenza all’opposizione per via giudiziaria. Con i magistrati a volte contenti, a volte per niente, ma portati spesso a spiegare, motivare, giustificare la loro partecipazione come atto dovuto.

         Non mi sembra, francamente, un bel dire o un bel fare, specie nei tempi ormai abituali di conflitto fra giustizia e politica e di tentativi di venirne a capo con riforme di natura perfino costituzionale, come quella pendente in Parlamento e ormai intestata al ministro della Giustizia. Che si chiama Carlo Nordio. Non Carletto Mezzolitro Nordio, come all’anagrafe gestita col solito sarcasmo da Marco Travaglio sul suo giornale e nei salotti mediatici che frequenta.

Pubblicato sul Dubbio

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