La verità di Vincenzo De Luca sulla tragedia di Afragola….

         Se avessi Vincenzo De Luca a portata di fazzoletto, fresco di bucato, glielo passerei personalmente sulla faccia per pulirlo degli spruzzi di caffè sputatigli addosso questa mattina da Massimo Gramellini, nella sua rubrica quotidiana della prima pagina del Corriere della Sera.  

         Già mostrificato, all’interno e all’esterno del suo partito, per efficienza amministrativa e franchezza politica e umana, imitato da un Crozza sotto sotto sempre meno sfottente e più ammirato della sua vittima, sino a riderne per primo, il presidente uscente della regione Campania, contro una cui ricandidatura, anzi rielezione, si è addirittura mobilitata, su ricorso del governo, la Corte Costituzionale dirimpettaia del Quirinale; già mostrificato,  dicevo, il povero De Luca ha osato chiedersi quello che -ci scommetto- ci siano chiesti tutti seguendo in televisione o sui giornali il delitto di Afragola. O il femminicidio, avendo riguardato una donna, anzi un’adolescente, se non una bambina di 14 anni, fidanzata da due con un diciassettene che l’ha uccisa a colpi di pietra, non volendo essere lasciato per la sua violenza, l’ha nascosta in una scatola e ha partecipato sfrontatamente alle ricerche.

         Incredulo di un fidanzamento fra una dodicenne avvenente, abbigliata e truccata come una diciottenne, e un quindicenne nella cognizione sostanzialmente collaborativa delle famiglie, il povero De Luca si è procurato da Granellini non solo una sputata di caffè, ma anche una sarcastica lezione civica, morale eccetera eccetera.

         In questo sempre più curioso paese che è l’Italia di fronte ad un fatto orribile come quello di Afragola è più facile, mediaticamente e politicamente più utile processare non la famiglia, in senso stretto e  lato, ma la scuola, che non avrebbe saputo o persino voluto, impedita anche dal governo indigesto in carica, sostituirsi ai genitori e ai nonni in quella che viene chiamata “educazione affettiva”. Non ho parole, letteralmente. E neppure più il fazzoletto pulito per averlo buttato nel frattempo  per rabbia nella pattumiera.

Ripreso da http://www.startmag.it

Due piazze, a Milano e Roma, per Gaza, nessuna per l’Ucraina

         Le due piazze di Milano e di Roma  del 6 e 7 giugno, chiamiamole così anche se a Milano si tratta di un teatro e a Roma di una piazza vera e propria, sono originariamente apparse, a torto o a ragione, in competizione sulle finalità. La seconda intestatasi dal Pd, dalle 5 Stelle e dalla sinistra rossoverde per solidarizzare con i palestinesi sterminati dagli israeliani a Gaza, piuttosto che dai terroristi di Hamas nascosti con le postazioni missilistiche ed altre armi, e con gli ostaggi ebrei catturati nel pogrom del 7 ottobre 2023, sotto le case, le scuole, gli ospedali, le chiese, i mercati, le strade di una incolpevole popolazione civile trasformata in scudo umano. L’altra intestatasi da un riesumato terzo polo per solidarizzare -si era capito- con gli ucraini da più di tre anni sotto le bombe dei russi, in  una guerra cominciata o annunciata come operazione speciale per “denazificare”, testualmente, un paese governato da un ebreo presuntivamente rinnegato come Zelensky.

         Ebbene, chi aveva avuto questa impressione ha scoperto di essersi sbagliato perché i promotori della piazza di Milano hanno finito, volenti o nolenti, per trovarsi competitivi con la manifestazione di Roma, per quanto successiva, sullo stesso terreno. Quello di Gaza. I milanesi per accentuare la responsabilità dei terroristi palestinesi nella tragedia e deplorare l’antisemitismo, i romani per accentuare o scaricare tutta la responsabilità della tragedia sugli israeliani, più in particolare sul capo del governo Nethanyau e su chi glielo permetterebbe pur criticandolo, come anche la premier italiana Giorgia Meloni, il suo vice presidente del Consiglio forzista Antonio Tajani e in fondo pure l’altro vice presidente, leghista, Matteo Salvini.  Per non parlare naturalmente degli americani di Trump, non diversi in questo da quelli di Biden.

         Le due piazze ritrattesi come un elastico in una stessa guerra, quella – ripeto- di Gaza, l’una dichiaratamente contraria all’antisemitismo e l’altra silente o ambigua, potranno più facilmente contendersi lo stesso pubblico. Il Pd, per esempio, potrebbe dividersi fra Milano e Roma, anche se a Roma ci sarà la segretaria Elly Schlein e a Milano una presenza della minoranza cosiddetta riformista, battuta congressualmente a suo tempo nelle primarie aperte agli esterni, come i grillini accorsi nei gazebo per risparmiare a Giuseppe Conte la scomodità di interloquire con Stefano Bonaccini, preferito dagli iscritti al partito.

         E’ proprio la promiscuità delle due piazze, ormai più gemelle che antagoniste. che tuttavia le indebolisce entrambe. Ne aumenta la confusione e le riduce all’ennesimo passaggio del congresso occulto che si sta svolgendo nel Pd, in mancanza o nella impossibilità di un congresso vero, trasparente, vincolante. E fanno entrambe un torto immeritato, direi anche orribile, agli ignorati ucraini. O un favore a Putin, che francamente non lo meriterebbe dopo quelli ricevuti da un Trump pur altelenante nei suoi umori per una pace in Europa che gli sfugge continuamente di mano, come un’anguilla.   

Ripreso da http://www.startmag.it  

La coppia…scoppiatissima di Donald Trump ed Elon Mask

Mi permetto una lettura un po’ andreottiana della rottura, celebrata sui giornali di tutto il mondo, del rapporto una volta simbiotico fra Donald Trump ed Elon Musk. Una rottura che qualcuno, in verità, al di là e al di qua dell’Atlantico aveva messo nel conto anche dopo il sostanziale incarico di governo conferito dal presidente americano al maggiore, o fra i maggiori finanziatori della sua campagna elettorale per il ritorno alla Casa Bianca. Un uomo dotato di forbici più concrete di quelle ostentate in cartone dai grillini in Italia al loro arrivo in Parlamento, che intendevano aprire come una scatola di tonno. In cui alla fine sono affogati anche loro rinunciando di fatto al limite dei due mandati. La carne, si sa, è debole.

         La buonanima di Giulio Andreotti diceva notoriamente che a pensare male si fa peccato ma s’indovina. Non sempre, magari, ma spesso. Il mio cattivo pensiero, la mia malizia su Musk consiste nel forte, fortissimo sospetto ch’egli abbia rinunciato almeno alla dimensione dei suoi rapporti con Trump non tanto per gli interessi compromessi dalle scelte dirompenti del presidente americano, che procura alle Borse, con la maiuscola, avventure da ottovolante, quanto per la sensazione avvertita di perdere non dico l’esclusiva ma almeno l’intensità della sua influenza alla Casa Bianca,intesa in senso molto largo.

         Musk, il ricchissimo e persino sfrontato amico e finanziatore di Trump ha forse sentito spirare da Roma correnti e quant’altro sfavorevoli al suo peso. Ma una Roma intesa non certo come Palazzo Chigi, dove lavora e opera una estimatrice e amica di Musk come la premier Giorgia Meloni. Che anche in quelle occasioni in cui le è capitato di dissentire da lui lo ha fatto con la comprensione, la bonarietà e simili di un’amica appunto. Parlo della Roma dell’altra riva del Tevere, la Roma del Vaticano, del Palazzo Apostolico tornato alle sue complete tradizioni dopo i dodici anni alberghieri, diciamo così, di Papa Francesco. Che, magari finendo anche per costare di più al Vaticano con la sua residenza nella Casa Santa Marta, aveva ritenuto di vivere in modo davvero francescano, non solo di nome, la sua esperienza pontificia.  

         L’elezione dello statunitense Robert Francis Prevost a Papa con quel nome di Leone XIV che evoca sì il tredicesimo della Rerum Novarum, ma anche il primo, santo e Magno che volle e seppe fermare Attila, deve aver fatto riflettere Musk, anche senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale sulla influenza che potrebbe avere il nuovo Papa su Trump.

Riuscito a incuriosire Papa Francesco, sino ad essere ricevuto da lui con alcuni dei figli, Musk deve aver capito che col successore la musica è cambiata o può cambiare anche per lui. Che per non ascoltarla, o non subirne gli effetti, potrebbe solo tentare, con tutti i mezzi che ha a disposizione, di trasferirsi su Marte.

Pubblicato sul Dubbio

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