L’intervento a gamba tesa di Sergio Mattarella sul Consiglio d’Europa

         Più ancora del richiamo ai magistrati, ricevendo circa 600 esordienti, al loro dovere di “essere e apparire, apparire ed essere irreprensibili e imparziali”, e non esenti da critiche e controlli, mi ha personalmente colpito, delle ultime sortite o iniziative del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’incontro voluto al Quirinale col Capo della Polizia Vittorio Pisani. Al quale ha voluto ribadire la fiducia personale e istituzionale alle forze dell’ordine sospettate invece da una commissione del Consiglio d’Europa di comportamenti razzisti.

         Il richiamo ai magistrati è in fondo routine per la consuetudine con la quale Mattarella li riceve anche lui, come i predecessori,  all’inizio della loro carriera e li incoraggia ad essere quelli che non sempre purtroppo riescono ad essere e apparire, ripeto, una volta usciti dal tirocinio. Sino a scambiarsi per esempio, per un  “potere” che non sono, inquadrandoli la Costituzione in un “ordine” con carriere ancora uniche fra giudici e inquirenti ma ormai destinate alla separazione prevista da una riforma all’esame del Parlamento.

         L’udienza a Parisi e la solidarietà ribadita alla Polizia superano la routine per diventare un sostanziale intervento a gamba tesa del Capo dello Stato contro un Consiglio d’Europa che ogni tanto, se non sempre, abusa della quasi omonimia con l’Unione Europea e i suoi organismi. E, più che promuovere la democrazia, i diritti e l’eredità culturale europea e la ricerca di soluzione ai problemi sociali dei paesi che lo costituirono nel 1949, scambia lucciole per lanterne ed emette giudizi a dir poco temerari. Come è appena accaduto, anzi si è ripetuto sulla Polizia italiana alle prese con la difesa e la garanzia dell’ordine pubblico.

         So bene che a Strasburgo, dove ha sede il Consiglio d’Europa tra sventolii di bandiere, prati, uffici e quant’altro finanziati dall’Italia come dagli altri undici paesi che ne fanno parte, quanto le stelle che ne incorniciano il simbolo grafico, hanno giù fatto o faranno spallucce, diciamo così, all’iniziativa del presidente della Repubblica Mattarella. E Mattarella, dal canto suo, farà finta di non accorgersene, pago di avere lanciato il suo segnale o richiamo. Ma resta il problema pur sollevato o riproposto dalla Lega con la solita urticante franchezza -partecipe comunque della maggioranza e del governo-  della utilità di un “ente” superato dall’Unione Europea sopraggiunta con compiti e finalità più concrete e operative. Un ente, ormai, più dannoso che altro per gli equivoci che provoca. O di cui continua a vivere.

Un po’ come -mi scusi l’amico Renato Brunetta che lo presiede- il Consiglio dell’Economia e del Lavoro in Italia, sopravvissuto ad una organica e ragionevole riforma costituzionale che l’aveva soppresso. Ma poi fu bocciata dagli elettori per l’antipatia e la paura che si era procurati l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi gestendone con troppa, solita baldanza il  passaggio referendario.

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Il silenzioso contrappasso di Beppe Grillo a Genova e dintorni

Beppe Grillo non ha speso una parola, nel blog personale o altrove, sul 5,1 per cento su cui si è ridotto il MoVimento 5 Stelle nella sua Genova. Dove non so neppure se abbia votato domenica scorsa, o non sia rimasto a casa come nelle regionali di ottobre.

Dio solo sa, come si dice abusandone con tutti i grattacapi che Gli procura questo mondo di matti, quanto poco mi sia piaciuto in passato il comico tonitruante.

         Tutto cominciò una quarantina d’anni fa, quando mi capitò, forse per il troppo sole preso al mare in giornata, di appisolarmi una sera nelle prime file di un teatro all’Argentario dov’ero andato a vederlo, con tanto di biglietto pagato.  Diavolo di un uomo, se ne accorse e mi svegliò indicandomi dal palco all’ilarità del pubblico.

         Poi vennero i tempi, ancor prima dell’esplosione o implosione di Tangentopoli, delle denunce teatrali e simili contro Bettino Craxi e i socialisti da parte di un Grillo convinto che fossero solo o soprattutto ladri, avventuratisi sino in Cina per rubare.

         Poi ancora vennero i tempi del Grillo ormai più politico che comico, deciso a scalare il Pd tentando di iscrivervisi in una sezione in Sardegna. E avventuratosi nella fondazione di un suo partito riesumando il qualunquismo morto e sepolto di Guglielmo Giannini. Che col suo Uomo qualunque, appunto, era riuscito a incuriosire persino Palmiro Togliatti. E a compiacersene a tal punto da essere rifiutato dagli elettori di Napoli quando la Dc tentò, con la solita generosità, di recuperarlo ospitandolo come indipendente nelle sue liste, una volta esaurita la moda politica del commediografo.

         Grillo, ancora a capo del movimento fondato col compianto Gianroberto Casaleggio, è riuscito a guadagnarsi invece nella seconda Repubblica l’interesse di Mario Draghi, imprudentemente spintosi nella sua esperienza a Palazzo Chigi a pensare di poterlo usare per frenare il suo predecessore Giuseppe Conte. Che non si accontentava più di essere rappresentato nel governo dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: Luigi of Maio, per gli inglesi.  Insoddisfatto del giovanotto, l’ex presidente del Consiglio cominciò a non gradire neppure Grillo, praticamente deposto infine da garante del movimentocon procedure che potrebbero ancora prestarsi a ricorsi giudiziari. Ai quali tuttavia i bene informati hanno riferito che il comico voglia rinunciare, preferendo tornare più al teatro, alla televisione e dintorni che alla politica.

         In questa nuova fase della sua vita debbo confessarvi che sono addirittura tentato dalla solidarietà verso di lui. Mi preoccupa di più il Conte della scalata a Palazzo Chigi in combinazione e insieme competizione con la segretaria ancora del Pd Elly Schlein. Che non si è accorta, per quanto avvertita in una intervista alla Stampa dell’ex senatore e fondatore del partito Luigi Zanda, di avere Giorgia Meloni come “avversaria” ma Conte come “nemico”.

         Merita qualche comprensione il Grillo ostaggio -quasi per contrappasso dopo tanti ammiccamenti sarcastici e spietati alle manette- della giustizia, rigorosamente al minuscolo. Che, pur nella ordinarietà ormai delle sue abitudini, tiene ancora sotto processo di primo grado, a Tempio Pausania, il figlio Ciro, difeso dal padre con la solita energia che qualche effetto politico gli ha procurato, per una vicenda cumulativa di sesso risalente a ben sei anni fa.

Ma in qualche modo Beppe Grillo è anche ostaggio del ricordo del movimentoche lui prima ha creato, pur nel giorno di San Francesco emblematico della povertà, e poi ha perduto senza neppure una liquidazione.  Il colmo per un genovese, d’anagrafe e di vita.

Pubblicato su Libero

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