Autorete del fantasma alla Camera nella partita contro la premier

         I radicali, francamente, hanno dato di meglio e di più anche nelle iniziative più dirompenti, come quando l’indimenticabile Marco Pannella si imbavagliava davanti alle telecamere per protestare contro lo spazio che gli lesinavano la Rai e i partiti che praticamente la gestivano. Riccardo Magi forse ha pensato di imitarlo, e persino superarlo, travestendosi nell’aula di Montecitorio da fantasma, e procurandosi l’espulsione, per protestare contro lo spazio informativo che sarebbe, secondo lui, negato ai referendum di giugno su lavoro e cittadinanza. E anche contro il boicottaggio che sarebbe l’incoraggiamento all’astensione da parte del centrodestra persino nella persona del presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato e tutto il resto che segue abitualmente a questo rinfaccio, chiamiamolo così.

         Ma al povero Magi è sfuggito il contesto politico nel quale egli ha deciso di fare irruzione come un fantasma, guastando la festa alle opposizioni che ritenevamo di poter mettere in difficoltà la premier Giorgia Meloni, in una seduta di cosiddetta “question time”, addebitandole le liste di attesa negli ospedali e i massacri a Gaza compiuti da Israele pur in reazione al pogrom del 7 ottobre 2023, da cui è cominciata, o ripresa,  l’ennesima guerra in corso da quelle parti.

         Quel telo infilatosi addosso da Magi, per le circostanze appunto della protesta, ha materializzato anche agli occhi di chi ha avuto l’occasione di vederlo nei telegiornali e altrove un altro fantasma: quello dell’alternativa al centrodestra perseguita da opposizioni che non trovano un tema su cui essere davvero d’accordo: divise fra di loro, e all’interno di ciascuno dei partiti del campo a larghezza variabile.

         Sino a quando le opposizioni continueranno a fare quello che fanno, per sostanza e metodo, La Meloni potrà dormire tranquilla, almeno per la sopravvivenza del suo governo e della sua maggioranza, pur con tutti gli scricchiolii, per carità, che si avvertono. Lo riconoscono ogni tanto anche esponenti qualificati, in particolare, del Pd persino rischiando di finire nell’agenda nera che la segretaria sfoglierà quando potrà o dovrà stilare le liste dei candidati del Nazareno alle elezioni. Che in mancanza del voto di preferenza risulteranno eletti nell’ordine in cui sono stati proposti nelle liste. O nei collegi uninominali secondo la loro consistenza elettorale largamente valutabile in anticipo, con pochi imprevisti.

         Le opposizioni sono state sfortunate nello scontro di ieri alla Camera con la premier anche per la circostanza a lei favorevole dello spread -il famoso “signor Spread”, che misura la febbre dei mercati e la salute finanziaria del Paese- sceso per la prima volta dal 2021 sotto la rassicurante quota 100.

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L’alternativa a trazione Landini, non Schlein nè Conte

Due parole, o annotazioni, sul raduno referendario promosso per lunedì prossimo a Roma, in Piazza Vittorio, dalla Cgil di Maurizio Landini. Cui hanno annunciato la loro adesione il Pd di Elly Schlein, il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, la sinistra rossoverde di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli e + Europa di Benedetto Della Vedova. Uniti nel sostegno ai referendum dell’8 giugno su lavoro e cittadinanza minacciati dall’astensione preferita dal centrodestra, con la sola eccezione di Maurizio Lupi, per vanificarlo, essendo prescritta la partecipazione del quorum della maggioranza più uno degli aventi diritto al voto per renderne valido il risultato.

         La prima annotazione è proprio nella provenienza sindacale della proposta di mobilitazione in piazza, per cui i partiti del sì all’abrogazione risultano subalterni, volenti o nolenti. E non è uno spettacolo consolante per la politica. O per il primato assegnatole dalla Costituzione con maggiore evidenza dell’antifascismo evocato pur senza una esplicitazione nei 139 articoli che la compongono. “Tutti i cittadini -dice invece l’articolo 49- hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Anche in materia, naturalmente, di lavoro e cittadinanza.

         La seconda annotazione è sull’occasione mancata anche questa volta per elevare sopra la dimensione di qualche elezione locale una convergenza delle opposizioni per delineare davvero il fronte di un’alternativa realistica al centrodestra. Ci sono Schlein e Conte, e Fratoianni, Bonelli e Della Vedova, ma non la gamba moderata. Né di Carlo Calenda, ormai scambiato dai suoi peggiori avversari per una riserva del centrodestra, né di Matteo Renzi. Che pur di guadagnarsi il pedrigree, diciamo così, dell’opposizione cerca di scavalcare tutti nelle offensive di carattere personale dei giorni pari e dispari contro la premier Giorgia Meloni. Si è metaforicamente intrufolato, con interrogazioni dei suoi parlamentari, anche nei regali da lei ricevuti in due anni e mezzo di governo per cercare di coglierla in fallo su qualcuno di oltre 300 euro di valore non devoluti allo Stato.

         Vedo che anche il generalmente fiducioso o ottimista Pier Luigi Bersani, reduce da una fatica letteraria che gli ha procurato un aumento delle già abbondanti partecipazioni ai salotti televisivi, ha cominciato a preoccuparsi davvero -parlandone, per esempio, agli amici del Fatto Quotidiano– di un’alternativa più da sogno che da realtà.

Prima o dopo il simpatico ex segretario del Pd e mancato presidente del Consiglio di un suggestivo governo di “minoranza e combattimento”  troverà nel ricordo delle metafore del padre qualcuna -magari animalesca, come quella della mucca al Nazareno o del giaguaro smacchiabile sullo scoglio- da applicare all’alternativa.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 18 maggio

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