Dal Conclavicchio al Conclave, dunque. Dalle chiacchiere, come le hanno chiamate al Foglio forse scusandosi di avervi partecipato, alle votazioni dei cardinali sotto chiave nella Cappella Sistina di Michelangelo per l’elezione del successore di Papa Francesco. La prima è stata fissata per le ore 17 di oggi.
Del nuovo Papa si conosce di certa mentre scrivo solo la cornice architettonica, che è la finestra già addobbata ma chiusa della Basilica di San Pietro che si aprirà per l’annuncio della sua elezione e dei suoi nomi di anagrafe e di adozione pontificia.
Il più citato fra i cosiddetti papabili -più di novemila volte, secondo calcoli mediatici forse in difetto- è stato in questa lunga vigilia il Segretario di Stato del Vaticano Pietro Parolin. Che se n’è detto “turbato”, parlandone forse anche per ribadire le smentite già fatte opporre a voci di malori avuti proprio in questi giorni. Il suo sarebbe il primo ritorno di un italiano al vertice della Chiesa dopo il polacco Giovanni Paolo II, il tedesco Benedetto XVI e l’argentino Francesco.
Creato cardinale da quest’ultimo nel 2014, Parolin era stato già promosso alla Segretaria di Stato da Nunzio apostolico in Venezuela dallo stesso Francesco subito dopo la sua elezione, nel 2013.
Settant’anni compiuti il 17 gennaio scorso, dei quali quarantacinque di sacerdozio, il cardinale Parolin si è trovato probabilmente in vantaggio alla vigilia del Conclave per la circostanza di conoscere la Chiesa più di altri, fra i grandi elettori, a causa delle funzioni a suo tempo affidategli da Papa Francesco. Il suo pertanto sarebbe il primo e unico Conclave.
Una lunga tradizione vuole che, salvo eccezioni, chi entra Papa in Conclave ne esca ancora cardinale. La sua sarebbe quindi un’elezione eccezionale.