La “sobria” celebrazione della festa della Liberazione al Senato

         Il presidente del Senato Ignazio La Russa avrà pure sbagliato, per carità, a tentare di celebrare seduto sul suo scranno nell’aula di Palazzo Madama parlando della festa della Liberazione, al maiuscolo. E interpretando a suo modo la “sobrietà” di questo 25 aprile raccomandata dal ministro della Protezione civile nella coincidenza col lutto nazionale proclamato per la morte di Papa Francesco, sino a procurarsi le proteste che ne sono seguite.

         Ma ancora più sobrio, diciamo così, del discorso del presidente seduto del Senato è stato lo spettacolo, impietosamente documentato dalle fotografie, di un’aula a ranghi così ridotti da potere essere definita vuota, o quasi.

         Prima di prendersela col presidente dell’assemblea, i pochi, pochissimi senatori accorsi alla celebrazione avrebbero dovuto prendersela con loro stessi per non avere saputo convincere gli onorevoli, anzi onorevolissimi colleghi a rinunciare al ponte, più ancora che alla festa della Liberazione, sempre e doverosamente al maiuscolo.

L’occasione offerta a Trump da Papa Francesco con i suoi funerali

         Per quanto lo avesse poco, anzi per niente apprezzato in vita, prendendone corrucciato le distanze anche fisiche  nell’udienza che dovette concedergli in Vaticano dopo la prima elezione alla Casa Bianca, Papa Francesco morendo nell’attuale congiuntura internazionale ha offerto con i suoi funerali al presidente americano Donald Trump un’occasione non dico di riscatto ma almeno di riduzione dei danni della sua politica. Speriamo, cristianamente, ch’egli ne voglia, ne sappia e riesca ad approfittarne con gli incontri che sembra essersi proposto di avere, addirittura “con tutti”, in occasione appunto dei funerali di Francesco. E si sottragga quindi alla tentazione di usare invece anche questa occasione offertagli dal Papa ormai tornato alla casa del Padre per riproporsi nei panni spavaldi ai quali ha abituato il mondo.

         Un’altra occasione di riscatto o di riduzione dei danni è stata offerta da Trump, in questi giorni e in queste ore, paradossalmente da Putin con le stragi che continua a compiere in Ucraina. E che neanche il presidente americano può ormai giustificare, pur avendo concesso all’uomo del Cremlino -nella illusione di predisporlo finalmente alla pace- il rovesciamento dei ruoli nella guerra in corso da più di tre anni con la formula di una “operazione” speciale.

Da aggressore, in particolare, Trump ha dato a Putin dell’aggredito. Così come la buonanima di Francesco gli aveva concesso l’attenuante, la giustificazione e quant’altro della Nato che  da tempo “abbaiava” alla Russia aprendosi all’Ucraina. Il cane atlantico abbaiava ma Putin mordeva. E ha continuato a mordere anche nelle trenta ore di tregua annunciate per la Pasqua una volta tanto comune nella data per ortodossi e cattolici.

Ripreso da http://www.startmag.it

Quel rapporto speciale di Papa Francesco con Giorgia Meloni

Non ho dubbio alcuno, scrivendone peraltro in un giornale che me lo consentirebbe col nome che porta nella testata, sull’interesse politico che può avere avuto la premier Giorgia Meloni a ricordare e sottolineare il rapporto particolare e personale avuto con Papa Francesco, anche commemorandolo a Montecitorio, a Camere riunite insieme. Ma è stato un rapporto reale, non costruito artificialmente, con retroscena, allusioni e quant’altro che il Papa d’altronde non avrebbe tollerato, tanto era spontaneo e diretto il suo umore. Un rapporto a prova di ogni foto e vignetta.

         Impressionante è vedere quel viso inconfondibilmente corrucciato di Francesco nella foto, riproposta in questi giorni, del suo incontro con Trump, consorte e figlia in Vaticano all’epoca della sua prima presidenza degli Stati Uniti.  Un viso contrapposto al sorriso sfacciato, come al solito, dell’ospite che davvero col Papa non aveva nulla da spartire. E ancor meno ne ha avuto tornando qualche mese fa alla Casa Bianca.

         Qualche dubbio invece me lo permetto sul diritto, personale e politico insieme, che la segretaria del Pd Elly Schlein -per parlare della maggiore esponente dello schieramento di opposizione- si è arrogata di dare dell’ipocrita alla Meloni, come premier e come fedele essendo l’una e l’altra, per la sua devozione al Papa scomparso. E per la gratitudine espressa per i consigli ricevuti da lui, fra i quali il più prezioso – e non so francamente se e quanto sarà ascoltato- di non perdere il senso dell’ironia nell’affrontare quel verminaio che riesce ad essere troppo spesso la politica. Per non evocare altro, come face una volta, in senso anche autocritico, l’allora ministro socialista Rino Formica.

         Quel diritto arrogatosi dalla Schlein di certificare sostanzialmente lo stato di fede o di infedeltà, di virtù o di peccato, della sua avversaria politica è in fondo offensivo anche per la figura e la memoria del Papa. Quasi denunciandone e lamentandone l’accondiscendenza avuta in vita nei rapporti con la premier italiana.

         Un esempio, al contrario, di correttezza nell’esercizio della politica lo appena dato il novantenne fresco di compleanno Gennaro Acquaviva parlando della Meloni. Alla quale “la fortuna” non solo personale ma dell’Italia -ha detto in una intervista al Riformista- ha concesso di partecipare alla “centralità” ritrovata da Roma nei e con i funerali del Papa. Di un Papa come Francesco e in un una congiuntura internazionale come questa, fra tanti “pezzi” di guerra   mondiale in corso, per ripetere un termine che adoperava di frequente Jorge Maria Bergoglio, all’anagrafe argentina. 

         Gennaro Acquaviva –“il mio monsignore” diceva di lui  con ironica simpatia e amicizia Bettino Craxi, sempre grato dell’aiuto ricevutone su entrambe le rive del Tevere, fra Palazzo Chigi e il Vaticano, nella storica revisione del Concordato- ha colto un elemento, una circostanza, una occasione che solo in una visione velenosamente partigiana della politica si può negare. O solo ignorare.

Pubblicato sul Dubbio

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