Anche, anzi soprattutto Flavia Perina, la cui conoscenza della destra è maturata prima come militante e poi come direttrice del Secolo d’Italia, ha avvertito sulla Stampa, scrivendone da editorialista, il carattere tanto prioritario quanto difficile assunto dal dossier sull’Ucraina nell’agenda dell’incontro di domani della premier Giorgia Meloni alla Casa Bianca col presidente americano Donald Trump. La paura dei cui dazi è stata superata, con gli ultimi sviluppi della guerra in corso da più di tre anni, da quella di una pace praticamente imposta dallo stesso Trump all’Ucraina di Zelensky alle condizioni peggiori.
Dell’Ucraina, a parte la “stanchezza” sfuggitale in una telefonata carpitale da un comico russo scambiato per un presidente africano dai suoi uffici, la Meloni ha sempre preso le difese. E non per le pressioni esercitate su di lei -secondo analisi e retroscena cui si sono spinti i suoi avversari- dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari imparentatosi con una donna di quelle parti. Ma per convinzioni antisovietiche e poi altre, come vedremo, ereditate dalla militanza nella destra in cui è cresciuta la premier.
La Russia, dopo la caduta del muro di Berlino e di tutto il resto, non è più sovietica, per quanto guidata da un Putin formatosi nei suoi servizi segreti. Ma Trump, volente o nolente, sta facendo di tutto per assecondare l’ambizione neppure nascosta al Cremlino di recuperare una buona parte del potere e dell’influenza dell’epoca sovietica, appunto. E ciò in una concezione imperialistica della Russia ricondotta da Putin direttamente e orgogliosamente allo zarismo, senza più il successivo filtro ideologico e rivoluzionario del comunismo di Lenin e successori.
E’ un bel pasticcio, diciamo così, anche se Trump mostra o finge di non avvertirlo, per un’Europa i cui confini politici si sono allargati a paesi finiti ottant’anni fa, con gli accordi di Jalta conclusivi della seconda guerra mondiale, nell’area allora sovietica. Paesi che, a parte forse l’Ungheria del pur “patriottico” Orban, non hanno nessuna voglia di tornare indietro. O solo di riprovarne la paura come confinanti. L’Ucraina ha pagato con l’aggressione di più di tre anni fa l’ambizione di aderire anch’essa alla Nato, avendo peraltro restituito alla Russia tutto l’arsenale nucleare depositato sul suo territorio dal Cremlino.
Lo scenario trumpiano, chiaramente indigesto già per una destra di tradizione missina, ancora di più lo è per una destra allargatasi ad aeree di cultura o provenienza democristiana e persino socialista. Di un socialismo che con Craxi si sentiva infangato dal comunismo. Che, del resto, alla fine preferì scommettere più sul soccorso giudiziario che sull’unità socialista proposta da Craxi ma avvertita come un’annessione. Anche questo, in fondo, fa parte del complesso, scottante dossier ucraino della Meloni in missione dal suo amico Trump.
Pubblicato sul Dubbio