
Di Trump e della terza guerra mondiale che ha appena avviato dai prati della Casa Bianca, sia pure in una versione commerciale in cui sono usati come missili i dazi, che in un solo giorno hanno comunque bruciato nelle borse più di 2500 miliardi di dollari, William Shakespeare direbbe dalla tomba come del suo Amleto che “c’è del metodo in sua follia”. O nella sua “falsa partenza”, come ha titolato Il Giornale.
“Essere o non essere? Questo è il problema”, dice Amleto nel testo teatrale fra i più famosi e recitati nel mondo. Ma, come tutte le tragedie, anche questa di Trump si è già prestata a giochi forse ancora più sporchi di una guerra. Cioè al suo uso strumentale per avviare e condurre altre guerre nella guerra, a fini politici interni dei paesi coinvolti.

Un esempio è il titolo scelto da Lilli Gruber, su la 7, per la sua puntata di Otto e mezzo di ieri sera: “Meloni assolve Trump e attacca l’Europa”. Un titolo al quale per tutta la puntata la conduttrice ha cercato, per quanto inutilmente, di strappare il consenso del suo ospite nello studi: Roberto Cingolani, l’amministratore delegato di Leonardo. Che per avere resistito alle domande e pressioni della Gruber, condividendo la prudenza adottata nelle reazioni dalla premier italiana, peraltro in sintonia reciproca col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è sentito rinfacciare, diciamo così, i guadagni dell’azienda di Stato che lui amministra, producendo anche armamenti, con tutte le guerre in corso nel mondo.

Fra le pressioni oppositorie, diciamo così, della Gruber e la cautela della Meloni Cingolani ha preferito la seconda. Come ha fatto anche Il Foglio questa mattina titolando in rosso l’appello a “maneggiare i dazi senza isteria”. Che sta notoriamente alla ragionevolezza come il diavolo all’acqua santa.


