Nell’aula da ballo dell’Europarlamento, tra liscio, valzer e tango

Dal Corriere della Sera

Si sapeva, per carità, sin dalla nascita, anzi dal concepimento della seconda commissione europea di Ursula von der Leyen che sarebbe stata di maggioranze variabili. Giorgia Meloni aveva appena dissentito dal concepimento, appunto, avvenuto in un vertice a Parigi dopo le elezioni continentali dell’anno scorso e già trattava, neppure tanto dietro le quinte, con l’amica tedesca le nomine dell’allora ministro italiano Raffaele Fitto a commissario e vice presidente, ottenendo alla fine sia l’una che l’altra, a costo di parecchi mal di pancia tra Parigi, Madrid e Berlino.

Non si immaginava tuttavia che la variabilità sarebbe stata così frequente e su temi anche così importanti come la difesa dell’Europa nel nuovo contesto internazionale, fra guerre che continuano, tregue che non reggono e ricerche affannose ma ostinate,  da parte del presidente americano Donald Trump e di Putin al Cremlino, di nuovi equilibri e spartizioni di influenze e di territori 80 anni dopo gli accordi conclusivi della seconda guerra mondiale, a Jalta.

Non più tardi di ieri, a meno di un mese di distanza da un’altra analoga votazione, che il Corriere della Sera ha messo in evidenza all’interno con due rappresentazioni grafiche, un documento importante per la difesa e sicurezza europea è stato votato dal Pd e da Forza Italia, contrastato dalle 5 Stelle, dalla Lega e dalla sinistra radicale e un po’ meno, con l’astensione, dai fratelli e sorelle d’Italia di Giorgia Meloni. In tutto si sono avuti 399 voti favorevoli, 198 contrari e 71 astensioni.

La “copertina” del Fatto Quotidiano

“Il Pd unito sul sì”, ha voluto sottolineare nel suo titolo di copertina Il Fatto Quotidiano per chiudere a chiave, diciamo così, la delegazione del Nazareno, nonostante il dissenso di qualche esponente della delegazione, nel recinto dei guerrafondai utile alla propaganda di Giuseppe Conte in vista della manifestazione pacifista promossa dal suo partito per sabato a Roma. Pd “unito” e insieme, sempre a vantaggio delle posizioni politiche e polemiche di Conte, “contro Elly”. Cioè contro la segretaria del partito Schlein, che questa volta invece da Roma, diversamente dal 12 marzo scorso, ha accettato, disposto e quant’’altro il voto favorevole al documento e non l’astensione, disattesa il 12 marzo scorso da 10 dei 21 europarlamentari del Nazareno.

Se questo è accaduto sul tema della difesa e della sicurezza, chissà cosa potrà accadere, se e quando il tema arriverà in aula a Strasburgo, sulla guerra dei dazi che Trump ha ingaggiato praticamente contro tutto il mondo, compresa l’Europa. O addirittura soprattutto  contro un’Europa avvertita come parassitaria.  Che è divisa su come reagire e difendersi, appunto: unita o in ordine sparso, facendosi cioè dividere da Trump, risolutamente o mollemente, a breve o medio o lungo termine. A passo liscio, di valzer o di tango.

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Il soccorso di Antonio Di Pietro a madame Marine Le Pen

Dal Tempo di ieri

“Io sono stato parlamentare europeo ed è impossibile tracciare un confine sul lavoro che chiedi di fare ai tuoi collaboratori per il Parlamento di Bruxelles e quello per l’attività politica nel Paese di provenienza”. Sapete chi lo ha detto commentando e disapprovando la sentenza di condanna emessa a Parigi contro Marine Le Pen estromettendola, fra l’altro, dalla corsa all’Eliseo del 2025 per “ineleggibilità”? Che peraltro le impedirà sì la scalata alla Presidenza della Repubblica di Francia ma “farà vincere sicuramente uno dei suoi”, ha aggiunto e previsto l’ex eurodeputato italiano.

Romano Prodi e Antonio Di Pietro d’archivio

Ma chi è -ripeto- costui, le cui dichiarazioni sono state raccolte e diffuse da Augusto Minzolini sul Tempo? E’ nientemeno che Antonio Di Pietro, l’ex magistrato che conquistò le prime pagine dei giornali non solo italiani ma del mondo come il protagonista o il più emblematico attore delle indagini giudiziarie che decapitarono tra il 1992 e il 1993 la cosiddetta prima Repubblica, spianando involontariamente la strada alla seconda di un esordiente Silvio Berlusconi. Quello che, ormai insediato a Palazzo Chigi, lo stesso Di Pietro si propose al capo della Procura della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli, di interrogare per “sfasciarlo”. Cioè per sfacciare anche lui, come aveva tentato di fare, un po’ riuscendovi, con Bettino Craxi e un po’ fallendo con Romano Prodi. Di cui peralto sarebbe diventato poi due volte ministro dei lavori pubblici: nel 1996 e dieci anni dopo, nel 2006. Ma già lo stesso Berlusconi nel 1994 aveva tentato di portarlo al governo, quando era ancora magistrato, trattenuto dal già ricordato Borrelli, contrario anche alla nomina a ministro di un altro della sua squadra: Camillo Davigo.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio

La testimonianza, a distanza,  a favore di Marine Le Pen è l’ultima sorpresa riservata da Di Pietro ai suoi ex colleghi ed estimatori, dopo la condivisione della riforma della giustizia targata Nordio -l’attuale ministro della Giustizia- per la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, il sorteggio dei rappresentanti dei magistrati nell’organo probabilmente doppio di autogestione e una corte speciale di giustizia per occuparsi delle loro vertenze.

Il tempo, come vedete, non passa sempre inutilmente. Riesce ad essere galantuomo, almeno ogni tanto.

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