Affondo della Meloni alla Schlein sull’Europa hippy e disarmata

Dal Corriere della Sera

Non so se l’agenda le permetterà di correre sabato prossimo anche al congresso della Lega a Firenze, dove penso che l’alleato e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini l’avrà invitata, ma so che ieri Giorgia Meloni ha voluto accorrere al congresso di Azione, su invito di Carlo Calenda. E so, essendosi visto chiaramente dalle riprese televisive e dai resoconti giornalistici, che si è trovata un po’ come  a casa sua. Direi, maliziosamente, più di quanto porrebbe forse sentirsi il 5 aprile al congresso leghista, viste tutte le occasioni che Salvini non si lascia scappare per distinguersi, a dir poco, dalla pur amica e – ripeto- alleata premier.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

“Giorgia d’Azione”, ha titolato con ironia compiaciuta la pugliese Gazzetta del Mezzogiorno. Di un’”azione” tale da avere superato Calenda, pur estraneo alla maggioranza di centrodestra, nel contrasto al Pd di Ella Schlein sul versante della politica estera, sempre più di attualità fra guerre che continuano e tregue che non reggono. L’Europa che la Meloni ha attribuito alle idee e alla linea della Schlein è una “comunità di hippy demilitarizzata”, che affida la sua sicurezza alla generosità della limitrofa, armatissima Russia di Putin. Che potrebbe avere fatto in questi tre anni di guerra in Ucraina le esercitazioni per altre, più invasive “operazioni speciali”, come le chiamano al Cremlino.

Elly Schlein d’archivio

Non mancano d’altronde nell’archivio fotografico della segretaria del Pd immagini di festose partecipazioni a gay pride, e non solo a raduni più politici come quello del 15 marzo scorso a Piazza del Popolo, a Roma, tra sventolii di bandiere arcobaleno ed europee,  e di manifesti di Ventotene dove si può ancora leggere il testo abbastanza datato, del 1941, di un’Europa auspicabilmente unita con la forza, a democrazia sospesa, e con la proprietà privata permessa di volta in volta. Altro che “accessibile a tutti”, come scrive l’articolo 42 della Costituzione della Repubblica italiana imprudentemente citata da +esponenti del Pd, fra i quali l’ex segretario Pier Luigi Bersani, per sostenere che in fondo quel manifesto lo aveva anticipato.  

DalFatto Quotidiano

         Per niente compiaciuta è stata invece la “Giorgia d’Azione” sottintesa al titolo del Fatto Quotidiano, che ha proposta una  Meloni che “benedice il Partito delle Armi”, tutto radunatosi fra partecipanti e ospiti del congresso di Calenda. Un partito che starebbe nascendo, o crescendo, tra vertici a Bruxelles, Londra e Parigi, tutti frequentati dalla premier italiana comunque convinta che, per quanto armata, anzi “riarmata” nel titolo di un piano intestatosi dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, l’Europa non possa e non debba fare a meno dell’alleanza con gli Stati Uniti, anche quella di Donald Trump, occidentale in senso lato. Una presidente, la tedesca von der Leyen, che ha appena apprezzato pubblicamente i rapporti in qualche modo privilegiati fra la Meloni e la Casa Bianca. Apprezzamento di cui la premier ha ringraziato altrettanto pubblicamente.

La ritirata elettorale di Elly Schlein…al solito passo svelto e allegro

Da Libero

Chissà se la segretaria del Pd Elly Schlein ha trovato il tempo di dare un’occhiata all’ultimo sondaggio elettorale di Ipsos. Che risale a giovedì scorso 27 marzo, due giorni dopo il martedì nero di Romano Prodi, costretto da un video galeotto ad ammettere “l’errore”, pur non scusandosene, di avere preso per i capelli -da “nonno”, ha cercato di scherzarci sopra con le sue solite metafore Pier Luigi Bersani- una giornalista colpevolmente curiosa di conoscerne l’opinione sul cosiddetto manifesto di Ventotene. Quello sventolato in Piazza del Popolo, a Roma, di una fattura e storia così controversa da essere stato parzialmente disconosciuto a suo tempo dal più famoso dei suoi estensori, Altiero Spinelli, per eccesso di europeismo, diciamo così. Egli  aveva auspicato, previsto e quant’altro l’Europa unita fra sospensione della democrazia e forti limitazioni, a dir poco, al diritto di proprietà privata.

Giuseppe Conte in recupero

Giovedì scorso -tornando al sondaggio di Ipsos– il Pd entusiasticamente portato da Elly Schlein nelle elezioni europee del 2024 al 24,1 per cento dei voti era sceso di più di due punti e mezzo, al 21,5. Sempre sotto la guida della Schlein, forse distrattasi nell’inseguimento a sinistra di Giuseppe Conte. Che proprio grazie a questo inseguimento, che lo ha reso e lo rende visibile più come concorrente che come alleato potenziale, e renitente del Pd, è potuto salire nello stesso periodo di 3,8 punti: dal 10 al 13,8 per cento. Roba da avere mandato forse di traverso il caffè anche a Beppe Grillo, che litigando col presidente del MoVimento 5 Stelle ne aveva l’anno scorso abbozzato il funerale al volante di un carro rigorosamente meccanico e di lusso. E pensare che proprio Grillo aveva voluto fondare il suo movimento il giorno di San Francesco. Di francescano gli è rimasta solo la data anagrafica.  

Lo stato di crisi del Pd, dietro l’allegria e il passo svelto della sua segretaria, è diventato così evidente che di recente l’ex senatore Luigi Zanda, tra i fondatori del partito, ne ha proposto un congresso anticipato e straordinario. Straordinaria come la congiuntura internazionale inimmaginabile al momento dell’elezione della Schlein.

Fra i destinatari della proposta di Zanda il principale sembrava essere il senatore, ex ministro ed anche ex segretario del Pd Dario Franceschini. Che fu tra gli sponsorizzatori della Schlein, pur eletta nei gazebo delle primarie, contro Stefano Bonaccini preferito dagli iscritti, coi voti degli “esterni”, in gran parte interni alle 5 Stelle. Ma anche Franceschini, benedett’uomo, ha preferito esporsi ultimamente con la proposta, a dir poco stravagante, del matronimico di Stato. Che significa l’attribuzione di ufficio del cognome della madre al figlio: una riforma riparatrice -ha detto sempre Franceschini- del patriarcato cui sarebbe riconducibile l’assegnazione del cognome del padre. “Ma questa è discriminazione”, è sbottata Anna Finocchiaro, piddina di origini comuniste, già ministra delle pari opportunità.

Del Pd già l’anno dopo la fondazione, mentre già maturava la crisi della prima segreteria, assegnata a Walter Veltroni, un impietoso Massimo D’Alema disse che era “un amalgama mal riuscito” di gente, anime, cose provenienti dal Pci, dalla sinistra democristiana e cespugli ambientalisti, liberali e radicali. Mai analisi si è francamente rivelata così rapida e riuscita. Lo stesso D’Alema, uscitone ai tempi di Matteo Renzi segretario e tornatovi con la Schlein, non ha voluto mai cimentarsi a raddrizzarne il corso, Ha preferito dedicarsi ad altri affari, l’ultimo dei quali è stato da lui stesso rivelato come incaricato dal presidente ucraino Zelensky di perorare fuori d’Europa, non fidandosene del tutto, la causa del suo popolo in guerra da più di tre anni con la Russia. D’Alema vi si è inutilmente prodigato prima in Brasile, da Lula personalmente, che lo ha invitato ad occuparsi piuttosto della Palestina, e poi in Cina.   

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