Ursula von der Leyen vendica Meloni degli attacchi sui rapporti con Trump

Lilli Gruber ieri sera

         Puntuale come l’arrivo dell’ora legale, la presidente della Commissione dell’Unione Europea, la tedesca Ursula von der Leyen, che all’occorrenza sa farsi capire bene anche nella nostra lingua, ha vendicato la premier e ormai amica italiana Giorgia Meloni dalla rappresentazione che ne fanno gli avversari come di “un cavallo di Troja di Trump”, ha detto per esempio la segretaria del Pd Elly Schlein. Dietro alla quale è corsa, fra gli altri, Lilli Gruber nel suo salotto televisivo a la 7 titolando la puntata di ieri  sera con la domanda se la Meloni sia “vassalla di Trump”. E partecipando con gli altri ospiti  agli assalti, interruzioni e simili contro il direttore di Libero Mario Sechi. Al quale, diavolo di un sardo, non piace farsi allineare, o finire dietro la lavagna su ordine della maestra spazientita.

Ursula von der Leyen al Corriere della Sera

         “E’ un problema per l’Unione Europea l’ottino rapporto di Meloni con Trump?”, ha chiesto l’intervistatrice del Corriere della Sera e corrispondente da Bruxelles Francesca Basso. “Al contrario, penso che questo sia molto positivo”, ha risposto la presidente della Commissione. Che ha aggiunto: “Conosco Giorgia Meloni come leader forte e appassionata, con un ruolo molto importante a livello europeo. Ed è positivo che abbia un rapporto diretto. Più legami ci sono tra le due sponde dell’Atlantico, meglio è”.

Ursula von der Leuen al Corriere della Sera

         Con la Meloni, in particolare, Ursula von der Leyen condivide la necessità che l’Ucraina sia “trasformata in un porcospino d’acciaio completamente indigesto per qualsiasi tipo di invasore”.   

Ursulavon der Leyen al Corriere della Sera

         “L’obiettivo di Putin -ha detto la presidente della Commissione europea sulla guerra in corso da più di tre anni in  quella terra colpevole solo di confinare con la Russia e di avere aspirazioni europee- era conquistare Kiev in tre giorni e l’Ucraina in tre settimane. Tre anni dopo l’Ucraina è un Paese candidato ad entrare nell’Unione Europea ed è unita come non mai. L’obiettivo di Putin era quello di indebolire la Nato. Oggi la Nato conta altri due membri: Finlandia e Svezia. La resistenza dell’Ucraina e l’incrollabile sostegno internazionale dimostrano che l’aggressore non prevarrà”. E neppure Trump riuscirà forse a farlo prevalere pur con tutte le concessioni che gli ha fatto per aprire un vero negoziato di pace. Da cui non a caso ha appena escluso la provocatoria condizione posta da Mosca di mettere l’Ucraina sotto amministrazione controllata delle Nazioni Unite e trattare poi su un successore a Zelensky gradito al Cremlino. Anche Trump, vivaddio, ha una pazienza.

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Il flop del matronimico di Stato proposto da Dario Franceschini

Dal Dubbio

Il senatore Dario Franceschini, 67 anni da compiere in ottobre, il politico forse, dopo Giulio Andreotti, più prestato o a mezzadria con la letteratura, non a caso più volte ministro della Cultura, segretario del Pd per nove mesi, tra febbraio e novembre del 2009, giusto in tempo per partorire la segreteria di Enrico Letta, entrambi provenienti dalla scuola e dalla cultura democristiana; Dario Franceschini, dicevo,  è inconsapevole vittima di uno dei brocardi latini più noti dopo quello forse dalla “lex, sed dura lex”.

Il brocardo galeotto di o per Franceschini, per quanto lui prudentemente abbia evitato di richiamarvisi, da buon politico, è quello della “mater semper certa, pater incertus”. Un brocardo col quale hanno scherzato nelle Università generazioni di studenti di giurisprudenza dicendo che in fondo, a prendere quella massima alla lettera, potremmo sentirci un po’ tutti “figli di mignotta”, dicono a Roma. Pur con tutto il doveroso e rispettoso affetto, naturalmente, per le nostre mamme.

Franceschini, non so esattamente dove lavorando di più fra casa, Senato e l’officina, all’Esquilino, che egli ha trasformato in ufficio, spero col rispetto di tutti i regolamenti comunali e simili, ha motivato come un eccesso riparatore di un altro la sua proposta di assegnare d’ufficio al figlio il cognome della madre. Dopo tanto tempo in cui lo si è assegnato al padre nella solita concezione patriarcale della famiglia.

La segretaria del Pd Elly Schlein

Nonostante questa precauzione logica e- ripeto- politica, Franceschini ha raccolto reazioni più scettiche, o  negative, che compiaciute alla proposta formulata in una riunione del gruppo senatoriale del Pd.  Dove si è preferito occuparsi di questo problema, pur per contingenze legittime,  piuttosto che di altri magari più attuali, diciamo così, e difficili per le diverse opinioni esistenti al Nazareno: i problemi, per esempio, di politica estera. Di fronte ai quali l’ex senatore, sempre del Pd, Luigi Zanda avvertendo una certa incertezza o confusione, a dir poco, della linea perseguita dalla segretaria del partito Elly Schlein, non a caso disattesa da 10 dei 21 eurodeputati piddini in una recente e impegnativa votazione; Luigi Zanda, dicevo, ha proposto il ricorso ad un congresso anticipato e straordinario., anche a costo di provocare una crisi della segreteria. Tentazione, questa, dalla quale ad un certo punto è sembrata presa la stessa Schlein, con aria di sfida, sino a quando i soliti esperti statutari non si sono accorti -e non le hanno fatto notare- che un congresso straordinario comporta le dimissioni del segretario di turno e l’elezione di un altro di cosiddetta garanzia.

Al di là dei suoi racconti o delle sue visioni più o meno romanzate per rimanere nel campo letterario praticato da Franceschini con buoni risultati nelle librerie, la politica è fatta anche di questi accidenti. Fra i quali, ripeto, la proposta del cognome d’ufficio alla madre di ogni neonato a rischio di barzellette per quel maledetto – o benedetto, secondo i gusti- brocardo latino già ricordato della “mater semper certa, pater incertus”.

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