Stefano Pillitteri, che ha ereditato dal padre, l’indimenticabile Paolo, il buon senso, il coraggio e l’ironia, ha pubblicato sul suo sito la foto di una dimostrazione a Gaza, finalmente, di protesta della popolazione contro Hamas. Che ne ha fatto ostaggio, come degli ebrei prelevati nel pogrom del 7 ottobre 2023, privandola delle case, delle scuole, degli ospedali, delle strade, sotto cui hanno costruito le loro postazioni militari contro Israele.
Stefano si è chiesto giustamente se l’associazione dei partigiani e tutti gli altri campioni della Palestina rappresentata dai terroristi di Hamas, dal Giordano al mare, avranno la faccia tosta di essere coerenti fino in fondo con la loro posizione accusando i dimostranti di Gaza, fra le rovine della loro terra, di essere dei provocatori, facinorosi eccetera.
“Superficiale” ha risposto un tale, lui sì superficiale. Che non ha capito come le cose stiano forse cambiando davvero a Gaza. E dintorni, pur a costo di tanti morti e di tante distruzioni.
Ne scrivo malvolentieri per il disagio che provo occupandomi delle “scuse” attribuite da agenzie e qualche volenteroso giornale a Romano Prodi. Che, a leggerne le dichiarazioni fra virgolette, si è però solo “dispiaciuto” dell’”errore” che ha ammesso di avere impugnato una ciocca di capelli della giornalista di Rete 4 Lavinia Orefici. Dalla quale aveva ricevuto sabato scorso una domanda sgradita sulle polemiche di giornata a proposito del manifesto di Ventotene sull’Europa scritto nel 1941 dai confinati antifascisti Altiero Spinelli, Enrico Rossi ed Eugenio Colorni. Manifesto fatto stampare la settimana precedente per essere sbandierato in una manifestazione di sinistra in Piazza del Popolo. Di cui la premier Giorgia Meloni non in un’altra pazza ma nell’aula della Camera ne aveva poi ricordato alcuni passaggi per non riconoscervisi, prospettandosi un’Europa unita e libera solo a parole, dovendo passare per una sospensione della democrazia e una proprietà privata ammessa o regolata caso per caso.
Altro che l’articolo 42 della Costituzione della Repubblica italiana sopraggiunta nel 1947, in vigore dal 1948 e ricordata, per esempio, da Pier Luigi Bersani ieri sera nel salotto televisivo di Lilli Gruber per cercare di renderlo compatibile col documento di Ventotene.
Pierluigi Bersani
“La proprietà privata -dice la Costituzione italiana- è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. “Accessibile a tutti”, ripeto.
Ma torniamo a Prodi, di cui Bersani, a proposito della sua reazione televisiva alla domanda sgradita su Ventotene e dintorni, ha parlato come di “un nonno” che aveva scambiato la giornalista per una nipote, vista anche la “gestualità familiare” rivendicata dall’ex premier nel riconoscere l’”errore” senza scusarsene, ripeto, ma solo per dispiacersene.
I tre giorni o settantadue ore trascorse fra quell’eccesso “gestuale”, chiamiamolo così, e la diffusione delle immagini registrate che hanno costretto Prodi a dispiacersi, smettendo di negare di avere allungato le mani sui capelli della giornalista troppo impertinente, provocatrice, disinformata e quant’altro, dicono da sole di che pasta sia fatta anche l’informazione. Che ha impiegato così tanto per far capire e vedere la realtà dell’accaduto. E non fare più passare le proteste della giornalista Lavinia Orefici per quelle di una bugiarda o di una mitomane. Non scrivo altro perché credo che basti e avanzi.
Paolo Cirino Pomicino, 86 anni da compiere a settembre, l’unico imputato di Antonio Di Pietro riuscito a strappargli, sia pure in un ospedale, la promessa di tesserne gli elogi in Chiesa una volta morto, non ha saputo resistere alla tentazione di togliersi qualche sassolino da una scarpa, o da entrambe, parlando al Foglio del suo ex collega di partito, o di area, e coetaneo Romano Prodi, 86 anni da compiere in agosto.
Geronimo
Intervistato proprio come Pomicino, e non Geronimo, il capo degli indiani Apache assunto da lui come pseudonimo negli anni del terrore giudiziario di “Mani pulite”, quando si faticava anche a firmarsi, come andare per strada o al ristorante, l’ex ministro andreottiano ha fatto un ritratto politicamente impietoso del Prodi partecipe di una certa voglia o nostalgia della Dc. Partecipe naturalmente al suo modo, anche ruvido come quando gli è capitato di insolentire una giornalista televisiva che gli aveva fatto una domanda sgradita sulle polemiche del momento. Che riguardavano il manifesto di Ventotene scritto nel 1941 da confinati antifascisti destinati ad una santificazione europeistica forse troppo generosa. Anche secondo l’opinione di Pomicino, espressa sempre sul Foglio in coincidenza con una intervista analoga di Rocco Buttiglione ad Avvenire, che ad aprire davvero il cantiere dell’unità europea siano stati ai loro tempi gli statisti Conrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schumann, in ordine rigorosamente alfabetico: tedesco il primo, italiano il secondo e francese il terzo.
Pomicino al Foglio
“Prodi, che è stato sempre democristiano, un grande democristiano particolare, oggi misura il suo fallimento”, ha detto Pomicino. Che ha spiegato: “Era partito con l’Ulivo, nome evocativo di una cristianità perseguitata, nome che giocava in rimessa. E infatti l’Ulivo è scomparso. E ha continuato con politiche che, a mio avviso, non hanno aiutato la crescita del paese, anzi. Ed eccoci qui, con i salari reali più bassi d’Europa e pochi investimenti pubblici e privati”, ereditati da Giorgia Meloni ed altri che l’hanno preceduta dopo gli anni di Prodi, appunto.
La ragione di tanta, sostanziale depressione nella quale si è trovata l’Italia “affonda -ha detto Pomicino-anche in un atteggiamento tipico del cattolicesimo di sinistra dopo Tangentopoli”. “La cui politica di riferimento – ha spiegato e ricordato Pomicino- doveva scomparire, tanto che nel 1993 un gruppo di esponenti della sinistra democristiana si recò dall’ambasciatore americano Reginald Bartholomew a spiegare che la Dc non si sarebbe mai ricomposta. Il percorso era stato deciso: avvicinarsi agli ex comunisti, pensando di mettersi al riparo dalle Procure”: quelle della Repubblica giudiziaria che si è rivelata coriacea nella difesa degli spazi conquistati dalla magistratura a scapito della politica.
All’insaputa tuttavia dei magistrati e quant’altri interessati alla scomparsa di quella che Pomicino ha chiamato la “cultura di riferimento” della Dc di De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, De Mita, Forlani e via navigando fra i ricordi dello scudo crociato, quella cultura ha in qualche modo resistito. O si è rifugiata in altri contenitori politici ed elettorali, direi ormai più a destra che a sinistra con i cambi generazionali intervenuti. Ed è questa la realtà che forse persino Pomicino stenterà a riconoscere del tutto, o tanto da immedesimarvisi. Come hanno fatto invece suoi amici o quasi conterranei quale Gianfranco Rotondi, di più di vent’anni meno di lui.
Pomicino e Prodi molto d’archivio
Se stenta a riconoscerlo Pomicino, figuriamoci se potrà mai ammetterlo Prodi nella grande considerazione peraltro che ha di se stesso, sino alla irascibilità delle sue reazioni a chi osa fargli domande senza inginocchiarsi al suo cospetto e chiedergli scuda del disturbo. Eppure è questa la realtà, ripeto, con la quale anche il professore, dall’alto delle sue certezze persino accademiche è chiamato a fare i conti.