Romano Prodi affonda il coltello nel burro di Elly Schlein

Dal Corriere della Sera

Che schiaffo a Elly Schlein, per quanto metaforico, l’intervista al Corriere della Sera nella quale Romano Prodi ha liquidato come “troppo prudente” il piano di riarmo europeo che la segretaria del Pd ritiene invece troppo imprudente, proponendone un “radicale cambiamento” nei giorni scorsi alla Camera. E ciò dopo avergli fatto negare dalla maggioranza del gruppo piddino nel Parlamento europeo -undici contro dieci- l’approvazione con la formula, peraltro poco coraggiosa, dell’astensione.

Neppure nella formulazione non più di “riarmo” ma di “Prontezza 2030”, appena uscita dal Consiglio europeo raccogliendo i disagi semantici anche della premier italiana Giorgia Meloni, e del premier socialista spagnolo Pedro Sanchez, il piano europeo è stato considerato da Prodi inadeguato alla situazione di pericolo, rischio e quant’altro in cui si trova il vecchio continente dopo la svolta nei rapporti fra gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin.

Romano Prodi al Corriere della Sera

“Mi ha fatto un po’ sorridere -ha detto testualmente l’ex presidente del Consiglio, ma anche della Commissione di Bruxelles- la dichiarazione di essere pronti a cooperare nel 2030. E arrivati a quella data, che cosa succede? Non è solo una data lontana, ma manca totalmente l’indicazione di una volontà precisa sulla comune difesa. Sono passi ancora troppo prudenti. Una maggiore cooperazione senza contenuti non basta”. Parole, queste, destinate in Europa soprattutto a Ursula von der Leyen, l’ex ministra tedesca della Difesa al suo secondo mandato al vertice della Commissione europea, e in Italia alla Schlein. Nei cui riguardi l’ex premier, criticandone la linea, non si lascia distrarre più di tanto dal fatto che nel 2013, dodici anni fa, fu la più lesta e vivace nel difenderlo dai franchi tiratori del Pd che ne avevano impedito l’elezione al Quirinale. La Schlein allora promosse reclamò e quant’altro l’occupazione delle sezioni e sedi del partito.

Ancora Prodi al Corriere della Sera

Pagatole il tributo, diciamo così, di un altro attacco a Giorgia Meloni, da lui considerata una versione femminile di “Arlecchino servo dei due padroni”, che sarebbero Trump e la von der Leyen, Prodi ha contestato alla Schlein anche la gestione del partito, pur cercando di apparire estraneo alle beghe interne del Nazareno. “Io non entro -ha risposto ad una domanda sull’aria un po’ da congresso che spira al Nazareno, appunto- nel dibattito interno del partito. Ma dico che è urgente costruire un’alleanza che vinca alle prossime elezioni, un’alleanza progressista”. Di cui ha convenuto che non esistono i presupposti. “E’ per questo -ha insistito Prodi- che il governo non è caduto, nonostante lo stato in cui si trova. Perché esistono opposizioni, ma non un’alternativa di governo”.

Anche il sindaco moroforlaniano ha qualcosa da ridire sul manifesto di Ventotene

Da Libero

Carmine Caputo, già segretario del Comune di Ventotene, ne è sindaco da tre anni, eletto con 274 voti contro i 223 del notaio Gennaro Santomauro, il suo principale concorrente distanziato di “soli” 51 voti, dirà qualcuno leggendomi. Ma 51 voti sono tanti in un’isola di meno di 700 abitanti. non tutti elettori naturalmente perché al di sotto dei 18 anni non si vota. O non si vota ancora, per quanto a suo tempo Enrico Letta avesse proposto di far votare anche i sedicenni.

Civico di elezione, nel senso della lista nella quale si è proposto e ha vinto, il sindaco di Ventotene si è orgogliosamente confessato “democristiano” a Ginevra Leganza, del Foglio, che l’ha chiamato per saggiarne gli umori in vista dello sbarco, oggi nell’isola, della segretaria del Pd Elly Schlein e amici e compagni in trasferta politica. Per omaggiare la tomba di Altiero Spinelli oltraggiata, secondo loro, sia pure a distanza, dalla premier Giorgia Meloni citando un passaggio del manifesto suo e di Ernesto Rossi, scritto da antifascisti confinati nell’isola nel 1941, per un’Europa libera e unita sì, ma a democrazia sospesa e a regime sostanzialmente collettivistico. Dove la proprietà privata sarebbe stata o vietata o consentita solo entro limiti angusti.

D’altronde, ancora negli anni Settanta l’allora segretario del Psi Francesco De Martino, non ancora sostituito da Bettino Craxi armato di forbici per tagliare la barba a Marx, come gli rimproverò Eugenio Scalfari sulla Repubblica di carta, immaginava di privata per l’Italia solo la bottega del barbiere.

Democristiano dichiarato, dicevo del sindaco di Ventotene. “Io -ha detto, in particolare- sono nato democristiano, con Aldo Moro e Arnaldo Forlani, e morirò democristiano”. Un democristiano del tipo da me immaginato scrivendo giovanissimo di un Forlani che stava “con Fanfani nel cuore e con Moro nel cervello”. Forlani apprezzò avviando con me un rapporto di amicizia durato sino alla sua morte. Fanfani, allora presidente del Senato, apprezzò molto meno invitandomi ad una colazione di prima mattina per dirmi -o mandare a dire all’ancora formalmente numero due della sua corrente – che se avesse voluto accordarsi con Moro avrebbe potuto e saputo farlo direttamente. E così fece in effetti col famoso “patto di Palazzo Giustiniani” nel 1973 ponendo fine alla prima segreteria Forlani nella Dc e tornando lui al vertice del partito. Peraltro sparatissimo verso il referendum contro il divorzio che nel 1974 perse rovinosamente. Forlani invece se n’era tenuto lontano facendolo rinviare due anni prima, ricorrendo persino alle elezioni anticipate.

Elly Schlein d’archivio a Ventotene

Abituato a suo tempo a un partito complesso come la Dc, il sindaco di Ventotene, anche a costo di deludere l’ospite più illustre di oggi nella sua isola, si è ben stretta metaforicamente la fascia di sindaco addosso per omaggiare sì la memoria di Spinelli, apprezzare anche il soffietto televisivo di Roberto Benigni ma confessare anche  alla giornalista del Foglio di essersi riconosciuto nella dissociazione della premier Giorgia Meloni da un passaggio del manifesto di una Europa “libera e unita” solo a parole, dovendo convivere con la sospensione della democrazia e la proprietà confinata nelle botteghe dei barbieri, come ho divagato scrivendo del Psi di Francesco De Martino. 

Lacrime alla Camera

“Io non penso -ha convenuto il sindaco di Ventotene con la Meloni pensando al raduno romano del 15 marzo scorso- che tutti quelli che brandiscono il Manifesto in piazza l’abbiano letto”. E ancora, invitato a commentare il pianto del deputato del Pd Federico Fornaro nell’aula di Montecitorio dopo avere invitato la premier a “vergognarsi” della sua parziale lettura del manifesto di Aliero Spinelli, e di Enrico Rossi, e di Eugenio Colorni, il sindaco ha detto: “Penso che il dibattito parlamentare sia ipocrita”. A destra, secondo Carmine Caputo, ma anche a sinistra.

Onore al sindaco di Ventotene, un po’ meno, o per niente, ai suoi ospiti di oggi

Pubblicato sul Dubbio

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