La parola non piace ma resiste agli assalti. E il riarmo europeo va avanti

L’intestazione del piano di riarmo europeo voluta dalla presidente della Commissione di Bruxelles von der Leyen, che ha una certa conoscenza e pratica della materia essendo stata la ministra tedesca della Difesa, piacerà a pochi, o addirittura a nessuno dei leader incontratisi nella sessione ordinaria del Consiglio dell’Unione, ma il voto favorevole è stato unanime, col sì anche dell’Ungheria di Viktor Orban. Si è convenuto, in particolare, di “accelerare i lavori su tutti i piani per aumentare in modo decisivo la prontezza di difesa dell’Europa entro i prossimi cinque anni”.

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen ieri a Bruxelles

Ci sarà rimasto forse male, informato di questo testo non so dove e come, il vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini. Che tuttavia privatamente aveva già smentito alla premier Meloni un capogruppo parlamentare del suo partito che aveva escluso un mandato in tal senso. Così comunque sono andate le cose a Bruxelles con l’apporto della stessa Meloni, non credo troppo sofferto.

Saranno invece soddisfatti in Italia, trovando alimento alla loro linea e propaganda, le opposizioni più radicali, che hanno arruolato d’ufficio il governo italiano, pur a partecipazione leghista, fra i guerrafondai d’Europa, decisi peraltro anche ad ostacolare la pace che Trump e Putin insieme vorrebbero imporre all’Ucraina di Zelensky. Il quale non a caso è tornato a raccogliere anche in questa sessione del Consiglio europeo, questa volta però senza il consenso dell’Ungheria, l’appoggio, la solidarietà e quant’altro nella resistenza opposta da più di tre anni all’invasione russa.  

Queste sono le notizie da Bruxelles. Il resto è chiacchiericcio. Sotto, neppure dietro le quinte. Sottoscena più che retroscena.

Benigni in Eurovisione su Ventotene e dintorni ha affondato clamorosamente RaiMeloni

Dal Dubbio

Qualsiasi cosa si possa o si voglia pensare o scrivere, condividendo o dissentendo dal Sogno di Roberto Benigni mandato in onda in diretta Eurovisione dalla Rai l’altra sera, credo che non si possa decentemente ignorare o nascondere il nubifragio di RaiMeloni. Che è il soprannome dato alla Rai dagli avversari della premier, e con un certo compiacimento anche da alcuni suoi amici, da quando è in carica l’attuale governo. E persino da un po’ prima, quando con Mario Draghi ancora a Palazzo Chigi già  si avvertiva l’arrivo della leader della destra per la partita elettorale giocata a porta vuota dalle sinistre e dintorni più di due anni e mezzo fa. Lo stesso Draghi accolse la Meloni a Palazzo a braccia aperte, come si usa dire.

Benigni ha offerto al pubblico, che se lo era perso negli spezzoni dei telegiornali sul dibattito alla Camera in vista del vertice europeo di Bruxelles, uno spettacolo di difesa del cosiddetto manifesto di Ventotene sull’Europa “libera e unita” di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Che a Montecitorio la premier aveva qualche ora prima contestato per i passaggi nei quali l’Europa, piuttosto che libera e unita, era pensata a democrazia sospesa e a regime collettivistico, senza il diritto di proprietà a dintorni.

Senza scomporsi nelle urla e nelle proteste delle opposizioni nell’aula di Montecitorio, sino a doversene sospendere la seduta, Benigni ha allungato le sue ali protettive sulle buonanime di Spinelli e di Rossi, e anche del non menzionato Eugenio Colorni, come su Dante Alighieri da lui già recitato in altra occasione per la sua Divina Commedia. Ed ha generosamente definito l’Unione Europea prodotta anche dal manifesto di Ventotene “la più grande costruzione politica ed economica degli ultimi 5000 anni”. Cinquemila, ripeto in lettere. Una costruzione, peraltro, che ora quel matto del presidente americano Donald Trump, toccato pure lui dall’ironia di Benigni, avverte come una relativamente recente trovata sull’altra sponda dell’Atlantico per fregare gli Stati Uniti. Che pertanto avrebbero tutto il diritto di difendersene in ogni modo: dai dazi a una pace in Ucraina – dopo più di tre anni di guerra avviata dalla Russia- alle spalle, sulla testa e quant’altro dell’Europa, oltre che della stessa Ucraina.

Il cavallo morente della Rai

Non vi è stata diga, barriera di sacchi, catena di secchi e simili capace nella cosiddetta RaiMeloni, con tutte le costose strutture e direzioni esistenti, che abbia potuto prevenire e contenere il Benigni protettivo di Ventotene e di tutto il resto compromesso dalla premier con le sue parole, i suoi giudizi, i suoi gesti. Un disastro, ripeto, per RaiMeloni, Telemeloni e varianti dell’azienda pubblica di viale Mazzini. Dove d’altronde a vigilare, anche per il risanamento ambientale in corso dopo una lunga convivenza col pericolosissimo  amianto, è rimasto solo il pur imponente cavallo di bronzo, non a caso “morente” per definizione, dello scultore Francesco Messina.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it

Il manifesto di Ventotene per la sinistra di oggi come la corazzata Potemkin per la sinistra dell’altro ieri

Da Libero

Nella caricatura che hanno finito per farne, spero involontariamente, i suoi tifosi fra lacrime, invettive, interruzioni di seduta alla Camera e tutto il resto di una sceneggiatura di opposizione abusivamente al singolare, il cosiddetto manifesto di Ventotene per una “Europa libera e unita” del lontano 1941, scritto quando essa era ancora sotto il ferro e il fuoco della seconda guerra mondiale, è diventato un po’ come la corazzata Potemkin nella letteratura e cinematografia sovietica. Sulla quale si rovesciò a suo tempo la “cagata pazzesca” di Paolo Villaggio nei panni di Ugo Fantozzi, scampati miracolosamente l’uno e l’altro al linciaggio tentato adesso contro la premier Giorgia Meloni. Che si è permessa di non riconoscersi, o almeno non del tutto, nell’Europa a democrazia sospesa, e collettivistica, sognata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Ma anche da Eugenio Colorni.

Giorgia Meloni al Quirinale

Dalla rivolta tragicomica contro la Meloni, sulla quale è stato subito sparso da qualche giornale anche “il gelo” del presidente della Repubblica al Quirinale, nel solito incontro conviviale prima dei vertici europei, si è fatto travolgere, o quasi, questa volta anche il buon Pier Ferdinando Casini dal Senato. Dove è ospite, con i suoi elettori personali di Bologna e dintorni, del Pd prima di Matteo Renzi, poi di Enrico Letta e ora di Elly Schlein, che da segretari del Nazareno hanno steso le liste dei candidati dove il mio amico Pierferdy ha potuto maturare quello che credo si possa ormai considerare il suo primato di longevità parlamentare.

Pier Ferdinando Casini

Neppure Casini, un moderato doc come un democristiano senza più la Dc, ha voluto perdonare alla premier Meloni dalle colonne del Corriere della Sera le distanze prese da Spinelli e amici, o compagni, Mi consola solo l’idea, sulla quale scommetto conoscendolo bene, che non si lascerà neppure tentare dalla curiosità di cercare e magari trovare anche lui in qualche anfratto preistorico del Colle Oppio, a Roma, davanti al Colosseo, la sede fisica e morale di un assalto fascistoide al manifesto di Ventotene. Che è stato stampato, distribuito e sventolato per la manifestazione di sabato scorso, sempre a Roma, in Piazza del Popolo, sotto la terrazza del Pincio.

Pierferdy non ha avuto bisogno di leggere ieri sul Foglio il comune amico Giuliano Ferrara per ricordarsi del saggio critico sul manifesto di Ventotene scritto da uno storico non certo di strapazzo come Ernesto Galli della Loggia. Che credo, modestamente, sia stata anche la fonte informativa e culturale della premier parlando appunto di quel manifesto alla Camera. E non lasciandosi intimidire o zittire dagli avversari.

C’è in questa pratica delle opposizioni, anche in questo passaggio della storia italiana, di unirsi solo nell’aggressione verbale al nemico di turno, uomo o donna che sia, anziano o giovane, celibe o coniugato, separato o convivente, qualcosa non so se di più comico o tragico. Sono abbastanza anziano per ricordarmi ancora dei “calci in culo” con i quali il pur forbito Palmiro Togliatti nel 1948 si proponeva di “cacciare” Alcide De Gasperi, forse anche per questo sulla strada della Beatificazione, dalla guida del governo. Che allora aveva ancora sede al Viminale, come anche il Ministero dell’Interno.

Francesco Saverio Borrelli

Il colpo a Togliatti non riuscì per le “piazze piene e urne vuote” lamentate da Pietro Nenni in edizione sfortunatamente frontista. E credo che non riuscirà, questa volta contro Meloni, neppure alle opposizioni attuali quando si tornerà a votare per il rinnovo, ordinario o anticipato che dovesse essere, delle Camere. L’elettore, per fortuna, è generalmente meno sprovveduto, meno avventato, meno distratto di quanto non credano gli esagitati della politica. E persino gli avventurieri. Se ne accorsero una trentina d’anni fa persino i magistrati che erano riusciti a ghigliottinare la cosiddetta prima Repubblica. E furono poi chiamati da Francesco Saverio Borrelli a “resistere, resistere, resistere” -tre volte- all’inatteso, imprevisto e imprevedibile Silvio Berlusconi.

Pubblicato su Libero

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