
Il Senato approva, è stato annunciato nell’aula di Palazzo Madama a proposito del documento proposto dalla maggioranza, diviso in ben 12 capitoli, a sostegno della linea esposta dalla premier Giorgia Meloni in partenza oggi, dopo un analogo passaggio alla Camera, per il Consiglio europeo. Le opposizioni hanno presentato tanti documenti quanti sono i gruppi che le compongono aspirando a diventare un’alternativa al centrodestra: documenti che non sono stati neppure votati dopo quello della maggioranza con 109 sì.

Flavia Perina, già direttrice del Secolo d’Italia della destra di Gianfranco Fini, ha scritto sulla Stampa di una “palude tecnica” nella quale la Meloni si sarebbe “rifugiata” per conservare l’unità della maggioranza insidiata soprattutto dai leghi. Una palude apprezzata in qualche modo sul Fatto Quotidiano, dove il direttore Marco Travaglio ha riconosciuto alla presidente del Consiglio il merito di essere “l’eccezione una volta tanto lodevole fra gli euromitomani” che fra Londra, Parigi, Bruxelles, Varsavia, Berlino vorrebbero ostacolare col riarmo del vecchio continente la pace in Ucraina e quant’altro potrà nascere dal nuovo rapporto fra Donald Trump e Putin. Che priprio ieri si sono a lungo parlati per telefono con reciproco compiacimento.

Analoga a quella del Fatto Quotidiano è l’impressione ricavata dall’Unità di Piero Sansonetti, che ha sottolineato “la frenata” della Meloni sulla strada del riarmo pur condiviso da fratelli e sorelle dell’Europarlamento votando qualche giorno fa a favore del piano che porta il nome della presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen.
C’è molta tattica di sicuro, paludosa come quella rimproverata alla Meloni sulla Stampa, nelle reazioni mediatiche e politiche al voto del Senato e a quello prevedibile di oggi alla Camera. Ma la premier ha voluto certamente ritagliarsi col suo intervento e gli atti parlamentari successivi un suo spazio distinto e distante -avrebbe forse detto la buonanima di Francesco Cossiga- dai suoi omologhi nell’Unione Europea. Uno spazio, a sua volta, il più vicino possibile a Trump e alla tela che egli sta cercando di tessere con Putin.

Tutto è un po’ strano, ed anche opaco, in questo passaggio di clima e forse anche di epoca nello scenario internazionale. Lo deve avere avvertito anche l’ex premier Mario Draghi -pure lui al Senato, ma in un’altra aula- dopo avere riproposto le sue note analisi, da consigliere o quasi della presidente della Commissione europea, sul colpo di reni che l’Europa dovrebbe darsi anche in materia di difesa. Ad un certo punto egli ha preferito interrompere l’interlocuzione con i senatori delle commissioni Esteri e Difesa, ma anche altri, vedendoli stanchi e distratti, presi più dai loro orologi che dalle sue parole. Un’altra buona notizia, forse, per Putin a Mosca.