Zelensky dalla Casa Bianca al pronto soccorso di Londra, al 10 di Downing Street

Il premier ucraino nella imboscata americana

Dall’incidente a Washington, addirittura alla Casa Bianca, al pronto soccorso a Londra, al numero 10 di Downing Street. Dove il primo ministro britannico Keir Starmer ha ricevuto col massimo della cordialità e insieme della ufficialità il presidente ucraino Volodymir Zelensky. Al quale ha confermato l’appoggio “sino alla fine” nella guerra mossagli più di tre anni fa dalla Russia di Putin con una cosiddetta “operazione speciale” che avrebbe dovuto concludersi, nei progetti del Cremlino, in tre giorni. E non nei quindici risultanti al presidente americano Donald Trump, diventati più di nei quali gli ucraini gli ucraini hanno resistito  con gli aiuti militari e d’altro tipo ricevuti paradossalmente anche dagli americani. O soprattutto dagli americani, come Trump ritiene sia avvenuto sotto la presidenza del suo predecessore Joe Biden. E ora  rivendicare il diritto di rifarsi con le “terre rare” eventualmente rimaste all’Ucraina dopo la perdita dei territori che dovrà cedere alla Russia negli accordi di pace, effettiva o presunta, che finiranno per definire lo stesso Trump e Putin nei negoziati che sono ancora ai livelli preliminare.

Il premier ucraino all’uscita dalla Casa Bianca

Se Zelensky ha trovato difficoltà, diciamo così, a far capire a Trump la paradossalità di questo percorso o progetto studiato alle spalle dell’Ucraina, e non a suo sostegno, non ne ha certo trovate col premier inglese. Che probabilmente avrà condiviso la scelta sostanzialmente unanime della stampa britannica di definire “agguato” l’appuntamento dato al presidente americano a quello ucraino nello storico studio ovale della Casa Bianca, affollato di ospiti e operatori televisivi per uno spettacolo sostanzialmente in diretta. Conclusosi con l’altrettanto sostanziale cacciata di Zelensky, accompagnato all’uscita dalla Casa Bianca da una inserviente, o poco di più.

Al pronto soccorso del numero 10 di Downing Street ne seguiranno altri tra oggi e domani, sempre a Londra, a livello comunitario, come se l’Inghilterra stesse eccezionalmente rientrando dalla Brexit per l’emergenza creatasi, o aggravatasi, in Europa per ciò che Trump vuole fare dell’Ucraina dandogliela praticamente vinta a Putin. Forse oltre le stesse aspettative del Cremlino.

Oggi è l’ultima domenica di Carnevale, spero non solo in Italia.

Mani pulite raccontate da Antonio Di Pietro a Massimo D’Alema

Da Libero

Merita qualche riflessione non solo retrospettiva ma anche attuale, per la perdurante esondazione del potere giudiziario, il racconto di “Mani pulite” fatto giovedì scorso alla Camera da Massimo D’Alema partecipando alla presentazione di due libri pubblicati su Bettino Craxi nel venticinquesimo anniversario della morte. Che lo stesso D’Alema da presidente del Consiglio -gli va riconosciuto- tentò inutilmente di evitare in terra tunisina cercando di garantirgli un ricovero in ospedale in Italia senza l’umiliazione dell’arresto in quelli che sarebbero stati i suoi ultimi giorni di vita. Poi egli dispose i funerali di Stato che i familiari di Craxi, a cominciare dalla figlia Stefania, rifiutarono per protesta contro il trattamento riservato al loro congiunto nella vicenda giudiziaria di Tangentopoli con una “durezza senza uguali”, come avrebbe pubblicamente riconosciuto dieci anni dopo l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Di Pietro e D’Alema d’archivio

D’Alema ha raccontato, in particolare, secondo il resoconto fattone sul Riformista da Aldo Torchiaro, di avere raccolto da Antonio Di Pietro, non più magistrato ma ministro di Romano Prodi, la confidenza che a Milano, fra indagini, arresti e processi sul finanziamento illegale della politica, “noi volevano abbattervi e liquidarvi tutti”, incontrando però nei comunisti -o post-comunisti, come si chiamavano nel Pds-ex Pci- “un osso duro”.

Pur inorgoglito da questo racconto, D’Alema contestò a Di Pietro di avere portato in uno dei suoi processi un “falso testimone” sulla famosa visita fatta da Raoul Gardini nella sede del Pci. Dove, accolto proprio D’Alema per essere accompagnato dal segretario del partito Achille Occhetto, egli sarebbe arrivato con una valigetta piena -non credo di santini e simili- uscendone senza. Erano scomparsi contenuto e contenitore.

D’Alema, raggiunto dalla cronaca di quella deposizione nel 1994 mentre faceva campagna elettorale a Gallipoli, aveva cercato di smentire il testimone scrivendo al presidente del tribunale, ma inutilmente. Lui peraltro all’epoca di quella visita di Gardini non lavorava al partito con Occhetto ma nella sede dell’Unità, che dirigeva col solito zelo.

 Ma l’”osso duro”, ripeto, riconosciuto alla sua parte politica dall’ornai ex magistrato in qualche modo simbolo di “Mani pulite” è rimasta pur sempre una consolazione per D’Alema. Che nel suo racconto ha impietosamente contrapposto alla durezza, disciplina e quant’altro dei suoi compagni, coinvolti nella pratica generalizzata del finanziamento illegale dei partiti, alla prova data dai socialisti. Che preferirono invece la “slealtà”. E in effetti si scannarono fra di loro contribuendo alla demonizzazione del segretario del Psi, diventato il capro espiatorio di tutta Tangentopoli.

Bettino Craxi

Sarebbe disonesto non riconoscere una parte almeno di verità al racconto, ragionamento e altro ancora di D’Alema. Il quale però deve ammettere che alla “durezza” dell’osso comunista contribuirono i magistrati: o almeno quel procuratore aggiunto di Milano, per esempio, che cercò e trovò personalmente un documento utile alla difesa di Primo Greganti, finito nei guai per la “gabbia” costituita da un conto svizzero dove passavano fondi destinati al Pci. Di prove a discolpa dei socialisti finiti nel tritacarne giudiziario personalmente non ho memoria.

Chiudo chiedendomi, senza la pretesa di aspettarmi una risposta, se Massimo D’Alema sia mai stato tentato di dare una mano a Craxi in quegli anni terribili, in cui i magistrati avrebbero voluto fare fuori “tutti”. E vi abbia rinunciato solo perché Craxi era stato abbandonato dagli sleali compagni del proprio partito. E non invece perché Craxi eliminato giudiziariamente dalla politica faceva un grande, grandissimo comodo al partito di D’Alema.

So bene che la storia non si fa con i “se”. Ma sospetto che la sinistra italiana non si troverebbe nella crisi attuale, di identità e di tutto il resto, se non si fosse liberata a suo tempo di Craxi in quel modo. Semplicemente orribile.

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