La Santanchè con le dimissioni nella borsetta, pur avendo evitato la sfiducia

La ministra Santanchè a Montecitorio

Da Lascia o raddoppia? dell’indimenticato Mike Bongiorno a Raddoppia e lascia!- si potrebbe diredello spettacolo di Daniela Santanchè alla Camera. Dove la ministra del Turismo si è guadagnata la seconda fiducia parlamentare derivante dalla bocciatura della sfiducia promossa dalle opposizioni, ma promettendo praticamente e generosamente le dimissioni agli amici di partito e di maggioranza, se dovesse essere rinviata a giudizio anche per truffa all’Inps, oltre per il falso in bilancio contestatole in un altro processo.

Le parole di Santanchè

“A breve -ha detto la ministra al termine di un discorso estremamente polemico e interrotto dalle proteste delle opposizioni- ci sarà un’udienza preliminare e finora abbiamo solo sentito l’accusa. In quell’occasione farò una riflessione per poter anche valutare le dimissioni. Sarò guidata solo dal rispetto del mio premier, del governo, della maggioranza ma soprattutto per l’amore per il mio partito, dove certo io non vorrò mai diventare un problema ma continuare a essere una risorsa”.  

Dasl tabellone della Camera

La premier Giorgia Meloni, che “non ha risposto” all’appello nominale sulla sfiducia, come ha registrato il tabellone elettronico dell’aula di Montecitorio, deve avere molto apprezzato seguendo la seduta altrove. Sicuramente hanno apprezzato i colleghi di partito e di maggioranza applaudendo calorosamente le parole della ministra, che li hanno liberati dal rischio di un altro passaggio parlamentare scomodo, a dir poco, come in un’arena da combattimento più che nell’aula di una Camera.

Santanchè all’uscita dall’aula di Montecitorio

Per l’insistenza con la quale le opposizioni l’hanno voluta processare chiedendo la sfiducia individuale -e non risparmiandole neppure l’accusa di taroccatrice per l’abitudine di regalare borse contraffatte contestatale di recente dalla penultima fidanzata del compianto Silvio Berlusconi- la Santanchè si è sentita vittima di un “ergastolo mediatico”. E di una lotta demagogica “non alla povertà ma alla ricchezza”. O a una certa avvenenza o eleganza da lei stessa orgogliosamente indicata nei suoi tacchi a spillo. Tutte cose, naturalmente, che hanno infiammato le opposizioni in una giornata parlamentare super-eccitata, essendosi impegnati i deputati, prima di votare sulla Santanchè, nella discussione sulla sfiducia promossa dagli avversari del governo contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio per l’affare del generale libico Almasri. Che è stato rimpatriato, anziché essere trattenuto in carcere per essere consegnato alla Corte penale internazionale, che ne aveva chiesto l’arresto, una volta in Italia proveniente dalla Gram Bretagna, dal Belgio e dalla Germania, per crimini di guerra o contro l’umanità.

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Il rapporto di Calenda con la Schlein finisce tra le macerie dell’Ucraina

Dal Dubbio

In linea del resto col nome che porta, andava calando già da tempo l’interesse di Carlo Calenda, appunto, per il campo che con spirito “testardamente unitario” la segretaria del Pd Elly Schlein cercava, e cerca ancora, di organizzare, arare, coltivare e quant’altro per realizzare l’alternativa al centrodestra. Andava calando, quell’interesse, specie dopo che alla porta del Nazareno aveva cominciato a bussare anche Matteo Renzi. I due, come si sono accorti ormai anche i più distratti nella lettura della cronaca politica, soffrono di una incompatibilità di caratteri, ambizioni e visioni esplosa dopo lo sforzo sovrumano di nasconderla o attenuarla nelle elezioni politiche di due anni e mezzo fa. Quando essi si proposero come il terzo polo dell’Italia bipolare sognata nel 1993 con la riforma elettorale di senso o spirito maggioritario. Su cui addirittura nacque la cosiddetta seconda Repubblica, pur con la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi e non di Achille Occhetto.

Calenda e Santanchè d’archivio

L’incompatibilità lungo la strada della comune ricerca dell’alternativa al centrodestra è stata scoperta da Calenda anche nei rapporti con la Schlein, deflagrati col ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e l’approccio del presidente americano al problema della pace in Ucraina, da imporre più al “dittatore non eletto e comico mediocre” Zelensky che all’aggressore Putin.

Calenda a Odessa

Il fatto che, mentre lui correva a Odessa per rafforzarsi nella convinzione delle buone ragioni dell’Ucraina nel terzo anniversario dell’invasione russa la Schlein non avesse trovato la voglia, il tempo di scegliere una delle piazze italiane solidali con Zelensky ha spinto Calenda a chiudere praticamente la sua partita col Nazareno.

Calenda al Foglio

Già soddisfatto delle buone ragioni dell’Ucraina ribadite pubblicamente dalla Meloni, accusata invece dalla Schlein di essere anche su questo versante più una presidente del consiglio che del Consiglio, timorosa di perdere la stima e l’amicizia del presidente americano, Calenda ha detto al Foglio, testualmente. “Tra Conte che loda Trump, Renzi che va a Miami a fare la claque del presidente americano pagato dall’Arabia Saudita e Schlein che parla d’altro, questo mi sembra il triste destino del campo largo. No, non ne farò mai parte. Siamo su un crinale per cui passa la Storia. A queste condizioni Azione non ci sarà neppure per collaborazioni parlamentari e locali”.

Una volta insieme….

Al macero, quindi, tutte le fotografie lasciate scattare da Calenda con la Schlein, da solo, o con altri aspiranti all’alternativa al centrodestra. Del resto, le foto di opportunità, come vengono chiamate quelle che vorrebbero rappresentare eventi e situazioni particolari, cominciano a non avere bisogno neppure di qualche ora per essere metaforicamente smentite, superate, stracciate. Guardate quelle alla Casa Bianca scattate ai festosi e compiaciuti Trump e Macron mentre i delegati dei rispettivi paesi all’Onu non riuscivano a votare nello stesso modo sul problema al centro del loro “vertice”, cioè la questione della pace in Ucraina.

Pubblicato sul Dubbio

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