Che cosa non si riesce a fare davanti al fotografo o a una telecamera…

Già compromessa di suo e da tempo per le frequenti smentite o evaporazioni, la foto “opportunity” -destinata nelle intenzioni di chi la scatta e di chi si fa riprendere, o ne è sorpreso, a dimostrazione o testimonianza del significato di un evento- ha appena avuto alla Casa Bianca un altro colpo micidiale, di inattendibilità o falso. Un po’ come le borse taroccate contestate in Italia alla ministra del Turismo Daniela Santanchè da amiche che le hanno ricevute. O almeno da una -Francesca Pascale, la penultima fidanzata di Silvio Berlusconi- che con le sue rivelazioni ha un pò aumentato le difficoltà d’immagine dell’esponente del governo sottoposta a mozione di sfiducia individuale in Parlamento per le sue vicende giudiziarie.

Ma torniamo alla Casa Bianca, dove si sono persino sprecate le foto dell’incontro del presidente Donald Trump col presidente francese Emmanuel Macron prima, durante e dopo, tra sorrisi, risate, ammiccamenti.

Trump e Macron ala Casa Bianca

A dispetto di questa rappresentazione entusiastica dei rapporti fra le due personalità e i rispettivi paesi o governi, Trump ha rifilato all’ospite durante la conferenza stampa congiunta un elogio all’assente Giorgia Meloni –“una grande leader”, ha detto- che da solo riduceva o smentiva la presunzione dell’ospite di avere fregato tutti in Europa correndo a rappresentarla alla Casa Bianca, mentre il presidente americano tesse con Putin la tela della pace in Ucraina. Dalla stessa Meloni il presidente francese aveva raccolto nei giorni scorsi a Parigi il dissenso, a dir poco, dalla strada da lui scelta, con vertici improvvisati al di fuori delle sedi istituzionali dell’Unione, per rappresentare in questa difficilissima congiuntura internazionale il vecchio continente. O lasciarvi sopra la sua impronta.

Immagine della guerra in Ucraina

Ancor più dell’elogio alla premier italiana -ripagata così anche di un ringraziamento mancato di Trump ad una sua partecipazione a distanza alla convenzione dei conservatori americani-  è caduta come un drone o un missile- per restare alle immagini militari- sul vertice alla Casa Bianca lo spettacolo andato in scena in scena contemporaneamente alle Nazioni Unite. Dove America e Russia hanno votato insieme un documento da cui entrambe erano riuscite a togliere ogni riferimento all’aggressione di Mosca all’Ucraina. E ne hanno osteggiato un altro contenente la difesa dell’”integrità” territoriale del paese invaso dalla Russia tre anni fa per essere normalizzato in tre giorni, secondo i progetti di Putin.  

Von der Leyen e Zelensky a Kiev

Non parliamo poi, o infine, della scarsa compatibilità, diciamo così, tra le foto alla Casa Bianca fra Trump e Macron e quelle giunte da Kiev, dove i vertici istituzionali dell’Unione, a cominciare dalla presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen, hanno voluto correre nel terzo, tragico anniversario della guerra all’Ucraina sferrata da Putin per ribadire il sostegno al “dittatore e attore mediocre” che sarebbe Zelensky secondo Trump.

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Più della Meloni ora l’incubo della Schlein è lo sconfitto Sholz a Berlino

Da Libero

Quel 16,5 per cento dei voti cui sono scesi i socialdemocratici tedeschi, in un turno elettorale peraltro a larghissima partecipazione, con ben più dell’80 per cento ormai inimmaginabile in Italia, dovrebbe far riflettere la segretaria del Pd Elly Schlein. Che ha cominciato anche a lei a registrare nei sondaggi una certa tendenza a scendere da quando ha opposto la sua dichiarata testardaggine, nell’inseguimento della unità delle opposizioni, a quanti nel partito mordono il freno per la radicalizzazione della linea. E ciò pur di non perdere per strada la sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ma soprattutto quel misto fritto che è diventato il Movimento 5 Stelle sotto la guida sempre più personalizzata e massimalista di Giuseppe Conte.

Elly Schlein e Giuseppe Conte

Diversamente dalla Germania, dove i socialdemocratici sotto una guida diversa dallo sconfitto Olaf Sholz, possono pensare ad una ripresa collaborando con la Dc tedesca del prossimo cancelliere Federik Mez, la Schlein in Italia non ha alcuna rete di sicurezza o di riserva su cui poter contare. Se non riesce a legare bene neppure con i riformisti del suo partito, temendo i contraccolpi che le deriverebbero nei rapporti con Conte, figuriamoci se e come potrà coltivare il disegno alternativo suggeritole da quel furbacchione di Dario Franceschini. Che è di scommettere sul collasso del centrodestra per agganciare la Forza Italia di un Antonio Tajani finalmente consapevole di quel biglietto della lotteria che avrebbe in tasca rompendo con Giorgia Meloni e con Matteo Salvini. E diventando -ha detto sempre Franceschini nell’autofficina dove ha aperto il suo nuovo ufficio- l’ago della bilancia di ogni governo.

Elly Schlein e Dario Franceschini

In Italia la Meloni non è come Alice Weidel in Germania, con la sua estrema destra marginalizzata anche col quasi 21 per cento raggiunto nelle elezioni raddoppiando i voti rispetto a quattro anni fa e piazzando la sua Alternativa al secondo posto nella graduatoria dei partiti tedeschi. La Meloni è di altra stoffa. E sa tenere bene la coalizione di centrodestra che guida, nonostante le tensioni o difficoltà amplificate dagli avversari: meglio di quanto non riesca la Schlein al Nazareno alle prese con una decina ormai di correnti, quante ne ho viste contare dagli specialisti della formazione prodotta dalla fusione a freddo, nel 2007, fra i resti del Pci, della sinistra democristiana e cespugli vari.

Giorgia Meloni

Sconcerta, a dir poco, la segretaria di un partito che dovrebbe essere l’animatore e il perno dell’alternativa al centrodestra e non riesce a trovare un argomento o una piazza per partecipare a qualcuna delle manifestazioni organizzate per solidarizzare con l’Ucraina nel terzo anniversario della guerra d’invasione cominciata dalla Russia di Putin col proposito velleitario di concluderla entro tre giorni. Eppure la Schlein aveva sfidato nei giorni scorsi la premier Meloni a schierarsi con l’Ucraina piuttosto che col presidente americano Donald Trump deciso ad accordarsi con Putin anche a costo di attribuirgli la parte dell’aggredito, anziché dell’aggressore.

La Schlein ritiene evidentemente gli altri della sua stessa pasta. Si è tappata orecchie e occhi per non sentire e vedere la Meloni ripetere, in collegamento con l’assemblea dei conservatori americani, che l’aggredita è l’Ucraina e l’aggressore è Putin. Il mondo della Meloni non è sottosopra come la Schlein vorrebbe per consolarsi e cercare di uscire dal vicolo -quello sì- in cui lei ha trascinato il Pd. Dove prima o poi penso che dovrà pagare il conto di una gestione un po’ maramaldesca.

Sentir dare alla Meloni, in una scenata parlamentare organizzata con tanto di cartelli, della presidente del coniglio, anziché del Consiglio, da una segretaria di partito che, ripeto, non è riuscita a trovare, o ha esitato fino all’ultimo, se mai ci avesse ripensato mentre scrivo, una piazza per confermare la solidarietà all’Ucraina nel terzo anniversario della sua invasione, è stato il massimo non della durezza nello scontro politico, ma semplicemente della comicità. 

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