Il sonno già perduto dal nuovo presidente dell’associazione nazionale dei magistrati

Dal Tempo

         Se la tregua a Gaza rischia di finire prima di quando e quanto fosse stata concordata, visto l’uso sfrontato che hanno fatto i terroristi di Hamas del rilascio degli ostaggi, catturati nel pogrom del 7 ottobre 2023, per intestarsi una vittoria che Israele non intende loro riconoscere; se in Ucraina sta forse arrivando  il momento di uscire da una guerra alla quale temo che ci siamo un po’ troppo abituati in tanti, in corso da quasi tre anni contro i tre giorni previsti da Putin per vincerla con l’eliminazione o la fuga di Zelensky da Kiev, in Italia sta forse fallendo prima ancora di cominciare la tregua fra governo e sindacato delle toghe. Che sembrava proposta, auspicata e quant’altro dal nuovo presidente dell’associazione nazionale dei magistrati Cesare Parodi chiedendo un incontro col governo, pronto a fissarlo.

Rocco Maruotti, il segretario di sinistra del sindacato delle toghe

         Da quella richiesta, e più ancora dalle interviste nelle quali aveva riconosciuto la competenza esclusiva della politica nella produzione legislativa, compresa la riforma costituzionale della giustizia all’esame delle Camere con l’obiettivo, fra l’altro, di separare le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, Parodi ha smesso di dormire e sognare “non in senso metaforico” ma davvero, ha scritto in una lettera di sostanziale retromarcia ai colleghi. Soprattutto a quelli delle correnti di sinistra che anche attraverso il nuovo segretario dell’associazione, Rocco Maurotti, avevano contestato toni e contenuti delle dichiarazioni di esordio del presidente.

         D’altronde, già nei contatti che debbono esserci stati fra la presidenza dell’associazione e quella del Consiglio -non del coniglio gridato nell’aula di Montecitorio dalla segretaria del Pd Elly Schlein- Parodi aveva ottenuto da Giorgia Meloni di programmare l’incontro per un giorno successivo al 27 febbraio, scelto dal sindacato delle toghe sotto la prevedente gestione per uno sciopero contro il governo. O a sostegno della Costituzione che sarebbe minacciata dalle modifiche in cantiere in tema di giustizia, pur prevedendo la stessa Costituzione procedure di esplicita, dichiarata “revisione”.   

         Se la sinistra sindacale delle toghe è riuscita a togliere il sonno al presidente espresso dalla destra, vera o presunta, di Magistratura indipendente dopo le elezioni associative, ciò è accaduto anche per la resistenza delle opposizioni politiche ad una tregua. Esse preferiscono un rapporto conflittuale sui temi della giustizia credendo di potere così delegittimare moralmente il governo, visto che conferiscono alla magistratura quella funzione salvifica, etica che le toghe si sono prese da sole da più di trent’anni ribaltando gli equilibri nei rapporti fra politica e giustizia voluti dai costituenti.

Le opposizioni si danno alla caccia….a vuoto ai ministri

Da Libero

La concorrenza, si sa, è l’anima del commercio, al netto dei raggiri. Vale anche nella politica, i cui spettacoli si contendono in questo periodo le prime pagine dei giornali e i salotti televisivi col festival canoro di Sanremo e col carnevale a Viareggio. Dove quest’anno Walter Veltroni ha voluto fare recuperare ai carri anche il tempo, lo spazio e la fantasia perduti nelle sospensioni del buon umore e dell’allegria imposte dalla seconda guerra mondiale.

         Solo l’ex segretario del Pd, restituito alle passioni adolescenziali e giovanili dalla politica, poteva proporsi un simile obiettivo e riuscire a raggiungerlo, diversamente da quanto gli capitò al Nazareno fra il 2007 e il 2009 inseguendo la “vocazione maggioritaria” dell’accrocco -o “amalgama mal riuscito”, come lo definì impietosamente Massimo D’Alema- ricavato fondendo i resti del Pci e della sinistra democristiana, più cespugli liberali, radicali e ambientalisti.

Lo sbarco del generale Almasri in Libia

         In concorrenza, dicevo, con la musica e le canzoni di Sanremo e i carri di Viareggio le opposizioni giocano in Parlamento con la caccia ai ministri. A sfiducia non ancora votata alla Camera contro la ministra del Turismo Daniela Santanchè, per niente imbarazzata in un’aula dove il centrodestra non brillava certamente per le presenze in apertura della discussione sulle sue vicende giudiziarie da imprenditrice, è stata annunciata un’altra mozione contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Al quale le opposizioni non perdonano, in particolare, il contributo dato dal suo ufficio di governo al rimpatrio del generale libico Almasri. Di cui la Corte penale internazionale dell’Aia aveva ordinato e ottenuto l’arresto in Italia per crimini di guerra e contro l’umanità, dopo averne peraltro consentito con assai improbabile casualità la libera circolazione in Gran Bretagna, Belgio e Germania. Che hanno con la Libia meno problemi dell’Italia sui fronti abbastanza securitari degli approvvigionamenti energetici, della presenza di aziende e connazionali in quelle terre, e dell’immigrazione clandestina che parte dalle coste africane in direzione delle nostre.

         Nordio non solo non ha contribuito all’operazione gestita, diciamo così, all’Aia ma ha contestato con la lunga esperienza acquisita da magistrato “sciatterie” e simili del mandato di cattura già eseguito dalla magistratura italiana. Ne è derivata, fra l’altro, la decisione del governo di non sottoscrivere all’Onu una dichiarazione di solidarietà di 79 paesi alla Corte Internazionale raggiunta anche dalle critiche, proteste e sanzioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Che è giustamente esterrefatto del genocidio attribuito dai giudici dell’Aia al premier israeliano Benjamin Netanyahu e a un suo ex ministro per la reazione militare al pogrom dei terroristi palestinesi di Hamas del 7 ottobre 2023.

         Una circostanza aggravante, diciamo così, addebitata dalle opposizioni al ministro della Giustizia nella iniziativa a vuoto della sfiducia -impossibile quanto un processo a mezzo governo eventualmente proposto dal tribunale dei ministri, attivato dalla Procura della Repubblica di Roma, dati i rapporti di forza nei necessari passaggi parlamentari- è stata indicata nell’anagrafe della Corte penale internazionale. Il cui statuto fu concordato e firmato nel 1998 a Roma, portandone il nome. “Vergogna”, ha gridato anche per questo l’ex premier Giuseppe Conte cercando di recuperare il sorpasso compiuto su di lui dalla segretaria del Pd Elly Schlein, in un impeto di fantasia umoristica, dando a Giorgia Meloni della presidente del Coniglio, anziché del Consiglio.

         Di fronte a tanto scrupolo quasi patriottico nella difesa della Corte penale internazionale, che sarebbe stata tradita da un paese fondatore e intestatario dello statuto, è il caso di ricordare alle opposizioni che tra i paesi rifiutatisi di firmare all’Onu il documento di solidarietà c’è il Giappone. Che pure è rappresentato al vertice della Corte dalla presidente nipponica Tomoko Akane.

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