La causa più facile capitata a Giulia Bongiorno

Marco Travaglio ieri a Otto e mezzo

         A sentire l’insospettabile Marco Travaglio ieri sera nel solito collegamento con l’altrettanto solita Lilli Gruber a Otto e mezzo, l’avvocato Giulia Bongiorno ha ricevuto l’incarico più facile della sua attività forense: la difesa della premier Giorgia Meloni, dei ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega dei servizi segreti, Alfredo Mantovano, in un procedimento dall’esito scontato a favore dei suoi assistiti. Destinato a concludersi o con l’archiviazione delle accuse dell’avvocato Luigi Li Gotti di favoreggiamento, peculato eccetera per il rimpatrio del generale Almasri in Libia, o col naufragio del processo in Parlamento- Dove la maggioranza di governo è troppo ampia e compatta per lasciare alle opposizioni la speranza di  un’autorizzazione.

Dal giornale Domani

         Persino Travaglio, ripeto, una specie di superprocuratore onorario della Repubblica ha riconosciuto la fondatezza di un’archiviazione, ancor prima della impraticabilità politica, in questa legislatura, di un processo per reati ministeriali. Ma allora -ha fatto finta di chiedersi, incredulo e spalleggiato dalla conduttrice mai neutrale della trasmissione de la 7- perché mai la premier Meloni ha così rumorosamente protestato contro l’avviso di garanzia, o come altro si voglia o si debba chiamare, ricevuto da capo della Procura della Repubblica di Roma  Francesco Lo Voi, comprensivo degli “ossequi” del firmatario? E perché mai -potrei aggiungere io al posto di qualche ipercritico della presidente del Consiglio- scomodare un avvocato prevedibilmente così costoso, bastandone e avazandone uno più a buon mercato? E sottrarre peraltro alla Bongiorno tanto di quel tempo che richiede il suo lavoro di parlamentare leghista e di presidente della Commissione Giustizia del Senato? Peraltro dopo tutto il tempo speso per vincere una causa difficilissima e incerta come quella al vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per avere ostacolato nel 2019 da ministro dell’Interno lo sbarco in Sicilia di circa 150 immigrati clandestini soccorsi dalla nave spagnola Open Arms?

Dal Riformista

         Perché ?, ripeto, spingendomi a condividere quel “casino”, se non ho sentito male, sfuggito anche alla solitamente pudica conduttrice di Otto e mezzo parlando della reazione della Meloni alla ricezione della lettera giudiziaria, esibita nel video registrato nel suo ufficio o dintorni di Palazzo Chigi. Semplicemente perché -penso dopo avere scritto di politica per una vita- la premier ha una concezione trasparente dei suoi rapporti con i cittadini. Dei quali cerca il sostegno e ai quali non a caso ha offerto l’elezione diretta del presidente del Consiglio con una riforma costituzionale sostenuta in passato anche da alcuni dei suoi attuali avversari. Che hanno cambiato idea e posizione solo quando hanno capito o scoperto che a beneficiarne potrebbe essere lei, appunto.

Ripreso da http://www.startmag.it

Da Andreotti a Craxi, da Berlusconi a Meloni…

Dal Dubbio

Per lunghezza e quantità Giulio Andreotti scherzò per un certo tempo sui suoi rapporti con la magistratura, allora filtrati dalla commissione parlamentare inquirente e altri congegni scomparsi, evocando le guerre puniche. Se fosse vivo, le estenderebbe con la sua ironia tagliente alla giovane Giorgia Meloni, succedutagli dopo tanti anni a Palazzo Chigi, per la vicenda giudiziaria che lei stessa ha rivelato. E che di punico ha anche un riferimento geografico, visto che il percorso del generale libico Asmari contestato alla premier e ad altri esponenti del suo governo porta sulle coste africane. Dove Asmari è tornato scampando ad un ordine di arresto internazionale in Italia e, in coincidenza o contropartita, si sono ridotte le partenze improvvisamente aumentate di immigrati clandestini destinati alle nostre coste.

         Chissà se non si finirà per ridere o sorridere anche di questa avventura giudiziaria della Meloni, come Andreotti faceva delle sue prima di incorrere in quella che alla fine però gli costò un processo di mafia con epilogo misto di assoluzione e prescrizione e uno addirittura per il delitto del giornalista Mino Pecorelli, conclusosi con assoluzione piena. Ma a carriera politica di Andreotti ormai chiusa, per quanto egli fosse rimasto senatore a vita sino appunto alla morte grazie alla nomina conferitagli in precedenza dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

         Più che alle vicende di Andreotti tuttavia quella della Meloni è stata generalmente ricondotta all’avviso a comparire mandato nel 1994 al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dalla Procura della Repubblica di Milano sull’onda emotiva e politica che aveva già scosso e fatto crollare la cosiddetta prima Repubblica. Avviso peraltro notificato al capo del governo a mezzo stampa, prima che un ufficiale dei Carabinieri glielo potesse materialmente consegnare.

Da Berlusconi a Meloni, si è scritto e titolato in una linea di continuità del centrodestra. Non va però dimenticato il clamoroso divieto imposto nel 1985 dal Quirinale del già citato Cossiga al Consiglio Superiore della Magistratura che voleva processare a suo modo l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Che non si dava pace delle modeste sorti giudiziarie, chiamiamole così, degli assassini di Walter Tobagi, l’inviato del Corriere della Sera colpevole anche, per chi lo volle morto, di godere della stima e dell’amicizia del leader socialista.

Pubblicato sul Dubbio

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