L’opposizione ferroviaria a Salvini guidata personalmente dalla Schlein

Dal Messaggero

Anche se le opposizioni, guidate personalmente dalla segretaria del Pd Elly Schlein, non hanno creduto al vice presidente del Consiglio e ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, che ne ha riferito alla Camera, mi chiedo cos’altro dovesse o debba ancora accadere per non sentire puzza di bruciato, fisico e metaforico, nei guasti e incidenti ferroviari susseguitisi negli ultimi tempi.

Un video registrato in aree riservate

         Non ha insospettito le opposizioni neppure la circostanza sottolineata da Salvini della normalità subentrata sui binari e nelle stazioni dopo gli esposti alla magistratura, corredati di riprese di presenze di estranei in aree chiuse al pubblico.

Da Repubblica

         Sospetto invece è apparso alle opposizioni che Salvini abbia parlato a Montecitorio dai banchi del governo da “solo”, ha riferito Repubblica in prima pagina non vedendo neppure altri ministri leghisti invece presenti, a cominciare da un Roberto Calderoli rinfrancato dalla bocciatura, da parte della Corte Costituzionale, del referendum abrogativo della sua legge sulle autonomie differenziate.

Elly Schlein ieri alla Camera

  Bisognava evidentemente che nell’aula di Montecitorio ci fosse il governo al completo per risparmiare a Salvini la rappresentazione di una solitudine da dissenso. E magari anche da condivisione da parte della premier in persona dell’impressione espressa dalla segretaria del Pd che a Salvini di trasporto interessi solo quello suo al vertice del Ministero dell’Interno. Dove egli vorrebbe tornare al più presto dopo l’assoluzione con formula piena nel processo per sequestro di persone, avendo ostacolato nell’estate del 2019 lo sbarco di immigrati clandestini soccorsi in mare da una nave spagnola decisa a scaricarli solo sulle coste italiane. Un’assoluzione che Salvini ha tenuto a ricordare alla Camera per spiegare le “spalle larghe” di cui ritiene di disporre.  

La primavera…autunnale dei referendum voluti dalle opposizioni

Dal Dubbio

Del jobs act -la riforma del diritto di lavoro da lui voluta quando era presidente del Consiglio e contestata dal maggiore dei cinque referendum ammessi dalla Corte Costituzionale- Matteo Renzi ha appena scritto e chiesto: “Quelli che dicono che vogliono stare nel Pd a tutti i costi che cosa fanno?”. E ha aggiunto: “Schlein ha dato nuova linfa al Pd ma lo ha trasformato in un partito molto più di sinistra rispetto a Veltroni e al sottoscritto”, tanto da sostenere l’abrogazione di quella riforma da lui ancora orgogliosamente rivendicata. “Questo -ha osservato l’ex premier, sempre a proposito della posizione abrogazionista assunta dalla segretaria del Nazareno- scopre il lato più centrista. Insomma i riformisti devono pensare a un contenitore diverso dal Pd se vogliono questo spazio politico”.

Dalla posta elettronica di Matteo Renzi

         Ciò significa che i riformisti, appunto, appena ritrovatisi in convegni fra Milano e Orvieto, i primi di cultura e provenienza democristiana e i secondi di provenienza comunista o radicale, dovrebbero decidersi o a mettere su un’altra casa o cosa, dove magari ritrovarsi anche con Renzi, o fargli concorrenza nello spazio di centro. O infine, magari nella più prevedibile delle evenienze nell’immaginazione o nell’interesse dell’ex presidente del Consiglio, rimarranno dove sono, cioè nel Pd, del tutto legittimamente per occupare” non uno spazio politico ma “alcuni posti nelle liste elettorali la prossima volta”, affollando stanze e corridoi del Nazareno dove si svolgono le trattative di questo tipo. E intanto -ha avvertito Renzi nel suo quasi messaggio ad amici, conoscenti, concorrenti ed altri-  la premier Meloni continuerà ad allargarsi al centro, a scapito sia dei suoi alleati di centrodestra, particolarmente i forzisti di Antonio Tajani, sia dei suoi avversari del campo opposto. 

Il campo largo al completo contro il jobs act

         L’analisi sottintesa o derivante dai  ragionamenti di Renzi, con o senza punti interrogativi, ha una sua indiscutibile logica. Ma finisce per contraddire obiettivamente la decisione da lui presa nell’estate scorsa, anche giocando a pallone con la Schlein in una partita e passandole la palla per una rete tuttavia annullata dall’arbitro, di rinunciare al progetto terzopolista proposto nel 2022 agli elettori con Carlo Calenda. E di proporsi per uno schieramento alternativo al centrodestra comprensivo di partiti o aree non compatibili con lui, come il Movimento 5 Stelle prima di Beppe Grillo e ora, o per ora, di Giuseppe Conte. Che inorridisce al solo sentire il nome di Renzi, il “conticida” celebrato letterariamente da Marco Travaglio scrivendo della successione a Palazzo Chigi dallo stesso Conte a Mario Draghi.         

Concepita dalle opposizioni per sfasciare e/o sconfiggere il governo, la prossima primavera referendaria dominata dall’assalto al jobs act, e non da quello impedito dalla Corte Costituzionale a ciò che è rimasto della legge sulle cosiddette autonomie differenziate dopo i tagli ch’essa le aveva già apportate, è così diventata una stagione più scomoda e rischiosa per le opposizioni che per la maggioranza. Che era ed è favorita d’altronde di suo dal fenomeno da tempo in crescita dell’astensionismo. Un fenomeno che sta all’istituto del referendum abrogativo come il diavolo all’acqua santa, essendo necessaria per la validità del risultato referendario la partecipazione alle urne della metà più uno degli elettori aventi diritto al voto.   Cosi è se vi pare, pirandellianamente.

Pubblicato sul Dubbio 

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