Un pò illusoria la rivolta dei palestinesi a Gaza contro Hamas

Dal Corriere della Sera

Incoraggiato da alcune cronache televisive che riferivano di reazioni finalmente negative di palestinesi fra le rovine della loro Gaza alle grida e gesti festosi di uomini armati e per niente pentiti della morte che avevano seminato fra la loro gente, anziché proteggerla davvero, sono andato a cercare più dettagli nelle cronache dei giornali. Purtroppo non ne ho trovati, almeno di consistenti. E’ prevalso lo spettacolo di quello che il Corriere della Sera ha definito in un titolo lo “show di Hamas tra le rovine”.

         Più promettente, per quello che desideravo trovare nei racconti, mi è sembrato un titolo della Stampa, nelle pagine interne, su Hamas che “celebra la vittoria ma i palestinesi non gioiscono” perché “case, vite: tutto è distrutto”.  

Dalla Stampa

         Sotto tanto titolo, tuttavia, ho trovato una cronaca alquanto striminzita di Nello Del Gatto. Che racconta di “una donna a cui vengono offerti dei dolci per festeggiare la tregua”, e il primo rilascio di ostaggi israeliani e di detenuti palestinesi, rispettivamente, da Hamas e dalle prigioni di Israele, ma che “in un video li rifiuta, quasi gettandoli via”. E gridando: “Che cosa c’è da festeggiare, abbiamo perso tutto, in ogni famiglia ci sono stati dei lutti, non abbiamo più le nostre case, il futuro è morto e non sappiamo se e quando potremo riprendere una vita normale”. Ma, ripeto, “una donna”: non di più. Al massimo due, se non è la stessa alla quale viene attribuito un analogo sfogo più contro i presunti difensori dei palestinesi che contro gli israeliani da loro provocati con lo scempio del 7 ottobre 2023. Da cui tutto è nato. E dopo il quale i “combattenti” dai loro rifugi sotterranei hanno subìto 3000 morti e la popolazione più di 40 mila.

         Neppure il Vesuvio nel 79 dopo Cristo riuscì a fare tanto a Pompei e dintorni,  fermandosi a 16 mila morti.  

Il Quirinale partecipa alle celebrazioni di Craxi omaggiato dal presidente del Senato sulla tomba

Da Libero

Sergio Mattarella ha dato dal Quirinale più di una copertura al presidente del Senato, e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa nella partecipazione, contestata a sinistra neppure tanto fra le righe, alla celebrazione del venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi davanti alla tomba che ne custodisce i resti ad Hammamet.  E vi è andato anche col vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, nonché con Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato e figlia irriducibile, direi, di Bettino. Che ha naturalmente ringraziato il Capo dello Stato per il suo intervento da Roma.  

Il presidente del Senato Ignazio La Russa alla tomba di Craxi

“Una personalità rilevante degli ultimi decenni del Novecento italiano”, ha detto di Craxi il presidente della Repubblica aggiungendo anche il suo apprezzamento a quello espresso dal predecessore Giorgio Napolitano. Che nel decimo anniversario della scomparsa del leader socialista e due volte presidente del Consiglio aveva voluto scrivere una lettera pubblica alla vedova per riconoscere e lamentare “la durezza senza uguali” con la quale il marito era stato indagato, processato e condannato per il finanziamento illegale della politica a lungo praticato dalla generalità dei partiti. E di cui l’ex capo del governo era diventato il capro espiatorio con una combinazione -anch’essa senza uguali, andrebbe riconosciuto finalmente anche dai giornali- fra la magistratura e l’informazione stampata e trasmessa.

Di quella diabolica combinazione si sarebbe poi lamentato anche l’ex presidente della Camera e magistrato Luciano Violante proponendo più volte la separazione fra le carriere dei pubblici ministeri e dei giornalisti, piuttosto che quella fra pubblici ministeri e giudici  di cui si è finalmente consumato il primo dei quattro passaggi parlamentari. Al quale è seguita, puntuale come il giorno alla notte, la proclamazione dello sciopero dell’associazione delle toghe per il 27 febbraio. Che per fortuna cadrà di giovedì, e non del solito venerdì propedeutico all’altrettanto solito ponte dei lavoratori del trasporto pubblico.

Alla vicenda giudiziaria di Craxi, dopo una lunga carriera di servizio alla politica e alle istituzioni, in termini innovativi sul piano interno e internazionale, caratterizzati peraltro da “grandi trasformazioni sociali e dai profondi mutamenti negli equilibri globali”, Mattarella ha solo accennato inserendola in quelle che caratterizzarono un “burrascoso passaggio della vita della Repubblica”. In particolare, “la crisi -ha ricordato il presidente- che investì il sistema politico, minando la sua credibilità”. E “chiuse con indagini e processi una stagione provocando un ricambio radicale nella rappresentanza”.

Giorgio Napolitano

Napolitano invece quindici anni fa, scrivendone ad Anna Craxi, si era spinto a rilevare il “brusco spostamento degli equilibri nei rapporti fra politica e giustizia” intervenuto all’ombra di Tangentopoli e/o Mani pulite.  

A quello spostamento sono in tanti ancora a non volere rimediare, scambiando per “vendetta” e “resa dei conti”, come fa parlandone il presidente uscente dell’associazione nazionale dei magistrati in agitazione, il lungo, faticosissimo tentativo di provvedere, visti anche i fatti sopraggiunti alla già ricordata Tangentopoli.

La reazione del Fatto Quotidiano ai riconoscimenti di Mattarella a Craxi

Non dimentichiamoci che nel 2013 Napolitano fu costretto a ricorrere dal Quirinale alla Corte Costituzionale per mettere le sue prerogative presidenziali al riparo dalla Procura di Palermo nel trattamento delle intercettazioni in cui era finito pure lui, nella sua utenza telefonica di presidente della Repubblica, nella vicenda giudiziaria delle presunte trattative fra Stato e mafia nella stagione delle stragi. Fu, quella di Napolitano, una iniziativa dirompente, che spaccò anche la Repubblica di carta, con Eugenio Scalfari schieratosi col capo dello Stato e suoi autorevoli collaboratori, quasi familiari, contro.  Nello scontro vinse Napolitano con una nettezza che gli avversari non gli perdonarono mai, nel loro stile. 

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