La rivalutazione pelosa di Craxi fatta da Bettini sull’Unità

Dall’Unità di ieri

         Alla faccia dei “24 carati” di socialismo, o di sinistra, che Goffredo Bettini in un lungo intervento -quasi un saggio- avrebbe restituito a Bettino Craxi a 25 anni dalla morte scrivendone ieri sull’Unità ripensata e diretta dal generoso Piero Sansonetti. Che ha messo nel titolo i carati, appunto, che Bettini tuttavia non ha restituito.

Sempre dall’Unità di ieri

         Egli ha riconosciuto “sbagliato”, bontà sua, “ridurre” Craxi a “una sorta di spregiudicato capo politico, emerso in una congiuntura della storia di sinistra, un caso patologico”, ma ha ripiegato solo sulla formula di un Craxi che “fu un socialista e un democratico, naturalmente con le sue peculiari caratteristiche e idee”. Un “totus socialista” tradotto sempre generosamente dall’Unità” nel titolo interno, a pagina 10.

  A Craxi 25 anni dopo la morte, preceduta peraltro dalla fine pure del Pci, Bettini ha continuato a rimproverare di non aver saputo “misurare e indagare con la necessaria serenità le peculiarità” del partito di Palmiro Togliatti e successori. E neppure le responsabilità che i socialisti avrebbero avuto nell’avvento del fascismo, addebitate loro da Bettini citando “un editorialista del Corriere della Sera”, scoperto leggendo Antonio Scurati, che il 23 novembre 1920 così aveva commentato i disordini sopraggiunti a elezioni amministrative: “Di chi è la colpa di questa situazione? Chi, se non il partito socialista, aspira alla guerra civile?”.

Bettino Craxi alla Camera nel 1992

         Spintosi molto più avanti nel tempo per arrivare al  discorso pronunciato da Craxi alla Camera nel 1992, mentre maturava il suo coinvolgimento nella “tempesta giudiziaria” di Tangentopoli, Bettini ha contestato all’allora segretario del Psi di avere denunciato “fuori tempo massimo” il carattere diffuso del finanziamento della politica. Solo “per allontanare le accuse che in quel momento gli piovevano sulla testa”.

“Il Pds rispose in modo “povero” e opportunista. No, noi siamo i “buoni” e voi i “cativi”…intravedendo la possibilità di accelerare un ricambio politico”, ha annesso, riconosciuto e quant’altro Bettini. Che ha anche ricordato che al Pds “non andò bene” perché nel 1994, solo dopo due anni, “Berlusconi stravinse”.  

Dalla prima pagina dell’Unità di ieri

         Bettini ha anche provato a immaginare che cosa avrebbe dovuto dire, piuttosto, Achille Occhetto dopo quel discorso di Craxi alla Camera, pur rivendicando il merito della sua parte politica di non avere ceduto al “lusso” e alla “mondanità”: “Ma, sì, anche noi siano pienamente parte di un sistema a politico istituzionale arrivato alla frutta perché gestiamo insieme agli altri la sanità pubblica…perché il sindacato all’interno delle grandi aziende di Stato decide parte delle assunzioni….perchè il 30 per cento degli appalti nell’edilizia è destinato alle cooperative”. E ti pare poco, caro Bettini, pur vantando amicizia con Bobo Craxi, a un cui articolo sul padre è stato affiancato il tuo sull’Unità, che quel discorso o ragionamento fosse mancato? E con esso tutto il resto? Compreso il suicidio della sinistra.    

L’anticomunismo costato a Craxi dopo la caduta del muro di Berlino

Da Libero

Il ricordo dei 25 anni trascorsi dalla morte di Bettino Craxi, spentosi ad Hammamet il 19 gennaio del 2000, ha naturalmente finito per sommergere e superare i 33 trascorsi dall’esplosione di una Tangentopoli destinata, ma forse anche attivata per chiuderne la carriera politica mente stava per tornare a Palazzo Chigi, dove era già stato fra il 1983 e il 1987. O i 36 anni ai quali ha voluto risalire lo storico Andrea Spiri, docente della Luiss e autore di altri già eccellenti lavori, selezionando e pubblicando per “gli Scarabei” di Baldini+Castoldi ottanta lettere, fra scritte e ricevute da Craxi dal 1989, quando sarebbe cominciato davvero l’inconsapevole declino del leader socialista. E, più in generale, della cosiddetta prima Repubblica. O della Repubblica e basta, la cui “fine” è nel titolo del libro costruito da Spiri con molto scrupolo, premettendo ad ogni lettera una efficace e rigorosa sintesi del contesto politico in cui era partita o arrivata.

         I 36 anni che Spiri ripropone alla memoria dei lettori meno giovani o offre ai lettori più giovani, cominciano da un 1989 che pure avrebbe dovuto essere per Craxi il top, il coronamento del suo lungo, ostinato anticomunismo, condotto pur rimanendo un uomo di sinistra, con gli stivali e la camicia nera infilatigli addosso nelle vignette di Giorgio Forattini. Che pure -va detto con onestà anche questo- non lo faceva per compiacere i comunisti. Ai quali, a parte quegli stivali e quella camicia nera di Craxi, le vignette di Forattini erano prevalentemente indigeste perché impietose con le contraddizioni del loro partito.

La caduta del muro di Berlino nel 1989

         La caduta del muro di Berlino, cioè del comunismo, avrebbe dovuto spianare la strada a quella che Craxi sognava come l’”unità socialista”, e che fece sventolare come bandiera alle finestre della sede del Psi, realizzabile attorno al suo garofano, non alla falce e martello che ancora erano nel simbolo del Pci pur dopo gli strappi di Enrico Berlinguer da Mosca. Invece sotto quel muro i comunisti, affrettatisi poi ad anteporre un post al loro nome, cercarono disinvoltamente di far finire anche o solo Craxi, contestandolo non più come un anticomunista ma come un succube della egemonia  democristiana – nonostante egli avesse strappato alla Dc nel 1983 la guida del governo, avendo come vice presidente del Consiglio il presidente dello scudo crociato Arnaldo Forlani- e poi come un ladro, un corrotto, il re di Tangentopoli. Dove pure il finanziamento illegale della politica era una pratica diffusa nella popolazione e nel traffico come la sosta in doppia o tripla fila.

         Tutti avvertirono all’esplosione di Tangentopoli con l’arresto in flagranza di reato del socialista Mario Chiesa a Milano durante la campagna elettorale del 1992 -mentre Craxi riceveva lettere da Mino Martinazzoli e da Luigi Preti, della sinistra democristiana e del Psdi, che già lo vedevano o avvertivano di nuovo a Palazzo Chigi- la miccia di un incendio di ben altra dimensione. Appiccato per fare saltare Craxi e gli equilibri politici che egli rappresentava. Tutti, ripeto, lo avvertirono fuorché nel Psi. Dove il ministro delle Finanze Rino Formica, all’indomani delle elezioni pur conclusesi con la conferma della maggioranza uscente, costituita dalla Dc, dallo stesso Psi, dal Psdi e dal Pli, senza i repubblicani sfilatisi l’anno prima, scrisse a Craxi una lunga lettera per sostenere che bisognasse cambiare registro, scaricare praticamente la Dc e inseguire il Pds-ex Pci pur ormai di poco superiore al Psi dopo una scissione subita a sinistra.

La tomba di Bettino Craxi ad Hammamet

         Questa lettera di Formica è la più lunga di quelle ricevute da Craxi e pubblicate nel libro di Spiri. La più lunga e -ahimè- quella maggiormente tradottasi nel destino del Psi. Che, a dispetto delle resistenze opposte da Craxi, finì fagocitato dai post-comunisti in quello che il non più segretario del partito in una missiva all’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro descrisse e documentò il 22 luglio 1993 come uno “Stato di polizia”, nato e cresciuto nelle procure e nei tribunali.

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