
E’ stata breve, tutto sommato, la “graticola” sulla quale l’ambasciatrice Elisabetta Belloni si è dichiaratamente sentita spiegando le dimissioni dal vertice dei servizi segreti comunicate al governo il 23 dicembre scorso, pur avendo ancora a disposizione quasi sei mesi di mandato. Una graticola per la danza dei nomi sui giornali, e dintorni, sulla sua successione.
In genere, se non si è interessati ad una conferma, come la stessa Belloni aveva mostrato cogliendo l’occasione dell’incontro col personale per gli auguri di fine per pronunciare un discorso di tono e contenuto da commiato, la solita lotteria mediatica e politica sulla successione non dovrebbe essere vissuta come una graticola. Lo è magari per i successori, non per la persona da sostituire. Che peraltro, nel nostro caso, aveva già qualche altra prospettiva, diciamo così, di lavoro da poter coltivare. In particolare, a Bruxelles per occuparsi di immigrazione con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Alla quale si presume che la premier italiana abbia fornito buone referenze, come la stessa Meloni ha lasciato capire parlandone ieri nella conferenza stampa in risposta ad una delle domande: fortunatamente non a quella stranissima sulle formiche che le capita di calpestare, e uccidere, camminando.

La “graticola” della Belloni, dicevo, è durata poco. Con sei giorni di anticipo rispetto ai tempi da lei lasciati per trovarle il successore entro il 15 gennaio assegnatosi come l’ultimo alla guida dei servizi segreti, la Meloni ha annunciato la nomina del successore proprio nella conferenza stampa già accennata, anticipando di qualche ora la formalizzazione da parte del Consiglio dei Ministri. E leggendo il lungo curriculum del prescelto: il prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore uscente dell’agenzia dei servizi segreti di competenza interna, non estera.

Peccato per il curriculum della ormai ex direttrice dei servizi segreti nel loro complesso, coordinando i rami dell’interno e dell’estero, che sia rimasto fuori il successo ultimo, costituito dalla liberazione così rapidamente clamorosa della giornalista italiana Cecilia Sala, sequestrata e detenuta dal regime israeliano per negoziare il rilascio in Italia, a buon punto ormai di maturazione, di un ingegnere iraniano specialista di droni che il regime di Teheran ha voluto proteggere dal rischio dell’estradizione negli Stati Uniti. Un successo, quello cui hanno concorso i servizi segreti, dal quale non si è francamente ben capito se l’ambasciatrice abbia voluto sottrarsi da sola o sia stata più allontanata a livello politico. E,in quest’ultimo caso, chissà per quali motivi. Si vedrà se e quanto questo rimarrà un segreto di Stato.