Meloni-Trump e Schlein-Renzi nelle due foto emblematiche dell’anno in uscita

         Più che fatti, vorrei proporvi due foto per rappresentare la politica italiana dell’anno che se ne va con affaccio su quello che arriva. La prima, e più recente, o meno distante, è quella dell’incontro a Parigi, il 9 dicembre scorso, tra Donald Trump, reduce dalle elezioni presidenziali americane vinte con nettezza, e la premier Giorgia Meloni. La seconda, memo recente, è quella dell’abbraccio, sul campo di una partita di calcio amichevole e di beneficenza giocata tra politici e cantanti il 17 luglio scorso, fra la segretaria del Pd Elly Schlein e Matteo Renzi. Che le aveva appena passato la palla per una rete però nulla, tirata in fuori gioco contro la porta. Cosa, quella, che avrebbe già dovuto indurre ad una certa prudenza nell’immaginazione degli effetti.

         La foto di Trump con la Meloni è indicativa del ruolo di interlocutore privilegiato del nuovo presidente americano che la Meloni ha garantito e garantisce al governo italiano nell’Europa contrassegnata dalle crisi del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz, destinato a lasciare il campo dopo le elezioni anticipate già fissate in Germania per febbraio.

         Il legame anche di empatia personale fra Trump e Meloni, propiziato anche dai rapporti ugualmente empatici, e precedenti all’elezione del presidente americano, fra la stessa Meloni ed Elon Musk, è stato già messo alla prova dal regime iraniano con la vicenda della giornalista italiana Cecilia Sala. Che è sotto sequestro e detenzione, al tempo stesso, in Iran per cercare di scambiarla, praticamente, con un iraniano appena arrestato in Italia, su ordine di cattura internazionale, e rappresentato eufemisticamente anche dalle nostre cronache giudiziarie e politiche come un ingegnere “esperto” di droni, così abbondantemente usati nelle guerre alle quali il regime degli ayatollah partecipa a suo modo.

         Questo ingegnere “esperto” di droni dovrebbe essere salvato, nei propositi iraniani, dall’estradizione negli Stati Uniti, che lo vorrebbero processare con altri, per potere poi tornare libero alle sue specialità tecniche, commerciali e quant’altro. Alla Meloni si è praticamente chiesto, dietro tutte le ipocrisie delle quali è capace anche la libera informazione italiana, di fare ingoiare a Trump il rospo di una mancata estradizione per ordine consentito al ministro della Giustizia Carlo Nordio.

         Quella di Matteo Renzi -passando all’altra foto dell’anno- è una mezza estradizione, per niente sgradita e perseguita però dall’interessato per passare dall’ormai fallito campo del terzo polo a quello di cosiddetto centrosinistra alternativo al centrodestra. Dove la Schlein lo vorrebbe ma Giuseppe Conte e la sinistra radicale di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni no. E da questo conflitto aperto a sinistra l’una a guadagnarne è naturalmente la Meloni. Che può fare spallucce all’araba fenice dell’alternativa per questa legislatura, ma forse anche dopo.  

Le reticenze non dovute al regime iraniano sul sequestro di Cecilia Sala

Dal Dubbio

Francesco Merlo, collegato con lo studio televisivo di Marianna Aprile e Luca Telese, de la 7, deveavere pensato a Eugenio Scalfari quando ha ribadito i dubbi appena espressi su Repubblica sulla sostanziale copertura che il giornalismo italiano sta dando alla vicenda della giovane collega Cecilia Sala. Che il regime iraniano ha odiosamente sequestrato, incarcerandola, per strappare al governo italiano -diciamolo senza infingimenti- il rifiuto all’estradizione chiesta dagli Stati Uniti per un ingegnere arrestato a Malpensa, di doppia nazionalità, iraniana e svizzera. Un ingegnere “esperto”, eufemisticamente, in droni usati nelle guerre in corso cui partecipa a suo modo, direttamente e indirettamente, l’Iran degli ayatollah. 

         Se il mio amico Francesco Merlo ha pensato a Scalfari parlando genericamente degli scomparsi maestri della nostra professione presumibilmente in sofferenza dove potrebbero seguirci, io ho pensato a Indro Montanelli e agli anni trascorsi insieme al Giornale. Quando, per esempio, il terrorismo contava anche sull’informazione per portare avanti le sue scellerate campagne. Ci ho pensato e mi son detto che sì, anche lui, Montanelli, non se ne sarebbe stato zitto di fronte a quella forma di complicità, aiuto, distrazione che è stata chiesta e concessa di fronte ai guai nei quali Cecilia Sala -sia chiaro- non si è messa ma è stata messa dal regime iraniano che ha deciso così indecentemente di usarla per cercare di non privarsi di qualcuno un po’ più consistente di un esperto in droni e simili. E in ciò a cui servono.

         Ecco, è proprio in questa rappresentazione riduttiva di quell’uomo, e di ciò che gli sta dietro e intorno, in un orribile intreccio internazionale, in difesa del quale il regime iraniano si è mobilitato usando come ostaggio una giornalista colpevole solo della professione che esercita, e delle circostanze del tutto casuali che l’hanno voluta in quei giorni in Iran piuttosto che altrove, che io trovo personalmente non condivisibile il comportamento scelto da noi, suoi colleghi, in Italia nella presunzione di proteggerla di più e meglio. E non mi si venga a invocare per favore, il garantismo per giustificare la pretesa del regime iraniano di considerare quell’ingegnere, appunto, solo e non più di un esperto in droni e simili.

         Il garantismo è quello che pratichiamo ogni giorno qui, sul Dubbio, raccontando e commentando ciò che accade, non quello che vorrebbe imporre all’Italia e al suo governo, e non solo al giornalismo italiano, il regime iraniano.

Pubblicato sul Dubbio

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