L’ultima stoccata di Luciano Violante ai magistrati “combattenti”

Dal Dubbio

Con la solita, generosa e inconsapevole copertura del compianto Giulio Andreotti, convinto che a pensare male si facesse peccato già ai suoi tempi ma s’indovinasse, non vedo solo stanchezza per il suo “impegno intensissimo, seppure molto gratificante” nella decisione annunciata da Giuseppe Santalucia di rinunciare a proporsi per un secondo mandato quadriennale alla presidenza dell’associazione nazionale dei magistrati. Ora che si è praticamente esaurito il primo, e non credo proprio che gli sarebbe mancato e gli mancherebbe l’appoggio per un secondo. Che sarebbe tuttavia per lui ancora più intenso, ma non so francamente anche se più gratificante dell’altro, con la sfida che il sindacato delle toghe, in una recente assemblea a Roma, ha lanciato al governo nella prospettiva di scioperi e referendum abrogativi contro la riforma della giustizia intestatasi dal guardasigilli Carlo Nordio.

         Le cose sono cambiate di parecchio non solo e non tanto rispetto all’inizio del primo mandato di Santalucia, ma rispetto a una trentina d’anni fa, quando i rapporti fra politica e giustizia si ribaltarono con le piazze che sognavano e reclamavano sempre più arresti eccellenti, di giorno e di notte, nella lotta alla pratica diffusa del finanziamento illegale dei partiti.

La più recente assemblea dei magistrati nella sede della Cassazione

Si sono avvicendate persino più edizioni della Repubblica: quella vera, con sede al Quirinale, non quella di carta. E le assoluzioni sono diventate più numerose, frequenti e clamorose. Come quelle appena raccolte dai due Mattei della politica in corso: Salvini dopo essere stato processato per sequestro di persona, addirittura, avendo ritardato cinque anni fa lo sbarco di 147 migranti clandestini da una nave spagnola che li aveva soccorsi in mare e non voleva lasciarli in altri porti che non fossero italiani, e Renzi dopo essere stato neppure processato ma pre-processato, in una udienza  appunto preliminare durata più di due anni, per i finanziamenti pur registrati alla sua corrente.

         L’insospettabile Luciano Violante, già magistrato, già esperto della giustizia del Pci che una trentina d’anni fa era il più schierato con la magistratura inneggiata sulle piazze, già presidente della Camera, incorso negli anatemi dell’allora capo dello Stato Francesco Cossiga, ha appena avvertito i suoi ex colleghi in una intervista alla Verità che debbono decidersi a cambiare registro. D’altronde, senza arrivare ai giorni nostri, già qualche anno dopo le famose “Mani pulite” di rito ambrosiano Violante aveva avvertito che prima o poi qualcuno sarebbe “intervenuto” a riequilibrare i rapporti fra giustizia e politica.

         Pur nel dissenso, anche lui, dalla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri e dal sorteggio per la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, Violante ha detto che le toghe “non possono essere controparte di nessuno, tanto meno del governo”. E ancor meno “organizzare un referendum” superando ulteriormente da “combattenti” quel “senso della misura” necessario a “tutti”.

Pubblicato sul Dubbio

La guerra italiana dei trent’anni fra magistratura e politica

Da Libero

Fra la rinuncia di Giuseppe Santalucia alla presidenza dell’associazione nazionale dei magistrati che si appresta -guarda caso- ad una offensiva di scioperi e referendum contro la riforma del giustizia,          le assoluzioni eccellenti sempre più numerose e frequenti e un’intervista dell’insospettabile Luciano Violante alla Verità contro i suoi ex colleghi “combattenti”, ormai senza più “senso della misura”, mi sono sentito ributtato indietro di una trentina d’anni. A quando tutto cominciò. Come se si stesse chiudendo un cerchio. E sapete qual è il volto che di più mi è tornato  e mi torna alla mente? Quello di Antonio Di Pietro, Tonino per gli amici e persino Ninì per quell’amico speciale che gli fu per qualche tempo il sindaco di Milano Paolo Pillitteri, recentemente scomparso.

         Sono tornato indietro ai giorni in cui l’allora sostituto procuratore della Repubblica s’impose alla mia attenzione di direttore del Giorno per quel cartello appeso, anzi ostentato alla porta del suo ufficio milanese in tribunale per dissociarsi dalle proteste dei colleghi, invece associati al loro sindacato, che protestavano contro il presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Al quale credo che sarebbe piaciuta la riforma della giustizia all’esame ora del Parlamento, comprensiva di quella separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici di recente condivisa pubblicamente anche da Di Pietro. Che da anni, si sa, non è più magistrato e neppure politico, come decise di diventare fra le perplessità neppure tanto nascoste del suo ormai ex superiore Francesco Saverio Borrelli.

         Di Pietro si trova, sia pure da ex, nei riguardi dell’associazione nazionale dei magistrati presieduta dall’uscente Giuseppe Santalucia critico come con l’associazione nazionale dei magistrati presieduta nel 1991 da Giacomo Caliendo, e poi da Mario Cicala, e poi da Elena Paciotti, e via via scalando con  Edmondo Bruti Liberati, Luca Palamara e -ripeto e concludo- Giuseppe Santalucia.

         Lui, Di Pietro, il molisano ruspante che ha rappresentato nell’immaginario collettivo e politico la magistratura di punta delle “Mani pulite” ambrosiane, che faceva sognare i manettari ghigliottinando la cosiddetta prima Repubblica, in una cosa è riuscito come in un miracolo: a sottrarsi alla storia e ai tentacoli dell’associazione nazionale dei magistrati. Ne ha visto da lontano-  “distinto e distante”, avrebbe detto Cossiga con una certa soddisfazione, dopo qualche delusione procurata da Di Pietro anche a lui- la crescita nella sua impropria, diciamo pure arbitraria dimensione politica. Trattata da più di un presidente della Repubblica, e non solo dall’immediato successore di Cossiga, che fu il collega di partito Oscar Luigi Scalfaro., come una istituzione, più che un sindacato. Con tanto di presenze deferenti ai suoi congressi e di promesse di non firmare questa o quella legge sgradita, a cominciare da quella forse o finalmente davvero in arrivo della separazione delle carriere fra toghe inquirenti e giudicanti. Ne ho almeno personalmente viste in più di trent’anni di tutti i colori, e sotto ogni maggioranza, di centrodestra o centrosinistra, e variazioni o deviazioni più o meno tecniche.

Claudio Martelli

         D’altronde, a rimanere estranei alla crescente politicizzazione dell’associazione dei magistrati, avvertita una volta come eversiva anche da Claudio Martelli, che pure si guadagnò da Francesco Saverio Borrelli l’apprezzamento di migliore ministro della Giustizia da lui visto all’opera, non è stato solo Tonino di Montenero di Bisaccia. Furono, essendo entrambi scomparsi, e di che morte, i poveri Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

         Ora che il cerchio si è chiuso o sta chiudendosi, con l’associazione nazionale dei magistrati negli accampamenti sindacali e referendari delle proteste di più di 30 anni fa contro Cossiga e oggi contro la premier Giorgia Meloni avvertita come “più pericolosa” persino del temutissimo e pluriprocessato Silvio Berlusconi, c’è solo da augurarsi che la politica sappia e voglia procedere finalmente sulla sua strada. E riequilibrare un rapporto con la giustizia per troppo tempo sbilanciato. E a tal punto da essersi risolto per la magistratura in un progressivo calo della credibilità o popolarità, tanto è finito per essere avvertito dal pubblico per quello che è: sbilanciato, appunto, contro una politica che se ha perso anch’essa la fiducia popolare, come dimostra il crescente astensionismo, lo deve forse pure alla debolezza che ha dimostrato a lungo nella difesa di quel primato che è scritto nella Costituzione non meno dell’antifascismo implicito -dicono gli specialisti con o senza parrucca accademica- tanto decantato e opposto al presunto fascismo di ritorno visto nella Meloni.

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