Sergio Mattarella parla alle nuore perchè suocere intendano…..

Dal Corriere della Sera

         Più Sergio Mattarella parlava sotto i soffitti e gli stucchi dorati del Quirinale per accogliere e ricambiare alle autorità ospiti gli auguri di buon Natale e buon anno nuovo rivoltigli a loro nome dal presidente del Senato Ignazio La Russa, entrambi leggendo testi ben studiati, più le telecamere riprendevano tra le fila del pubblico questo o quel volto noto, più il giornalista che seguiva da casa la diretta televisiva, come chi scrive, si chiedeva quale potesse essere la nuora cui si rivolgeva via via il presidente della Repubblica perché suocera intendesse.

Questo è un vecchio proverbio al quale il capo dello Stato si è felicemente attenuto facendo le sue raccomandazioni, formulando i suoi richiami, esprimendo le sue preoccupazioni e i suoi auspici. Compreso quello di una democrazia davvero “amata”, e non solo rispettata: una democrazia davvero partecipata, in cui ogni istituzione rispetti l’altra e non cerchi di travalicarla creando confusioni e conflittualità che vanificano la stabilità quando essa sembra sopraggiunta a governi di breve, o brevissima durata. Una conflittualità che quando diventa esasperata, pregiudiziale non esprime né pluralismo né libertà, ma solo rancore distruttivo, all’interno come all’esterno, in un mondo non a caso contrassegnato da troppe guerre fra le quali si vorrebbe che le generazioni più giovani si abituassero raccogliendone e moltiplicandone gli effetti.

Meloni al Quirinale con Mattarella

Compariva agli occhi la sagoma indistinguibile di una presidente del Consiglio vestita peraltro di un rosso che ne aumentava la visibilità e il telespettatore pensava se Mattarella ce l’avesse con lei e con le polemiche che subisce e ricambia, reduce peraltro da una festa di partito in cui ha rischiato di perdere la voce alzandola troppo.

Elly Schlein

Compariva agli occhi il volto della segretaria del Pd Elly Schlein, fra i tanti che la circondavano, e il telespettatore pensava se Mattarella non si riferisse invece a lei, o anche a lei. Alla quale nessuna iniziativa del governo, nessuna parola della premier, neppure pronunciatale direttamente in qualche telefonata di consultazione o di saluto, pare andare bene.

Giuseppe Conte

Compariva quasi accanto a quello della Schlein il volto dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che contende alla segretaria del Nazareno il protagonismo oppositorio, quasi per difendersi dal conflitto ch’egli ha in casa col fondatore ed ex garante ormai del MoVimento 5 Stelle, con tutte le maiuscole al loro posto, e il telespettatore poteva chiedersi se Mattarella non ce l’avesse con lui, o anche con lui.

Schlein e Conte al Quirinale

Poi i due, Schlein e Conte, una volta finiti il discorso e il passaggio del presidente della Repubblica tra gli ospiti per salutarli quasi uno per uno, sono stati ripresi insieme a parlare: in verità, più lei a lui che viceversa. E l’ingenuo telespettatore, a dispetto di un disincanto professionale, si chiedeva se entrambi non si fossero riconosciuti, imbarazzati, nei panni della suocera di turno. Potenza dell’immaginazione.

Ripreso da http://www.startmag.it

Una Meloni morotea, e in rosso, decisamente spiazzante per gli avversari

Da Libero

L’Aldo Moro che Giorgia Meloni ha voluto citare e condividere parlando in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo di sostanziale avvio della legislatura uscita dalle elezioni continentali di giugno è del 1974. Il Moro presidente del Consiglio di un bicolore Dc-Pri, con Ugo La Malfa vice presidente, durato dal 23 novembre di quell’anno al 7 gennaio 1976, quando l’allora segretario del Psi Francesco De Martino gli ritirò l’appoggio esterno annunciando che i socialisti non sarebbero mai più tornati in una maggioranza senza la partecipazione dei comunisti.

Aldo Moro

         Seguì a quella crisi il quinto e ultimo governo Moro, composto di soli democristiani e destinato a gestire le elezioni anticipate di giugno del 1976. Che si conclusero con “due vincitori”, come lo stesso Moro definì la sua Dc e il Pci guidato da Enrico Berlinguer, incapaci di governare numericamente in Parlamento l’uno contro l’altro, pur essendosi proposti in posizione alternativa agli elettori. Seguirono due monocolori democristiani presieduti da Giulio Andreotti ma praticamente concordati nel programma e nella composizione fra lo stesso Moro e Berlinguer all’insegna della politica di cosiddetta “solidarietà nazionale”. Che fu una variante del ben più stringente “compromesso storico” perseguito dal segretario del Pci per evitare -diceva- che l’Italia finisse come il Cile, passato da un governo di sinistra ad un governo militare di destra a regìa americana.  

         Dalla “solidarietà nazionale”, attraverso un passaggio elettorale del 1979 anch’esso anticipato, con Moro ucciso l’anno prima dalle brigate rosse, si uscì un po’ per l’indisponibilità di Berlinguer ad accettare il riarmo missilistico della Nato -che avrebbe alla fine portato al crollo dell’Unione Sovietica- e un po’ per il coraggio restituito da Bettino Craxi ai socialisti di governare con la Dc avendo i comunisti all’opposizione.

         Vi ho elencato dati e fatti tutti precedenti o quasi immediatamente successivi alla nascita non solo politica ma persino anagrafica di Giorgia Meloni, intervenuta il 15 gennaio 1977. Ve li ho elencati per sottolineare lo studio che deve avere preceduto e motivato la decisione della premier, ieri, di rifarsi a Moro -alla vigilia, ripeto, dell’importante Consiglio europeo alla quale parteciperà- per condividerne l’idea di Europa: “il luogo -disse lo statista democristiano- in cui le nazioni diventano più grandi senza perdere la loro anima, una casa comune per le differenze”.

         Si tratta delle stesse differenze, pur a 50 anni di distanza, che hanno permesso e permettono alla Meloni, e alla destra italiana che lei guida e rappresenta, di dissentire prima dalla conferma della tedesca Ursula von der Leyen, per quanto diventata sua amica, alla presidenza della Commissione europea e poi di parteciparvi con Raffaele Fitto nella doppia veste concordata di commissario e vice presidente.

         Con questo significativo richiamo a Moro la Meloni ha spiazzato come più clamorosamente non potesse fare tutti quelli che a sinistra e nel pur fantomatico centro, sempre alla ricerca di un federatore o simile, ne contestano l’affidabilità come partner europea. Per giunta “la più potente” -per riconoscimenti mediatici e politici internazionali- di fronte alle crisi che attraversano la Francia e la Germania, abituate per troppi anni a considerarsi le padrone d’Europa, o quasi.

Romano Prodi

         Fra i più spiazzati dalle parole e dagli studi della Meloni penso si possa e si debba indicare l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, guadagnatosi quello che meritava dalla Meloni alla chiusura della festa di Atreju, al Circo Massimo, per avere cercato di macchiettizzarla come una leader sì ma “obbediente” agli ordini delle consorterie di turno, al di là e al di qua dell’Atlantico. Questa di una Meloni morotea è l’ultima tranvata- come si dice a Roma- che poteva capitare a Prodi: l’uomo -non dimentichiamolo- di una famosa e, a dir poco, inquietante seduta spiritica proprio durante il sequestro Moro.

Pubblicato su Libero

Ripreso da http://www.startmag.it il 21 dicembre

Blog su WordPress.com.

Su ↑