
In attesa di tornare alla cronaca politica a tutto tondo, diciamo così, apprendendo e commentando i risultati delle nuove votazioni digitali imposte da Beppe Grillo al Movimento 5 Stelle, pur da lui considerato ormai estinto, mi concedo la divagazione di una cronaca parapolitica minore. Che è quella del ridimensionamento della drammatica rappresentazione di se stesso fatta di recente dall’ex parlamentare, ex ministro e quasi inventore, forse ancor prima di Silvio Berlusconi, di Forza Italia Giuliano Urbani. Che, consegnatosi ad una residenza di anziani a Roma per aspettare, dopo un delicato intervento chirurgico, la morte cui d’altronde siamo tutti destinati, mi aveva procurato molta tristezza, a dir poco.

Ho avuto nella mia attività professionale occasioni quasi incidentali di incontro con Urbani, anche di carattere conviviale a casa dell’amica comune Margherita Boniver. E l’ho sempre stimato anche per la franchezza, da lui non risparmiata neppure a Berlusconi, dal quale si separò culturalmente e politicamente dopo averlo tanto aiutato, peraltro su suggerimento dell’allora ancor vivo e potente avvocato Gianni Agnelli, nella costruzione di quel fantasioso partito che nel 1994 impedì alla nascente seconda Repubblica di esordire con un governo di Achille Occhetto. Che si era proposto a Palazzo Chigi alla guida di una “gioiosa macchina da guerra” di sinistra, sorpassata appunto da Berlusconi nelle urne fra la sorpresa di tutti, a cominciare da Oscar Luigi Scalfaro. Non a caso messosi rapidamente all’opera al Quirinale per farlo durare il meno possibile, garantendo all’insofferente alleato Umberto Bossi di risparmiargli elezioni immediatamente anticipate in caso di crisi.

L’impressione di sapere Urbani in una casa di riposo, per quanto mitigata il giorno dopo dal pubblico annuncio del comune amico e senatore Marcello Pera di andarlo presto a trovare, mi ha angosciato fino a quando non ho letto ieri sul Giornale una intervista dell’attrice e seconda moglie dell’interessato, Ida Di Benedetto, sposata qualche anno fa dopo una lunga convivenza. Che gli ha dato amorevolmente del “bugiardo” quasi seriale.
Il marito, per niente da lei abbandonato in una casa di riposo, peraltro “di lusso” in un quartiere pur non lussuoso di Roma come Primavalle, sta non dico benone, ma bene. E non ha perso la sua nota brillantezza, emersa d’altronde anche nell’intervista che ne svelò la nuova residenza. Egli ha già fatto una vacanza con la moglie fuori sede, diciamo così, e un’altra ne farà presto per poi tornare nel suo ricovero assistito a leggere i suoi libri e frequentare i nuovi amici, pur nell’inconveniente di perderne uno ognitanto nell’avvicinamento alla morte, sempre e andreottianamente il più tardi possibile.
Anche a me, del resto, che vivo ancora a casa e ho solo poco più di un anno e mezzo in meno di Urbani, capita di frequente non dico di vedere ma di apprendere della morte di qualche vecchio amico. Come mi è appena capitato con Paolo Pillitteri.


