Giorgia Meloni nel mirino dei neo-nazisti ha desertificato la dietrologia

         E’ proprio vero che il bene non fa notizia, come scrisse una volta Aldo Moro sul Giorno polemizzando con un intellettuale che sul Corriere della Sera aveva appena rappresentato l’Italia tragicamente attribuendogliene almeno una parte delle responsabilità. Moro, in verità, in quel momento non era al governo, ma non per questo aveva perduto autorevolezza e influenza, essendo rimasto protagonista e tessitore degli equilibri politici. Destinato non a caso a finire nel mirino mortale delle brigate rosse e dintorni, forse non estranei ad uno Stato rivelatosi incapace prima di proteggerlo e poi di liberarlo, o cercare quanto meno di farlo davvero, con le buone o con le cattive, in 55 lunghissimi giorni di sequestro in un covo promosso dai terroristi a prigione e tribunale del popolo.  In nome del quale, come della libertà, si sa ormai che possono essere compiute le azioni più cattive.

Dal Corriere della Sera di ieri

         Il bene, o la notizia che oggi non trovate sui giornali perché, appunto, buona ve la do io. I dietrologi solitamente pronti e numerosi a scoprire ciò che gli ingenui o i troppo scaltri, secondo i gusti, non avvertono o vogliono nascondere, si sono finalmente presa una pausa. Nessuno, almeno finora, ha messo in dubbio la serietà delle indagini che hanno portato all’arresto di una dozzina di nazistelli e simili propostisi di ammazzare la premier Giorgia Meloni. Che fingerebbe di fare la fascista comservando la fiamma nel simbolo del suo partito, e lasciandosi trasportare allegramente a Palazzo Chigi dal baciamano di quel fascistone del premier ungherese Viktor Orban, ma in realtà sarebbe una traditrice. Non pronta ma già passata dall’altra parte. E tanto furba, astuta, diabolica -potrei addirittura prospettare sostituendomi ai dietrologi in vacanza o in astinenza- da avere allestito in due anni e più di governo una banda di apparenti, falsi malintenzionati decisi a farla fuori perché convertitasi troppo alla democrazia.

Da Libero

         Ecco, questa commedia ci è stata risparmiata, almeno per ora. Così come ci è stato risparmiato, fra le cronache vere o verosimili della politica, fra retroscena e simili, l’anticipazione o solo la prospettazione di chissà quali segrete contropartite della Meloni a Gianfranco Fini, appena espostosi pubblicamente in elogi di chi ha saputo fare meglio di lui alla guida della destra, portandola a Palazzo Chigi anziché affacciarvisi solo come vice presidente del Consiglio.

No. Non si sono trovate, per ora, tracce di chissà quale investimento, dall’ombra in cui è caduto per tante ragioni, dell’unico fascista, o post-fascista e simili perdonato dagli antifascisti, anzi portato sugli altari dell’antifascismo per un po’ di tempo, avendo avuto l’occasione, il coraggio e quant’altro di essersi rivoltato a Silvio Berlusconi nel centrodestra e di avere cercato, dall’ufficio peraltro di presidente della Camera, di abbatterlo con una mozione di sfiducia.  

Ripreso da http://www.startmag.it                

In memoria del mio carissimo amico Paolo Pillitteri

Da Libero

Ci eravamo sentiti pochi giorni fa. Lo avevo cercato io, senza ottenere risposta. E mi ero impensierito. Ma Paolo Pillitteri mi aveva chiamato il giorno dopo con un filo di voce che, a pensarci, doveva impensierirmi ancora di più. Il piacere di risentirlo mi aveva distolto da ogni altra considerazione. E ne ho un grandissimo rimorso, ora che ho appena appreso dal figlio Stefano la notizia della morte mentre compiva 84 anni.

           Lo avevo cercato per commentare insieme la notizia giudiziaria del risarcimento dei danni ai proprietari dell’ultima area occupata abusivamente a Milano dal centro sociale noto col nome della strada del suo primo insediamento, intitolata al musicista Ruggero Leoncavallo. I cui Pagliacci quei contestatori avevano a loro modo deciso di recitare mettendo in croce di giorno e di notte, con le loro attività e musiche assordanti, gli abitanti incolpevoli della zona. Che protestavano scrivendo ai giornali.

         Fresco ancora di nomina a direttore del Giorno e incoraggiato dai rapporti di amicizia che avevo con lui, misi letteralmente in croce Paolo, sindaco della città, perché si desse da fare rendendola “da bere” -come si diceva allora, volendo dimenticare gli anni bui del terrorismo- anche agli abitanti di quella sfortunata strada del suo Comune.

         Non dovetti faticare molto per convincerlo. In una giornata di Ferragosto che doveva aiutarlo sul piano della sorpresa il sindaco tentò con i suoi vigili urbani, strappando anche agenti di polizia al prefetto e al questore poco convinti, di fare sgomberare l’area occupata dai contestatori. Che, quasi avvertendo la scarsa convinzione delle altre cosiddette autorità, opposero una resistenza da guerriglia. E l’area riprese o continuò ad essere occupata, come altre che poi i successori di Paolo a Palazzo Marino avrebbero praticamente permesso agli ormai leoncavallini d’anagrafe politica e sociale di sostituire a quella originaria.

Bettino Craxxi e Paolo Pillitteri

         Peggio dei leoncavallini tuttavia si comportarono con Paolo Pillitteri i magistrati che poi si occuparono di lui nelle indagini sul finanziamento illegale della politica e sugli altri assai presumibilmente reati connessi. L’essere cognato di Bettino Craxi, avendone sposato la sorella Rosilde, fini per diventare per Paolo un’aggravante nei processi di piazza che precedettero e accompagnarono quelli di tribunale.

Antonio Di Pietro

         Ma un’altra circostanza forse ancora più aggravante fu per Paolo la sua amicizia col sostituto procuratore subito diventato il più famoso della covata “Mani pulite”: Antonio Di Pietro, Tonino per gli amici. Il quale, ora disincantato ex magistrato ed ex politico, in odore o puzza di eresia agli occhi e alle orecchie di tanti giustizialisti incalliti, che non gli perdonano, per esempio, di essere favorevole, o almeno non contrario, alla separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, non me ne vorrà se continuo ad avere un sospetto. Che, sentendosi in conflitto d’interesse con l’amico Paolo indagato e poi imputato, egli fosse stato ancora più severo del necessario. Così andavano, del resto, le cose in quegli anni terribili: peggiori, secondo me, persino degli anni di piombo per la loro carica dirompente verso le istituzioni e la democrazia. Esse sopravvissero al piombo, ripeto, ma non so francamente se e quanto siano sopravvissute ai danni procurati da quel ribaltamento dei rapporti fra politica e giustizia certificato dall’insospettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, scrivendone pubblicamente alla vedova di Craxi, Anna, nel decimo anniversario della morte del marito in terra tunisina.

         Proprio alla morte di Craxi, quasi venticinque anni fa, era stata negata peraltro a Paolo Pillitteri dalla magistratura milanese l’autorizzazione a lasciare l’Italia per il tempo necessario a partecipare ai funerali del cognato. La ciliegina, direi, sulla torta dell’orrore.

         Addio, Paolo, amico mio carissimo.

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L’autofunerale poco comico del Beppe Grillo politico

Dal Dubbio

Tanto fu accorto, sobriamente accorto, a suo tempo scegliendo la festa di San Francesco d’Assisi come giorno di fondazione del suo movimento politico ispirato alle stelle, quanto è stato distratto Beppe Grillo scegliendo per i funerali della sua creatura, salvo “compostazione” dei resti, il furgone -credo -credo- più costoso sul mercato dell’acquisto o dell’affitto. L’ho scambiato pure io, lì per lì, vedendolo arrivare alla sua guida, per un fuoristrada di listino ordinario, anche per i noti gusti meccanici di Grillo.  Che nel lontano 1981 si avventurò alla guida del mostro di turno su una strada ghiacciata con esiti, a dir poco, infausti.

         Sarà stato per avere lui dimenticato fiori e corone, cui ha poi provveduto sui giornali qualche vignettista, sarà stato per la mia inescusabile ingenuità di spettatore, non ho avvertito all’istante lo sfondo funebre della performance decisa da Grillo. E preannunciata come “messaggio delicato” 24 ore prima.

Una volta insieme

         Ma ora, a esequie immaginate o proposte dall’alto della sopraelevata dove Grillo ritiene di essere visto, e anche preso un po’ giro, da un Giuseppe Conte abituato a muoversi nei sottopassaggi come una volta si pensava che fossero capaci solo i democristiani; a esequie, ripeto, immaginate o proposte, che cosa davvero ha in mente il fondatore di un movimento che ben prima del Landini dei nostri giorni si era proposto di rivoltare l’Italia come un guanto? O di aprire il Parlamento con le sue truppe d’assalto orgogliosamente non professionali, a mandato rigorosamente limitato, come una scatoletta o un barattolone di tonno?  A saperlo davvero.

L’unica, reale prospettiva che si intravvede è di natura giudiziaria, si spesa solo civile e non anche penale, in una contesa lunga e complicata di sigle e di nomi, di contratti e di clausole.  Un po’ troppo o troppo poco, secondo i gusti, per chi aveva pensato, quanto meno, di divertirsi. E per giunta gratis, senza andare necessariamente a teatro e pagare il biglietto.

Pubblicato sul Dubbio

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