Le navigazioni in Italia dei marinai che non sanno dove andare

         Per deformazione professionale ho pensato alle nostre miserabili cronache politiche finendo di vedere a Rai Storia la prima puntata, dedicata alle eccellenze italiane in mare, della serie “Che magnifica impresa” di Mario Sechi. Il quale ha voluto riproporre, fra il sorriso compiaciuto e consenziente di Marco Tronchetti Provera, un Seneca quanto mai attuale con quel monito sulla inutilità del vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

         Beppe Grillo, che è anche uomo di mare, oltre che di teatro e di politica a mezzadria con la comicità, appena tornato sulle prime pagine dei giornali per il funerale immaginario, e di lusso, del suo movimento pentastellare, sa davvero dove andare adesso che si è spinto al largo dopo avere scaricato Giuseppe Conte? E Conte sa dove andare, per terra o per mare, con la sua ciurma o simile di “progressisti indipendenti”? Indipendenti non solo dal Pd della Schlein, che l’ex premier considera troppo a destra, guerrafondaia eccetera, ma anche da loro stessi.

La segretaria del Pd Elly Schlein

         E la Schlein, sì proprio lei, la segretaria del Nazareno che è convinta di arrivare sempre dove nessuno l’aspetta? Sa dove andare davvero, oltre che alla ricerca di quell’araba fenice di complemento, rispetto al Centro, che è l’alternativa al centrodestra al governo da più di due anni a conduzione meloniana? E’ una domanda che temo condivisa nel Pd anche da chi dice di apprezzarla. Come, per esempio, in ordine rigorosamente alfabetico, il presidente del partito Stefano Bonaccini, l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni, appena restituito alla politica interna, e l’ex presidente un po’ di tutto, compresa la Commissione europea, Romano Prodi.

         Bonaccini appare insofferente dei veti e delle liste bloccate. Gentiloni convinto che ci sia  ancora molta strada da compiere sulla strada dell’alternativa. Prodi si aspetta, sempre su questa strada, proposte più concrete. Se non sono critiche, non sono neppure applausi. O se non è zuppa, è pan bagnato. 

Le auto poco francescane che Beppe Grillo preferisce per i funerali

La vignetta della Gazzetta del Mezzogiorno

Diavolo di un uomo, di un comico, di un politico, nell’ordine in cui Beppe Grillo potrebbe essere considerato o definito senza offenderlo. Il fondatore del MoVimento 5 Stelle volendo proporre nella sua ultima performance l’immagine della morte, del funerale e di quant’altro cui la propria creatura sarebbe stata ridotta da Oz, come lui chiama ora Giuseppe Conte, ha scelto di farsi riprendere alla guida del più caro e lussuoso carro funebre, credo, in commercio. Prodotto dalla Mercedes. Così lussuoso e luccicante che personalmente ho avuto difficoltà a riconoscerlo, avendolo scambiato lì per lì per un SUV di listino ordinario, prima di insospettirmi sentendo parlare il conducente in camicia blu del suo movimento “ormai morto”. Mancavano solo i fiori e le corone appostevi in una vignetta da Nico Pillinini sulla Gazzetta del Mezzogiorno con Conte per niente in lutto.  

Grillo al volante

         Fra tutti i carri funebri da potersi fare prestare da qualche amico titolare di agenzie del settore o da affittare per il suo breve spettacolo parapolitico, chiamiamolo così, Grillo è riuscito a scegliere il più lontano da quello stile sobrio, dichiaratamente francescano, da lui stesso rivendicato di recente per sé e gli amici ancora fedeli. Contrapposto a quello “gesuitico” di Conte reduce, o ancora sul palco o podio circolare dell’assemblea costituente del movimento pentastellato chiamata Nova, esplosa in un boato all’annuncio del risultato della votazione digitale con la quale gli iscritti avevano soppresso la figura di Grillo garante o elevato. Anzi “super-elevato”, come lo stesso Grillo ha accusato Conte di sfotterlo vedendolo dai “sottopassaggi” in cui si muoverebbe scimmiottando la Dc di un tempo. 

         Un Papa insieme francescano, tanto da averne assunto il nome sul trono di Pietro, e gesuita di formazione e appartenenza come Bergoglio usa auto utilitarie per farsi trasportare dentro e fuori le mura del Vaticano. Altro che la Mercedes e il SUV di uso da parte di Grillo per i suoi viaggi da spettacolo.   

Dall’Identità

         A parte le bizzarrie ironiche alle quali si sono abbandonati i giornali -dal “Grillo in modalità becchino” dell’Identità al “requiem di Grillo” sulla Stampa e al “funerale show” di Libero- c’è una circostanza storica, diciamo così, che dovrebbe suggerire a Grillo di tenersi alla larga da certe macchine. E’ quel disgraziato incidente stradale procuratosi il 7 dicembre 1981 a  bordo di un fuoristrada in Piemonte, guidandolo spericolatamente su neve e ghiaccio. Lui si salvò sull’orlo di un burrone buttandosi fuori all’ultimo momento dal mezzo di cui aveva perso il controllo, ma gli amici che aveva ospitato ci rimisero la vita. Per loro quel fuoristrada divenne un furgone mortuario. Assolto in primo grado, Grillo fu condannato nel giro di 7 anni a 14 mesi di reclusione per omicidio colposo, godendo tuttavia dei benefici, per niente comici, della condizionale e della non iscrizione.

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