Chi sale e chi scende dal tram giudiziario di Edmondo Bruti Liberati

Da Repubblica

         Pur sorpassato sulle prime pagine dei giornali dal licenziamento di Beppe Grillo come consulente    , per ora, in attesa di esserlo anche come garante delle 5 Stelle ormai di Giuseppe Conte, non merita di essere ignorato il tema dello scontro fra governo e magistrati, o viceversa. Su cui, a 80 anni compiuti il 10 ottobre scorso, in pensione da 9 dopo avere fatto il capo della Procura della Repubblica di Milano, e prima ancora il presidente di “Magistratura democratica”, la corrente più a sinistra delle toghe, nonchè il presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, ha voluto intervenuto ieri sulla Stampa Edmondo Bruti Liberati. Che ha rivendicato il diritto delle toghe di “disturbare” il governo, come una volta non si poteva fare col “manovratore” di un tram.

Dalla Stampa di ieri

          Bruti Liberati non ha dubbi che le competenze nella gestione dell’immigrazione irregolare non appartengano tutte al governo che le rivendica, almeno nella individuazione dei paesi sicuri dove potere almeno tentare di rimandare chi è sbarcato in Italia da clandestino.  E, in polemica con quanti, fra i quali un altro ex magistrato che ora è ministro della Giustizia, Carlo Nordio, richiamano le toghe a riflettere sulla popolarità che esse hanno perduto da quando hanno preso a disturbare il manovratore politico, Bruti Liberati ha opposto un sondaggio effettuato nello scorso mese di settembre dall’Istituto Eumetra. Da cui risulta che davvero il 54 per cento del pubblico critica la magistratura, contro il 42 per cento che continua a riservarle fiducia. Ma è “una minoranza -ha avvertito Bruti Liberati, come per rivendicare il diritto degli ex colleghi di irrigidirsi- molto consistente, tanto più se si raffrontata al livello di fiducia espresso sui partiti (19%) e sul Parlamento (32%)”.

Parole di Edmondo Bruti Liberati

         Questo paragone -ha aggiunto il super ex, per quanto non emerito come si può dare ad altri pensionati- “ non consola, anzi preoccupa per lo scarso livello di fiducia verso altre istituzioni fondamentali della democrazia”. La quale però è scesa a questi livelli, appunto, con i partiti e persino il Parlamento dove essi sono rappresentati, per la sensazione avvertita forse dalla maggioranza dell’opinione pubblica -il già ricordato 54 per cento- che siamo ormai in una Repubblica giudiziaria. Dove partiti e Camere hanno da almeno una trentina d’anni a questa parte rinunciato alle loro prerogative rendendo i magistrati “una casta di intoccabili”, come ha scritto e titolato proprio oggi sulla Stampa il buon Mattia Feltri occupandosene.  O salendo su un tram giudiziario dove il manovratore non può essere e neppure sentirsi disturbato.

La Meloni “riconciliata” con Mattarella e con Marina Berlusconi….

La premier Giorgia Meloni è entrata nel suo terzo anno di governo prendendosi una documentata rivincita, con foto e pubbliche dichiarazioni, su quanti l’hanno rappresentata sino a ieri mattina sui giornali di tendenza oppositoria come una leader disperata, alle corde: assediata da Sergio Mattarella, preoccupato al Quirinale della polemica con i magistrati, e da una Marina Berlusconi tentata, in concorrenza col fratello Pier Silvio, di entrare in politica e di sfasciarle il centrodestra, o contenderle  in prospettiva la guida.

La riunione del Consiglio Supremo di Difesa

         Con Mattarella la premier si è incontrata proprio ieri per partecipare alla riunione del Consiglio Supremo di Difesa indetta e presieduta dal capo dello Stato. Fotografi e telecamere hanno potuto riprendere e testimoniare la cordialità dei rapporti fra i due. Mattarella peraltro aveva appena firmato la manovra finanziaria, e non solo il decreto legge col quale la Meloni ha deciso quanto meno di fronteggiare le ultime invasioni di campo – lamentate dal ministro della Giustizia e non solo dalla presidente del Consiglio- dei giudici in materia di gestione dell’immigrazione clandestina. Un decreto legge comprensivo anche di quella possibilità di ricorrere alla Corte d’Appello contro decreti, ordinanze e quant’altro dei giudici su cui i retroscenisti avevano riferito di un    forte dissenso appunto del Capo dello Stato.

         In comune Mattarella e la Meloni avevano già avuto prima della riunione del Consiglio Supremo di Difesa anche una forte reazione polemica alla deriva razzista attribuita alla polizia italiana, e alla stessa Italia, dal Consiglio d’Europa. Che da tempo gode, nella valutazione del suo ruolo e della sua pretesa importanza, della confusione che se ne fa con l’Unione Europea e il relativo Consiglio. Una confusione che a questo punto dovrebbe consigliare l’uscita dell’Italia dall’organizzazione arbitrariamente scambiata per l’altra che dispone anche di un Parlamento eletto.

Marina Berlusconi alla Galleria Alberto Sordi

         Mentre al Quirinale si è dissolta la rappresentazione dei due presidenti in tensione fra loro, Marina Berlusconi ha colto nella Galleria Alberto Sordi di Roma, dirimpettaia di Palazzo Chigi, l’occasione offertale dall’inaugurazione di un emporio della Mondadori per smentire tentazioni politiche, apprezzare l’azione del governo e unirsi alle critiche della Meloni ai magistrati, che ormai la definiscono anche nelle loro corrispondenze telematiche “un pericolo” più grande del compianto Silvio Berlusconi. Magistrati “nemici del Paese”, e non solo dei governi del padre prima e della Meloni poi, ha detto Marina.

Dal Fatto Quotidiano

         “B. di padre in figlia. Marina anti-giudici”, ha titolato Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio stampando in rosso quei “nemici del Paese” dati dalla primogenita di Berlusconi ai magistrati e mettendo la premier al suo rimorchio. “Pure Meloni li attacca”, si legge sempre nel titolo del Fatto.

Quel Bettini “moderato” che nel Pd fa rima con Franceschini

Dal Dubbio

La recensione del romanzo fresco di stampa dell’ex ministro Dario Franceschini “Aqua e tera” ha fornito a Goffredo Bettini, sull’Unità di Piero Sansonetti, l’occasione di mandare qualche messaggio in bottiglia, diciamo così, al Pd e dintorni alla vigilia di elezioni regionali -fra Liguria, già domenica prossima, e Umbria ed Emilia-Romagna fra meno di un mese-da cui potrebbero derivare sorprese alla segretaria del Nazareno Elly Schlein. Che ha subìto il veto posto da Giuseppe Conte, compreso o condiviso tuttavia anche da Bettini, contro la partecipazione di Matteo Renzi a un comune campo dell’alternativa al centrodestra, e potrebbe risentire degli effetti.

Dario Franceschini

         La storia raccontata da Franceschini dell’amore fra due donne nella sua terra ferrarese durante la prima metà del secolo scorso  ha commosso giustamente Bettini ravvivando un’amicizia e una sintonia politica con l’autore sino all’entusiasmo. “Da collega stimabile -ha scritto di lui- negli ultimi anni gli sono diventato amico. E ho più volte intuito che dietro e oltre le convinzioni politiche c’erano in lui comandamenti interiori. Il valore della democrazia, un cristianesimo solidale, un’assenza di pensieri irremovibili o di odio, un realismo niente affatto cinico ma comprensivo delle debolezze umane, una pazienza per le cose del mondo che richiama dimensioni più importanti degli errori e dei difetti degli altri. Tutto questo presuppone un serbatoio nascosto di passioni, pensieri, sentimenti e di una fede vissuti in silenzio, dietro le quinte dei palcoscenici. E, tuttavia, essenziali per rendere migliore la parte “febbrile” del fare, per dirla con Pietro Ingrao”.

         Parole del genere Giuseppe Conte, pur promosso nel 2020 da Bettini al “punto di riferimento più alto dei progressisti”, credo che non riuscirà mai ad ottenerle, anche al centesimo romanzo che dovesse scrivere. Eppure penso che Bettini abbia pensato anche al radicalismo di certe posizioni di Conte quando ha scritto, sempre a proposito della storia dell’amore fra le due donne del Ferrarese, i danni procuratisi dalla sinistra negli anni Venti del 1900 chiudendo gli occhi davanti ai problemi maggiormente avvertiti dalla società, come quelli della sicurezza, lasciandoli solo all’attenzione e alla cura della destra. Come oggi quelli, sempre della sicurezza, legati all’immigrazione clandestina.         

Goffredo Bettini sull’Unità

Senza “misura e pietà” nella pratica dell’opposizione “il risultato può essere spaventare, senza vincere”, ha scritto Bettini ricordando anche quanto Luigi Fabbri scrisse di quegli anni 20 del secolo scorso: “In Italia si è avuta la contro-rivoluzione senza rivoluzione, una vera e propria contro-rivoluzione preventiva”. Ho scritto della pratica dell’opposizione: anche di quella giudiziaria, direi, che certi magistrati esercitano con le loro sentenze e le loro polemiche forse senza neppure accorgersene. Così, per istinto, per cultura, per fraintendimento del loro ruolo e dei rapporti con la politica.

Pubblicato sul Dubbio

Clamoroso caso di abuso d’Europa contro l’Italia da parte dell’omonimo Consiglio

La sede del Consiglio d’Europa, a Strasburgo

         La deriva razzista attribuita dal Consiglio d’Europa alla polizia italiana, e in fondo alla stessa Italia, è un clamoroso caso di abuso d’Europa. Che è sato compiuto da un organismo internazionale che con questa iniziativa offensiva, che ha accomunato in una reazione di sdegno i presidenti della Repubblica e del Consiglio, non purtroppo le opposizioni, o non tutte, non è più soltanto da “non confondere”, come avvertono i siti informativi, con l’Unione Europea e i suoi derivati, dal Consiglio alla Commissione e al Parlamento continentale. Ma da considerare contrapposto, incompatibile e quant’altro con l’Unione.      

Dalla Stampa

Non si capisce francamente, dopo quello che è successo, come e perché mai l’Italia, peraltro tra i dieci paesi fondatori dei 49 che lo compongono, possa o debba continuare a fare parte di questo organismo. E contribuire al suo bilancio, cioè al suo costo, calcolato per quest’anno in 624 milioni di euro.

Giorgia Meloni in una foto sull’Unità

         Se sono stati uno spreco, come sostengono all’unisono le opposizioni, sino a sollecitare la Corte dei Conti ad occuparsene per punire i responsabili, i 700 milioni e più di euro spesi o stanziati dal governo Meloni per allestire in Albania i centri italiani d’immigrazione subito svuotati da una giudice del tribunale di Roma con una decisione appena impugnata dal Ministero dell’Interno, mi chiedo come si possano considerare e definire i contributi che da 75 anni l’Italia versa, con i governi di ogni colore politico che si sono succeduti, al Consiglio d’Europa. Del quale sono stati presi troppo sul serio evidentemente i propositi dichiarati di “promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzione ai problemi sociali” delle comunità partecipi, come si legge nei documenti ufficiali.

         Questo ormai, pur così tanto pomposamente chiamato, e facilmente confuso con l’Unione, è diventato ormai solo un ramo secco d’Europa. Nulla di più, ma forse anche di meno. Pure versare altro inchiostro su questo caso, come si sarebbe detto in altri tempi, sarebbe uno spreco.

Ripreso da http://www.startmag.it

Nomen omen, ma non per Santalucia, il presidente dell’associazione dei magistrati

Da Libero

Eppure, anche quando gli sento dire in televisione o ne leggo sui giornali cose che non condivido, come quell’aggettivo “progressista”       , con tutta la valenza politica ch’esso ha assunto, applicato alla Costituzione parlandone di recente con Mario Sechi, non riesco a perdere una certa simpatia per Giuseppe Santalucia. Che è il presidente dell’associazione nazionale dei magistrati, cioè del sindacato delle toghe: la più pugnace ormai fra tutte le associazioni sindacali. Più ancora della Cgil di Maurizio Landini, con tutto il rosso delle sue bandiere.

         Santalucia mi è e mi rimane simpatico per quell’aria mite, educata e quant’altro che continua a mostrare anche quando esprime e teorizza concetti assai aspri nella loro sostanza. Per quella sobrietà fisica, diciamo così, che lo mette al riparo dall’ironia di qualcuno emulo a destra del Marco Travaglio che scrive del ministro della Giustizia come di “Mezzolitro Nordio”. Per quella somiglianza, anch’essa fisica, col mio amico editore, catanese pure lui, Mario Ciancio Sanfilippo. Il quale con i suoi 92 anni potrebbe essere scambiato per il padre del presidente dell’associazione dei magistrati, che di anni ne ha compiuti solo 60, dei quali 35 trascorsi nella carriera giudiziaria.

La firma di Giuseppe Santalucia

         Ma soprattutto Giuseppe Santalucia mi è simpatico per quel cognome che porta, della protettrice degli occhi. E per l’ impossibilità che ha, per quanto sforzi volesse compiere, e forse già compie da tempo dietro le quinte delle sue dichiarazioni di difesa ad oltranza dei magistrati, di fare recuperare la vista a quanti ne mancano, o ne difettano. Come nel caso di quella toga che ha appena indicato nella premier Giorgia Meloni un “pericolo” da contrastare, scrivendone in una mail intercettata, diciamo così, da una premier comprensibilmente sgomenta e finita sui giornali. O almeno in quelli che non hanno voluto imbavagliarsi nella loro azione di sistematica copertura dei magistrati, anche quando costoro la fanno così grossa da non poterla coprire, come diceva la buonanima di Amintore Fanfani di certi amici democristiani che incorrevano nella sua attenzione critica.

Il libro di Francesco Misiani

         Ai giornali dell’autobavaglio non piace neppure l’immagine delle “toghe rosse”, se non specificatamente “comuniste”, come preferisce dire Matteo Salvini. Ma “toga rossa” se la diede impietosamente e meritoriamente da solo in un libro di tanti anni fa Francesco Misiani, tra i fondatori di “Magistratura democratica”, come ancora si chiama la corrente più a sinistra delle toghe. Un libro scritto a quattro mani con Carlo Bonini, che ancora si occupa di cronaca e materia giudiziaria. E continuerà a occuparsene a lungo, avendo solo 57 anni che gli auguro sinceramente di raddoppiare, quanto meno.

         Ecco, questa di non scorgere e capire la propria storia culturale, oltre che professionale, fa parte di quella mancanza o di quel difetto di vista che lamentavo nei magistrati. E che temo -ripeto- non riuscirà a curare e guarire neppure Santalucia, anche con quel benedetto cognome che porta. Una mancanza o un difetto di vista che contribuisce a fare sopravvivere in tante toghe una concezione tolemaica del loro ruolo nelle istituzioni, che dovrebbero girare attorno alla magistratura come una volta si pensava che tutto l’universo ruotasse attorno alla terra, e non al sole, come poi fu scoperto e ammesso.

         Il sole nel nostro caso non è il governo, della Meloni o di chiunque altro, come pensano certi magistrati dalle parole e dai comportamenti oppositori, ma la Costituzione. Che non è ”progressista”, per tornare al pur simpatico presidente del sindacato delle toghe, ma semplicemente repubblicana. E, se proprio le si vuole dare anche un altro aggettivo, “parlamentare”.  “La sovranità” -dice nel suo primo articolo la Costituzione- spetta al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” stessa della Repubblica, appunto, parlamentare. Di un Parlamento eletto dai cittadini che hanno “tutti” il diritto, riconosciuto dall’articolo 49, di “associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ripeto: la politica. Che per questo ha una priorità, e preminenza, o prevalenza disattesa da una trentina d’anni di pratica esondativa della magistratura, ora anche in materia di migranti e contorni.

Pubblicato su Libero

Ripreso da http://www.startmag.it il 27 ottobre

Il decreto legge sui paesi sicuri per il rimpatrio dei migranti clandestini è fatto

         Pur nella loro parzialità intesa come partigianeria, titoli e foto dei giornali, grandi o piccoli che siano, aiutano oggi a capire che cosa sia accaduto ieri a Palazzo Chigi e dintorni, a qualche ora dal secondo compleanno del governo in carica.  

Giorgia Meloni sul Fatto Quotidiano

         Una Giorgia Meloni particolarmente ingrugnita sulla copertina del Fatto Quotidiano col decreto legge in cui ha voluto elencare 19 Stati da considerare sicuri abbastanza per potere cercare di rimandarvi i migranti che li hanno lasciati per venire in Italia da clandestini, avrebbe “mandato a quel paese” i magistrati, secondo il manifesto ancora dichiaratamente e orgogliosamente comunista. 

Dal Riformista

O almeno i magistrati che si considerano “controparte del governo”, come ha titolato il Riformista riferendosi a quelli che, tra decisione adottata e consensi ricevuti nei loro ambienti e dintorni, avevano appena disconosciuto un decreto interministeriale in cui venivano considerati sicuri l’Egitto e il Bangladesh, da dove provenivano i 12 migranti fatti sbarcare dall’Italia in centri appositamente allestiti in Albania per il primo disbrigo delle loro pratiche, in vista anche di un loro rimpatrio obbligato.

Da Repubblica

Col decreto legge appena varato, pur “dimezzato” secondo La Stampa per “i paletti”, secondo Repubblica, imposti dal presidente della Repubblica, i magistrati dissenzienti per loro convinzioni personali, o per l’interpretazione di sentenze di livello europeo, potranno al massimo ricorrere alla Corte Costituzionale.

La sede della Corte Costituzionale

Quest’ultima, nota anche come Consulta per la sede ereditata da una omonima formazione  d’età monarchica, è incaricata dall’articolo 104 della Costituzione repubblicana di giudicare “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica, a norma della Costituzione”.

Dal Fatto Quotidiano

A dispetto di queste competenze così rigorosamente elencate nella Costituzione, ricorrere alla Corte in caso di contrasto fra il contenuto di una legge e la opinione o la lettura che ne fa un magistrato significa per Il Fatto Quotidiano “buttare la palla alla Consulta”. Cioè perdere tempo.

Sempre dal Fatto Quotidiano

Ma ciò che ancora di più inquieta Il Fatto Quotidiano, e l’area politica che maggiormente vi si riconosce, quella dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è l’apertura fatta in una intervista dal presidente del Senato Ignazio La Russa, notoriamente seconda carica dello Stato, all’ipotesi di una riforma del titolo quarto della Costituzione, riguardante la magistratura. E ciò per meglio definire i parametri delle competenze delle toghe e dei rapporti con gli altri poteri dello Stato. Dietro l’angolo di La Russa un editoriale  del Fatto Quotidiano titolato “Diritto melonico” ha immaginato e proposto questo “articolo 10: Viva Silvio, viva la gnocca”. Ridete pure, se volete.

Ripreso da http://www.startmag.it

Le toghe spiazzate da un altolà di Mattarella che investe anche loro

Dal Fatto Quotidiano di ieri

Il Mattarella evocato ieri dal Fatto Quotidiano come un fantasma incombente sul governo, in procinto di intervenire con un decreto legge per rendere più chiara e vincolante la propria competenza nella individuazione dei paesi sicuri verso cui potere disporre il rimpatrio dei migranti clandestini,  si è materializzato. Ma non nel senso, nella direzione unilaterale a favore dei magistrati che rivendicano la loro competenza in materia interpretando norme e sentenze di livello anche europeo.

Dalla Repubblica di oggi

         Se vogliamo considerare “altolà, come ha fatto Repubblica, quello appena  lanciato dal presidente della Repubblica, ospite del festival delle regioni e delle province a Bari, esso è stato rivolto a entrambe le parti entrate in conflitto: al governo ma anche alla magistratura, partecipi entrambi di istituzioni tenute a collaborare, non a scontrarsi. Tenute a non limitarsi “a visioni di parte”, come ha detto Mattarella, scommettendo su norme, procedure e quant’altro di controversa interpretazione. E perfettibili, aggiungo a proposito dell’intervento legislativo che sta per arrivare dal Consiglio dei Ministri usando le procedure d’urgenza previste dalla Costituzione, per renderle più chiare.  

“In altre parole” ieri sera sulla 7

         Che la magistratura non possa considerarsi estranea al monito del Capo dello Stato lo ha detto, o ammesso, l’insospettabile presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky parlando a distanza dal suo studio privato a Massimo Gramellini e a Corrado Augias seduti nello studio televisivo della trasmissione “in altre parole” de la 7. Che, sia pure tra sorrisi e ringraziamenti convenevoli, debbono essere rimasti alquanto delusi, aspettandosi una lettura di Zagrebelsky delle parole, appunto, di Mattarella solo in chiave polemica, e di avvertimento, per il governo. E per la premier Meloni, in particolare, che aveva appena polemicamente diffuso peraltro attacchi politici rivoltele per chat da un magistrato chiaramente di parte.

Dal discorso del Presidente della Repubblica a Bari

         Forse, anzi di certo, la posizione della Meloni, decisa a difendere le prerogative del governo e, più in generale, della politica che legifera in Parlamento, non è aiutata dai toni comizial del vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini, che liquida per esempio come “porci e cani” i migranti clandestini soccorsi in mare o comunque approdati sulle coste italiane, e ora sottoponibili in appositi centri allestiti in Albania alle procedure preliminari per la definizione delle loro pratiche. Ma che la premier abbia posto un serio problema sul tavolo istituzionale non c’è dubbio. Ed è un problema che investe, in via più immediata per le sue competenze in ordine all’emanazione di un provvedimento d’urgenza come un decreto legge, anche il capo dello Stato espostosi col suo intervento a Bari. Non so francamente se proponendosi anche come mediatore, e non solo come risolutore.   

Il paradosso dell’allarme per l’immigrazione clandestina alimentato dai magistrati

Da Libero

Involontariamente -almeno così spero- il direttore della Stampa Andrea Malaguti ha liquidato come “una fesseria” quella che gli italiani avrebbero commesso facendo salire il problema della immigrazione clandestina dal ventesimo posto, in cui era sceso nei mesi scorsi, al quinto delle priorità avvertite in un sondaggio effettuato a caldo da Alessandra Ghisleri. A caldo, dopo la decisione della giudice Sara Albano, del tribunale di Roma, di liberare -mandandoli in Italia- i dodici migranti clandestini, provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh e trasportati in Albania per il primo disbrigo delle loro pratiche.

Lo sbarco dei migranti in Albania vanificato dall’intervento giudiziario

         Da quella decisione, peraltro prevista per le posizioni attribuite in materia alla stessa giudice prima di occuparsene con un decreto giudiziario, sono nate polemiche furiose e uno scontro diretto fra il governo e i magistrati. Ai quali è destinato un decreto legge imminente che dovrebbe impedire loro la discrezionalità che si è presa la giudice Albano, e che rivendica l’associazione dei magistrati, di considerare sicuri o non scuri, difformemente anche dalla classificazione contenuta in un decreto interministeriale, i paesi dai quali provengono i clandestini e dove costoro potrebbero essere rimpatriati o no.

Dall’editoriale della Stampa di ieri

         “Una fesseria”, ripeto, viene definita o avvertita dal direttore della Stampa la priorità avvertita dai sondaggiati. Come una fesseria è considerata evidentemente anche la preferenza data due anni fa, proprio di questi tempi, dagli elettori conferendo la maggioranza dei seggi nel Parlamento rinnovato in anticipo al centrodestra. Che aveva messo fra le priorità appunto del suo programma il contrasto all’immigrazione illegale, agendo poi in modo da far credere all’elettorato in via di superamento le preoccupazioni.  Tanto da fare scendere la questione al ventesimo posto, appunto, delle priorità avvertite nei penultimi sondaggi.

Il direttore della Stampa Andrea Malaguti

         Quello che il direttore della Stampa mostra di non avere capito -o se lo ha capito, ha cercato di nasconderlo insultando di fatto, ripeto, i sondaggiati- è che ad allarmare nuovamente gli italiani è stata la decisione della giudice Albano, prima ancora della protesta del governo. Che può quindi ben sentirsi incoraggiato ora a reagire alla decisione giudiziaria rivendicando le sue prerogative nei modi consentiti dalla legge e dalla democazia.

La sondaggista Alessandra Ghisleri

         I magistrati, certo, non si sentono vincolati a conoscere e a soddisfare le urgenze avvertite dall’opinione pubblica, chiusi come sono nelle loro torri d’avorio dei tribunali, tagliando, cucendo e interpretando pezzi di norme e di sentenze di livello europeo. Ma un governo a queste urgenze deve sentirsi vincolato. Ed è qui tutto il senso dello scontro che si è riaperto, ammesso che si fosse mai chiuso, fra politica e giustizia. O fra governo e toghe. Che la Costituzione per fortuna esonera, ripeto, dal compito di governare, lasciato alla competenza, cioè al dovere, oltre che al diritto, di chi vi viene designato in libere elezioni in un altrettanto libero Paese.  Un Paese libero e sicuro, anche nella discrezionalità di giudizio rivendicata dai magistrati. 

La premier Giorgia Meloni

In Italia, si sa, la voglia di votare diminuisce continuamente.  E cresce invece la tentazione di disertare le urne. Dalle quali i cittadini vengono allontanati anche per l’impressione che essi avvertono che a governare siano destinati non i politici preposti elettoralmente ma altri. Che vengono generalmente chiamati “poteri forti”, fra i quali ci sono, volenti o nolenti, consapevoli o no, i magistrati e quanti li sostengono a prescindere, o quasi, da postazioni mediatiche e persino istituzionali. Che scambiano il carattere “autonomo e indipendente” dell’ordine giudiziario “da ogni altro potere”, come dice l’articolo 104 della Costituzione per una sovranità nella sovranità dello Stato: E inorridiscono a sentire la presidente del Consiglio appellarsi praticamente anche ai magistrati non per sostenere -come si è detto e scritto disinvoltamente- il programma del suo governo, ma per servire “la Nazione”, come lei preferisce definire quello che per altri è e deve rimanere solo un paese sfortunato.

Pubblicato su Libero

I rinforzi suicidi alla magistratura nello scontro col governo sui migranti

La vignetta di Repubblica

         Dalla decisione “pregiudiziale” della premier Giorgia Meloni alla decisione “abnorme” del ministro della Giustizia, ed ex magistrato Carlo Nordio, convinto che la giudice del tribunale di Roma Silvia Albano abbia “esondato” sgomberando di fatto i centri italiani realizzati in Albania. Cioè disponendo la partenza dei dodici migranti clandestini rimasti, dei sedici trasportati, per il primo disbrigo delle loro pratiche. Migranti clandestini che Ellekappa su Repubblica ha immaginato sostituiti dai magistrati invisi al governo e speduti per punizione sull’altra costa dell’Adriatico. Una vignetta si sa equivale ad un editoriale, più efficace e diretto.

Achille Occhetto ieri sera alla 7

         Se Ellekappa, pseudonimo di Laura Pellegrini, ha immaginato il governo deciso a tirare tanto dritto da mandare -ripeto- in Albania i magistrati, mancando i migranti liberati dalla giudice di Roma, il vecchio Achille Occhetto è corso in televisione da Massimo Gramellini, sulla 7, per fremere d’indignazione contro l’assalto che il governo starebbe facendo alla Costituzione, alla libertà, alla Repubblica. Altro che la vecchia e fallita “gioiosa macchina da guerra” allestita dall’allora segretario del Pds-ex Pci nel 1994 contro Silvio Berlusconi, arrivato lo stesso a Palazzo Chigi. E tornatovi poi due volte. A Occhetto mancava ieri sera, nel salotto televisivo di Granellini, solo un fucile a tracolla per salire poi in montagna, pur ai suoi 88 anni compiuti. E, debbo dire,  ben portati se consideriamo gli insuccessi inanellati nella sua carriera politica, tanto da essere rimosso a suo tempo dalla guida del partito da Massimo D’Alema.

Massimo Gramellini

         Soddisfatto, compiaciuto e quant’altro della spinta combattiva del suo ospite, Gramellini è poi rimasto senza parole, sgomento, quando due giornalisti arrivati in trasmissione -Alessandra Sardone e Beppe Severgnini- si sono permessi di rilevare il rischio che corrono le opposizioni di fare autorete con i loro rinforzi ai magistrati, lasciando tutto intero al centrodestra, senza più concorrenza tra i fratelli d’Italia della Meloni e i leghisti di Matteo Salvini, la linea del contenimento della immigrazione clandestina. La Meloni guadagnerà altri voti da questa faccenda, ha avvertito in particolare Severgnini, con l’esperienza che gli ha imbiancato tutti i capelli. E pensare che proprio ieri sul Fatto Quotidiano il mio amico Giovanni Valentini si chiedeva, incredulo, come e perché i sondaggi continuassero a premiare la Meloni nonostante i risultati per lui deludenti, a dir poco, del suo governo in ormai due anni di vita.

Dal Fatto Quotidiano

         Ma più ancora della incredulità di Valentini colpiva ieri sul Fatto un Marco Travaglio sempre più disinibito. Che ha reagito alle critiche del ministro della Giustizia alla giudice di Roma tornando a dargli del “Mezzolitro Nordio”, cioè dell’ubriaco. Lui pensa, Travaglio, di essere spiritoso. Non si rende conto di contribuire come pochi al fenomeno spiegato da Severgnini a Valentini. I cui cognomi fanno anche rima.

Ripreso da http://www.startmag.it

La solita opposizione giudiziaria al solito governo non di sinistra

Da Libero

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano con le sue antenne di magistrato di lungo corso, di politico di opposizione e di governo, ora ben addentro anche ai servizi segreti già sfiorati quando fu sottosegretario al Ministero dell’Interno in due governi di  Silvio Berlusconi, non è stato certamente colto di sorpresa dal decreto giudiziario col quale la giudice Silvia Albano ha svuotato i centri appena appena aperti in Albania e disposto il trasferimento in Italia dei dodici ospiti rimastivi per poco, dei sedici complessivamente sbarcati. E di conseguenza, per quanto irritata, furente e com’altro l’hanno definita i giornali, neppure la premier Giorgia Meloni è caduta dalle nuvole fra il Libano e la Giordania dove è stata raggiunta dalla notizia di quello che La Stampa ha definito “naufragio Albania”.

Alfredo Mantovano

         Già una settimana fa, il 12 ottobre, quando ancora le strutture italiane in Albania erano un cantiere, sia pure arrivato alle rifiniture, Mantovano diceva al Foglio, a proposito della “impressione” ricavata alle prese con una “magistratura ideologizzata” in rotta di collisione col governo: “Non è tanto un’impressione, è una constatazione. Quando, per esempio, nella disciplina dei migranti un giudice dice e scrive nei provvedimenti che deve essere il giudice l’arbitro della decisione dei paesi cosiddetti sicuri, cioè dei paesi verso i quali può avvenire il rimpatrio dei migranti pervenuti illegalmente, mi pare che sia un’entrata a piedi uniti in un’area che non è la propria, perché la determinazione dei paesi sicuri viene fuori da un procedimento abbastanza complesso che spetta al governo. E’ un esempio fra i tanti. Ce ne potrebbero essere altri”.

Vignetta del Secolo XIX

         E’ esattamente ciò che è avvenuto col decreto giudiziario della giudice di Roma che temo finirà per essere chiamata ironicamente ma non troppo quella dell’incredulo, sprezzante “sicuro d’Egitto”, avendo trovato quel paese non abbastanza sicuro, appunto, per potervi rimandare gli egiziani, fra quei dodici, finiti in Albania per il disbrigo delle loro pratiche di migranti clandestini.

         Chissà se il nuovo, l’ennesimo conflitto esploso fra la giustizia e la politica -entrambe, per cortesia, con la minuscola, come poi vi spiegherò- servirà a dipanare una matassa aggrovigliatasi una trentina d’anni fa, quando la prima prevalse bruscamente sulla seconda nell’onda di “Mani pulite”. E delle piazze che applaudivano la ghigliottina allestita per decapitare la cosiddetta prima Repubblica.

Vignetta di ItaliaOggi

         Francamente ne dubito, anche se il Consiglio dei Ministri già annunciato dalla premier provvederà a rendere più stringente la competenza del governo nella individuazione dei paesi sicuri per il rimpatrio. E ad aprire le porte dei ricorsi contro le decisioni giudiziarie, come ha spiegato Mario Sechi l’altra sera a Otto e mezzo di Lilli Gruber, anche alla Corte Costituzionale per conflitto di competenza, e non solo ai gradi superiori della giurisdizione ordinaria.

         Ne dubito perché temo che la politica, ridotta al minuscolo cui ho accennato prima in un inciso,  non sarà mai unita nella difesa delle sue prerogative, cioè del ruolo primario assegnatole da costituenti di pur opposta opinione, ideologia e altro ancora come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti,  e via scendendo di statura.

Gianfranco Fini

         La magistratura debordante, invasiva, “ideologizzata” per ripetere l’aggettivo usato dal Foglio intervistando Alfredo Mantovano, continuerà chissà per quanto tempo ancora a trovare nell’opposizione di turno una sponda quando entra in collisione col governo. La giudice di Roma che ha appena liberato i dodici migranti finiti nella struttura italiana in Albania è già stata issata metaforicamente sull’altare dalle opposizioni al governo Meloni. Negli anni di Berlusconi a Palazzo Chigi ci fu addirittura una parte della sua maggioranza, quella facente capo all’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, che praticamente fece da scudo ai magistrati mobilitati contro il presidente del Consiglio.

         Per la lunga pratica esondativa che le è stata permessa, scomodando spesso a torto la Costituzione, e con i presidenti della Repubblica abitualmente corsi ai congressi dell’associazione delle toghe, che è semplicemente un sindacato, non un’istituzione, una certa magistratura autoesoneratasi dall’obbligo della imparzialità o neutralità politica è diventata praticamente la protagonista della scena giudiziaria.

         Forse più che sulla forza di una Politica finalmente con la maiuscola, capace all’unisono, fra maggioranza e opposizione, di riprendersi quel che le spetta -e, ripeto. le fu conferito dai costituenti- bisogna scommettere sul cambio generazionale della magistratura. Scommettere cioè sulle giovani leve indisponibili a riconoscersi nel sistema emerso, per esempio, dalla vicenda Palamara e a perpetuarlo, magari in altro modo, meno sfacciato, ma sempre distruttivo di uno Stato davvero di diritto.

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