I rinforzi suicidi alla magistratura nello scontro col governo sui migranti

La vignetta di Repubblica

         Dalla decisione “pregiudiziale” della premier Giorgia Meloni alla decisione “abnorme” del ministro della Giustizia, ed ex magistrato Carlo Nordio, convinto che la giudice del tribunale di Roma Silvia Albano abbia “esondato” sgomberando di fatto i centri italiani realizzati in Albania. Cioè disponendo la partenza dei dodici migranti clandestini rimasti, dei sedici trasportati, per il primo disbrigo delle loro pratiche. Migranti clandestini che Ellekappa su Repubblica ha immaginato sostituiti dai magistrati invisi al governo e speduti per punizione sull’altra costa dell’Adriatico. Una vignetta si sa equivale ad un editoriale, più efficace e diretto.

Achille Occhetto ieri sera alla 7

         Se Ellekappa, pseudonimo di Laura Pellegrini, ha immaginato il governo deciso a tirare tanto dritto da mandare -ripeto- in Albania i magistrati, mancando i migranti liberati dalla giudice di Roma, il vecchio Achille Occhetto è corso in televisione da Massimo Gramellini, sulla 7, per fremere d’indignazione contro l’assalto che il governo starebbe facendo alla Costituzione, alla libertà, alla Repubblica. Altro che la vecchia e fallita “gioiosa macchina da guerra” allestita dall’allora segretario del Pds-ex Pci nel 1994 contro Silvio Berlusconi, arrivato lo stesso a Palazzo Chigi. E tornatovi poi due volte. A Occhetto mancava ieri sera, nel salotto televisivo di Granellini, solo un fucile a tracolla per salire poi in montagna, pur ai suoi 88 anni compiuti. E, debbo dire,  ben portati se consideriamo gli insuccessi inanellati nella sua carriera politica, tanto da essere rimosso a suo tempo dalla guida del partito da Massimo D’Alema.

Massimo Gramellini

         Soddisfatto, compiaciuto e quant’altro della spinta combattiva del suo ospite, Gramellini è poi rimasto senza parole, sgomento, quando due giornalisti arrivati in trasmissione -Alessandra Sardone e Beppe Severgnini- si sono permessi di rilevare il rischio che corrono le opposizioni di fare autorete con i loro rinforzi ai magistrati, lasciando tutto intero al centrodestra, senza più concorrenza tra i fratelli d’Italia della Meloni e i leghisti di Matteo Salvini, la linea del contenimento della immigrazione clandestina. La Meloni guadagnerà altri voti da questa faccenda, ha avvertito in particolare Severgnini, con l’esperienza che gli ha imbiancato tutti i capelli. E pensare che proprio ieri sul Fatto Quotidiano il mio amico Giovanni Valentini si chiedeva, incredulo, come e perché i sondaggi continuassero a premiare la Meloni nonostante i risultati per lui deludenti, a dir poco, del suo governo in ormai due anni di vita.

Dal Fatto Quotidiano

         Ma più ancora della incredulità di Valentini colpiva ieri sul Fatto un Marco Travaglio sempre più disinibito. Che ha reagito alle critiche del ministro della Giustizia alla giudice di Roma tornando a dargli del “Mezzolitro Nordio”, cioè dell’ubriaco. Lui pensa, Travaglio, di essere spiritoso. Non si rende conto di contribuire come pochi al fenomeno spiegato da Severgnini a Valentini. I cui cognomi fanno anche rima.

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La solita opposizione giudiziaria al solito governo non di sinistra

Da Libero

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano con le sue antenne di magistrato di lungo corso, di politico di opposizione e di governo, ora ben addentro anche ai servizi segreti già sfiorati quando fu sottosegretario al Ministero dell’Interno in due governi di  Silvio Berlusconi, non è stato certamente colto di sorpresa dal decreto giudiziario col quale la giudice Silvia Albano ha svuotato i centri appena appena aperti in Albania e disposto il trasferimento in Italia dei dodici ospiti rimastivi per poco, dei sedici complessivamente sbarcati. E di conseguenza, per quanto irritata, furente e com’altro l’hanno definita i giornali, neppure la premier Giorgia Meloni è caduta dalle nuvole fra il Libano e la Giordania dove è stata raggiunta dalla notizia di quello che La Stampa ha definito “naufragio Albania”.

Alfredo Mantovano

         Già una settimana fa, il 12 ottobre, quando ancora le strutture italiane in Albania erano un cantiere, sia pure arrivato alle rifiniture, Mantovano diceva al Foglio, a proposito della “impressione” ricavata alle prese con una “magistratura ideologizzata” in rotta di collisione col governo: “Non è tanto un’impressione, è una constatazione. Quando, per esempio, nella disciplina dei migranti un giudice dice e scrive nei provvedimenti che deve essere il giudice l’arbitro della decisione dei paesi cosiddetti sicuri, cioè dei paesi verso i quali può avvenire il rimpatrio dei migranti pervenuti illegalmente, mi pare che sia un’entrata a piedi uniti in un’area che non è la propria, perché la determinazione dei paesi sicuri viene fuori da un procedimento abbastanza complesso che spetta al governo. E’ un esempio fra i tanti. Ce ne potrebbero essere altri”.

Vignetta del Secolo XIX

         E’ esattamente ciò che è avvenuto col decreto giudiziario della giudice di Roma che temo finirà per essere chiamata ironicamente ma non troppo quella dell’incredulo, sprezzante “sicuro d’Egitto”, avendo trovato quel paese non abbastanza sicuro, appunto, per potervi rimandare gli egiziani, fra quei dodici, finiti in Albania per il disbrigo delle loro pratiche di migranti clandestini.

         Chissà se il nuovo, l’ennesimo conflitto esploso fra la giustizia e la politica -entrambe, per cortesia, con la minuscola, come poi vi spiegherò- servirà a dipanare una matassa aggrovigliatasi una trentina d’anni fa, quando la prima prevalse bruscamente sulla seconda nell’onda di “Mani pulite”. E delle piazze che applaudivano la ghigliottina allestita per decapitare la cosiddetta prima Repubblica.

Vignetta di ItaliaOggi

         Francamente ne dubito, anche se il Consiglio dei Ministri già annunciato dalla premier provvederà a rendere più stringente la competenza del governo nella individuazione dei paesi sicuri per il rimpatrio. E ad aprire le porte dei ricorsi contro le decisioni giudiziarie, come ha spiegato Mario Sechi l’altra sera a Otto e mezzo di Lilli Gruber, anche alla Corte Costituzionale per conflitto di competenza, e non solo ai gradi superiori della giurisdizione ordinaria.

         Ne dubito perché temo che la politica, ridotta al minuscolo cui ho accennato prima in un inciso,  non sarà mai unita nella difesa delle sue prerogative, cioè del ruolo primario assegnatole da costituenti di pur opposta opinione, ideologia e altro ancora come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti,  e via scendendo di statura.

Gianfranco Fini

         La magistratura debordante, invasiva, “ideologizzata” per ripetere l’aggettivo usato dal Foglio intervistando Alfredo Mantovano, continuerà chissà per quanto tempo ancora a trovare nell’opposizione di turno una sponda quando entra in collisione col governo. La giudice di Roma che ha appena liberato i dodici migranti finiti nella struttura italiana in Albania è già stata issata metaforicamente sull’altare dalle opposizioni al governo Meloni. Negli anni di Berlusconi a Palazzo Chigi ci fu addirittura una parte della sua maggioranza, quella facente capo all’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, che praticamente fece da scudo ai magistrati mobilitati contro il presidente del Consiglio.

         Per la lunga pratica esondativa che le è stata permessa, scomodando spesso a torto la Costituzione, e con i presidenti della Repubblica abitualmente corsi ai congressi dell’associazione delle toghe, che è semplicemente un sindacato, non un’istituzione, una certa magistratura autoesoneratasi dall’obbligo della imparzialità o neutralità politica è diventata praticamente la protagonista della scena giudiziaria.

         Forse più che sulla forza di una Politica finalmente con la maiuscola, capace all’unisono, fra maggioranza e opposizione, di riprendersi quel che le spetta -e, ripeto. le fu conferito dai costituenti- bisogna scommettere sul cambio generazionale della magistratura. Scommettere cioè sulle giovani leve indisponibili a riconoscersi nel sistema emerso, per esempio, dalla vicenda Palamara e a perpetuarlo, magari in altro modo, meno sfacciato, ma sempre distruttivo di uno Stato davvero di diritto.

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