
Non è la guerra in Ucraina, e nemmeno quella su più fronti in Medio Oriente. Non si combatte con lancio di missili e sofisticati quanto mortali ricorsi all’elettronica che trasformano in ordigni telefonini e quant’altro si porta in tasca o si tiene fra le mani per comunicare. Ma è pur sempre una guerra politica, e personale, quella che si sta combattendo nel MoVimento 5 Stelle, a rischio della sua stessa sopravvivenza. Sono ormai ai ferri corti chi lo presiede, Giuseppe Conte, e chi lo fondò e tuttora ne è garante e insieme consulente a contratto per la comunicazione, Beppe Grillo.
Almeno da oggi, dopo l’intervista concessa dall’interessata al Corriere della Sera, debbono guardarsi da Chiara Appendino sia Conte, che la scelse quasi un anno fa come vice presidente, né Beppe Grillo, che a suo tempo era corso a Torino a festeggiare la sua elezione a sindaco.

L’Appendino mi pare si sia stancata di sistemare amichevolmente il fazzoletto nel taschino della giacca di Conte, come da una celebre foto in uno studio televisivo, e abbia deciso invece di prenderne le distanze per il modo in cui sta guidando il MoVimento, che ha peraltro portato da circa il trenta per cento del 2018, quando ne ottenne a sorpresa l’investitura a presidente del Consiglio, a meno del 10 per cento nelle elezioni europee della primavera scorsa. Neppure Grillo, come dicevo, viene più trattato dall’Appendino col riguardo di un tempo, quando lui sventolava orgogliosamente da una finestra dell’albergo romano le stampelle dell’armadio per vantarsi delle prime cittadine pentastellate, allora, della stessa Roma e di Torino.

Adesso con prudenza, distacco e pare anche con un po’ di fastidio verso entrambi, la vice presidente del partito e deputata parla così di loro sul Corriere rispondendo alla domanda a favore di chi si sente schierata in questa che è da molti avvertita, anche nel MoVimento, come una corsa verso la scissione: “Sceglierei sempre e solo il movimento che ho visto crescere e nascere. Ora ci serve senso di appartenenza attorno a battaglie nuove. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono personalismi e mediatori”.
Con un po’ di malizia, alla maniera di Giulio Andreotti convinto che a pensare male anche ai suoi tempi fosse un peccato ma s’indovinasse, potremmo sospettare dietro quelle “battaglie nuove” evocate dall’Appendino un riferimento polemico all’ambizione ormai consumata di Conte di tornare a Palazzo Chigi, condizionando a questa prospettiva anche la partecipazione al campo dell’alternativa perseguito dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Che è spinta verso la guida di un eventuale altro governo, come leader del partito più votato fra quelli oggi all’opposizione, da un aspirante alleato come Matteo Renzi, cui già Conte non perdona di averlo prima salvato, nel 2019, e poi rovesciato, nel 2021, per fare arrivare a Palazzo Chigi Mario Draghi.


