Prodi striglia anche Meloni per gli attacchi israeliani alle postazioni Onu in Libano

Una postazione Onu in Libano

         Affranto e cupo come mai si era visto in circostanze politiche sgradite, neppure quando fu costretto a interrompere con largo anticipo entrambe le esperienze di presidente del Consiglio per abbandono da parte di alleati o simili, Romano Prodi ha partecipato dalla “Piazza pulita” di Corrado Formigli, sulla 7, allo stupore, alle proteste, alle preoccupazioni e quant’altro per gli sviluppi delle guerre in Medio Oriente. Dove gli israeliani hanno esteso anche alle postazioni di pace e di sicurezza delle Nazioni Unite, a forte partecipazione italiana, l’offensiva contro le zone del Libano trasformate dai terroristi di Herzbollah in basi di lancio di missili e altro contro territori ebraici e le popolazioni che vi vivono, o vi vivevano.

         “Sparano contro il mondo”, ha protestato Prodi parlando degli israeliani, e pur riconoscendo -bisogna dirlo- la crisi di credibilità e di efficienza delle Nazioni Unite nella funzione propostasi alla fondazione di rappresentare e proteggere appunto il mondo.

         Dall’alto delle sue proteste in difesa, ripeto, del mondo assaltato dagli israeliani nei loro eccessi di difesa e di reazione ai sistematici e sanguinosi attacchi al loro sacrosanto diritto di vivere come ebrei e cittadini del loro Stato, sorto peraltro con tanto di deliberazione delle Nazioni Unite, Prodi ad un certo punto è sceso sul piano della politica interna per attaccare la premier Meloni. Alla quale aveva pur riconosciuto di recente -va detto anche questo- in un’altra trasmissione sempre della 7 di “saperci fare”. Persino meglio e più di quanti anche con i suoi consigli -quelli cioè di Prodi- cercano di allestire campi più o meno larghi per coltivare l’alternativa.

Meloni e Zelensky ieri sera a Villa Pamphili

         Alla premier, peraltro impegnata mentre Prodi parlava con Formigli in un incontro col presidente ucraino Zelensky per parlare di un’altra guerra, e non dei conti correnti bancari suoi e di sua sorella violati come tantissimi altri, l’ex premier ha rimproverato di non essere intervenuta adeguatamente contro Israele. Ma di essersi lasciata rappresentare nella protesta dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Che ha convocato l’ambasciatore di Gerusalemme in Italia, ha ribadito “l’ira del governo”, come ha titolato anche la insospettabile Repubblica, dalla sua postazione di opposizione, e indicato come “crimine di guerra” quello compiuto dagli israeliani colpendo le postazioni delle Nazioni Unite in Libano.      

Guido Crosetto in conferenza stampa

Potrei sbagliare, per carità, ma ho avvertito un senso di sorpresa e di disagio anche nel conduttore della trasmissione di fronte all’assalto, pur a suo modo, di Prodi alla presidente del Consiglio e al declassamento del ministro della Difesa, pur così imponente anche nel suo aspetto fisico, a una persona non abbastanza rappresentativa e autorevole per parlare a nome del governo italiano.   

Dal tavolo alla tavola della Corte Costituzionale

Da Libero

Non mi sto inventando nulla. Non mi sto arrampicando su nessuno specchio. Non vi propongo l’ennesimo retroscena delle nostre abbondanti cronache politiche. Mi limito a seguire le tracce generosamente fornite, in un provvidenziale abbandono alla franchezza, dal capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia per spiegarvi il mercato -tutto politico, per carità, ma sempre mercato- che si sta allestendo per il rinnovo quasi totale di una delle componenti della Corte Costituzionale: quella di elezione parlamentare. Sono cinque giudici su quindici, quanti ne nomina il presidente della Repubblica o provengono, come dice l’articolo 135 della Costituzione, dalle “supreme magistrature ordinaria ed amministrative”.

         Dei cinque giudici di elezione parlamentare, uno -la ex presidente della stessa Corte Silvana Sciarra- è scaduto quasi un anno fa. Altri tre scadranno a dicembre, fra i quali l’attuale presidente Augusto Barbera. Un pacchetto di quattro giudici da eleggere insieme è una tentazione irresistibile per una politica da tempo abituata a scambiare, volente o nolente, consapevole o non, il pluralismo per lottizzazione. Magari sarà stato anche per questo che le opposizioni, mobilitatesi solo quando la premier Giorgia Meloni ha tentato di non fare fallire anche la ottava votazione per l’assegnazione del seggio che fu della Sciarra, hanno lasciato trascorrere quasi un anno senza preoccuparsi del vuoto alla Consulta.

Il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, al Corriere della Sera

         Intervistato dal Corriere della Sera sull’appena rimancata elezione di un giudice e sugli altri tre che stanno per scadere, il capogruppo del Pd al Senato ha testualmente risposto: “Abbiamo due mesi di tempo per trovare un accordo su tutti e quattro”. Il plurale mette insieme maggioranza e opposizioni. “Noi    -ha aggiunto Boccia, non so se parlando solo a nome del suo partito o anche degli altri più o meno aspiranti al fantomatico campo largo dell’alternativa al governo- diamo la massima disponibilità a trovare una soluzione. Le scelte più importanti si risolvono con la politica, non con i muscoli dei numeri. Speriamo che Giorgia Meloni lo capisca. La Consulta può fare a meno di un giudice per qualche settimana ma di quattro, evidentemente, è impossibile”.

         Quando e se i giudici mancanti diventeranno quattro sui cinque di elezione parlamentare e sui 25 complessivi della Corte concepita dai costituenti nel 1947 e creata nel 1955 per diventare operativa l’anno dopo ancora, il Parlamento potrà correre anche con Mattarella, come accadde a suo tempo in analoghe circostanze con Francesco Cossiga al Quirinale, il rischio di finire sotto minaccia di scioglimento per inadempienza costituzionale.  

         Tutti insomma dovranno, con le buone o le cattive, accedere al già ricordato mercato -ripeto, tutto politico- della Corte e distribuirsi i seggi con la maggioranza qualificata necessaria per venirne a capo.

         Se questo spettacolo, scenario o com’altro lo si voglia o lo si debba chiamare vi sembra all’altezza della moralità che si reclama dalla politica, non so. A me non tanto, considerando anche l’articolo 54 della Costituzione tanto abusato nel dibattito politico, ai confini di quello giudiziario. Che dice: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

I parlamentari, in verità, i partiti che sono alle loro spalle e i rispettivi vertici non giurano. Ma non per questo, credo, possano o debbano sentirsi autorizzati a soprassedere sia alla disciplina sia all’onore. E a giocare invece, nel caso di cui stiamo parlando, quello cioè dell’elezione dei giudici costituzionali, con i candidati, reali o potenziali, coperti o scoperti, furbescamente protetti o no dalle schede bianche, come con i birilli, usando come elastici i cosiddetti conflitti d’interesse. Come quello contestato al consigliere giuridico della premier per la presunta paternità del disegno di legge ancora all’esame delle Camere sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, gestito in realtà dalla ministra delle riforme, ed ex presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. 

E pensare che nel non lontanissimo 1991 vi fu un ministro della Giustizia -ripeto, della Giustizia- nominato giudice costituzionale dall’allora presidente della Repubblica. I nomi non contano, bastando e avanzando il fatto per rimettere i piedi a terra.

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